La contea Sinan produce due terzi di tutto il sale usato nel Paese. Composta da decine di isolette, è incentrata sulla produzione del minerale. Per spaccarlo nelle saline, da anni va avanti un traffico di esseri umani che vengono impiegati come schiavi fino a che scappano o muoiono. La connivenza delle autorità locali e l’indifferenza del governo centrale mantengono lo status suo. La storia di Kim, cieco e con un ritardo mentale, rapito a Seoul e costretto a spaccare sale.
Seoul – È scappato alla prima occasione utile. Con il sole a picco sulla costiera marina dove Kim Seong-baek è stato costretto a lavorare senza salario, per 18 ore al giorno spaccando grandi cristalli di sale raggrumati nell’acqua fangosa. Quasi del tutto cieco, in mutande, Kim ha afferrato un altro schiavo – disabile come lui – e insieme si sono diretti verso la costa. Molto lontani dalla capitale scintillante Seoul, fatta di acciaio e vetro, ora sono entrambi ricercati in questa remota isoletta sudcoreana: qui la schiavitù dei disabili, impiegati nelle miniere di sale, è un segreto che tutti conoscono.
Parlando con l’Associated Press dopo una denuncia pubblica che ha sconvolto avvocati, polizia e funzionari del governo, Kim descrive il suo “lavoro” con parole semplici: “Un inferno in terra”. La loro fuga si è scontrata con la realtà locale: camminando davanti agli occhi dei residenti, coperti da una sottile patina bianca, si sono sentiti animali sotto ispezione. Il figlio del proprietario di un mercatino ha chiamato il loro padrone, che li ha raggiunti e ha picchiato Kim con un bastone prima di rimandarlo nelle saline.
Siamo nella contea Sinan – fatta di decine di isolette – e per precisione a Sinui, nella parte sudoccidentale del Paese. Qui la schiavitù è di casa: lavoro alternativo non ce n’è, dal mare arrivano soltanto pesci e sale. Da tempo l’area ha scelto il sale: è da questa contea che provengono i due terzi del totale usato in Corea. Ci sono 850 industrie di varie dimensioni, che coinvolgono più della metà dei residenti totali.
Nell’ultimo decennio, da qui sono partite cinque denunce in totale per schiavitù. A finire in ceppi sono i disabili come Kim, che non hanno modo di ribellarsi. Il lavoro è semplice ma massacrante. E lo “scandalo” provocato dalle denunce è sempre finito in un nulla di fatto. Sotto inchiesta sono finiti circa 50 fra proprietari e “caporali” del lavoro, ma nessun poliziotto o pubblico ufficiale. E secondo le impressioni generali, nessuno sarà punito sul serio.
Lo stesso “padrone” di Kim, Hong Jeong-gi, è stato condannato a tre anni di carcere e si prepara per l’appello che, secondo il suo avvocato, dimezzerà la sentenza. L’uomo è stato ritenuto colpevole di tratta di esseri umani; riduzione in schiavitù; mancato pagamento dei salari; mutilazioni; percosse.
L’inchiesta, e soprattutto le testimonianze di alcuni uomini liberati, mostrano come dietro alla produzione del sale vi sia proprio un mercato di schiavi. Secondo il racconto dello stesso Kim, senza fissa dimora da più di 10 anni, il trasferimento nelle saline è stato organizzato da un uomo che la notte del 4 luglio 2012 lo nota mentre sta dormendo su un treno alla stazione di Seoul. Lo sconosciuto gli offre un pasto e una notte in casa, e gli parla di una grande opportunità di lavoro.
Il mattino dopo è sull’isola di Sinui, dove il suo nuovo padrone paga l’equivalente di 700 dollari americani all’uomo che lo ha condotto lì. Kim dovrà lavorare gratis “fino a pagare questo debito” che non ha contratto né voluto. Secondo la corte che ha giudicato il suo caso, l’uomo è non vedente e ha la consapevolezza sociale di un bambino. Ecco perché non riesce a scappare.
Dopo diversi mesi – in cui riceve percosse e violenze continue – ha un’idea semplice ma geniale: scrivere alla madre, come faceva durante la sua vita da senza fissa dimora. La donna è anziana ma ancora auto-sufficiente, e vive a Seoul. Kim riesce a imbucare la lettera durante un’ora di permesso in cui, insieme agli altri schiavi, viene portato dal padrone nella cittadina. Il francobollo gli è stato lasciato da un altro lavoratore, “venduto” a una nuova fabbrica.
La madre riceve la lettera e la mostra a un vecchio amico, Seo Je-gong, all’epoca capitano distrettuale di polizia. L’uomo conosce la connivenza dei funzionari locali con le forze di sicurezza, quindi porta una sua squadra sull’isola facendo finta di essere turisti. Il blitz alla salina ha successo e, quando i poliziotti locali capiscono cosa sta succedendo, è troppo tardi. Oggi Kim è tornato a vivere con la madre, e ha ricevuto un indennizzo che gli permetterà di vivere in maniera dignitosa. Ma di notte ha gli incubi e deve prendere dei medicinali molto potenti per le ferite riportate. Non riesce neanche a mangiare bene: “Se sento qualcosa di salato, stringo i denti fino a che non si scheggiano”.
Tratto da: http://www.asianews.it/
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