Un uomo, un simbolo e la possibilità di sciogliersi in un pianto.
Piangere in pubblico è liberatorio, è umano, ma è anche un po’ sospetto. Porta con sé il dubbio che le lacrime siano finte, fatte per ingraziarsi la folla o per calcolato tentativo di rendere meno visibile il numero di milioni guadagnati da Francesco Totti nella sua carriera. 86 milioni di euro sono, secondo alcune recenti statistiche, solamente l’ammontare dei compensi ricevuti nei suoi 25 anni di carriera come stipendio. In un momento di crisi economica come questo bastano e avanzano per attirarsi la polemica via socialnetwork: “ma c’hai paura de che? Prova a fini’ il mese con 1100 euro e du’figli e poi ne riparliamo de’ paura”. E’ vero Totti ha 40 anni, età che per molti oggi vuol ancora dire un posto di lavoro precario, ha un sacco di soldi e buone prospettive di lavori futuri nell’ambito della A.S. Roma, una bella famiglia e una fama mondiale. Eppure in diretta oltre alle lacrime pubbliche, emotive, ci sono quelle raccontate: “Ho pianto tutti giorni, da solo, come un matto”.
Per molti, tifosi della Roma e non, il valore di Totti, oltre alla bravura e alle vittorie conquistate è soprattutto il simbolo di chi avrebbe potuto andare a giocare all’estero, forse guadagnando anche di più, per vincere di più in squadre più forti. Un simbolo di fedeltà alla città dove è cresciuto, alla squadra. Uno che non si vende per soldi. Per altri, i suoi detrattori, è invece il simbolo di chi non è stato capace di crescere, di confrontarsi con altri paesi e con altri giocatori. Uno che ha preferito essere il più bravo di una squadra che non ha mai vinto molto, anziché andare all’estero e confrontarsi con i più bravi. Per questi ultimi incarna il clichè del maschio italiano, bamboccione viziato, mammone, coccolato da tutti e a cui tutto si perdona. Forse proprio per questo l’addio al calcio giocato di Totti può essere interessante. Un evento pop, visto e condiviso in diretta da centinaia di migliaia di persone che si sono sentite in dovere di lasciare un saluto, un messaggio o un addio al di là della appartenenze sportive. Un maschio di 40 anni, pieno di soldi e con il futuro economico assicurato, si prende la briga di condividere le sue paure, il suo senso di vuoto, il suo bisogno dei tifosi e le sue lacrime private. Certo c’è il calcolo, l’immagine costruita, la lacrima finta a favore di telecamera. Ma, forse in modo inconsapevole, c’è anche il confessare la propria fragilità, che è tanto più vera, quanto più non ci sono motivi materiali per sentirsi precari. C’è il condividere con il resto del mondo quel senso di angoscia che ti attanaglia quando non puoi più fare quello che sai fare e devi reinventarti un lavoro. Drammi che altri affrontano quando vanno in pensione e spesso in situazioni molto più difficili. Il 30 maggio di 23 anni fa un altro capitano della Roma, Agostino di Bartolomei, decise di porre fine alla sua esistenza con un colpo di pistola nel chiuso della sua casa.
Erano passati esattamente 10 anni dalla finale di coppa campioni persa contro il Liverpool. Date, ricordi, vittorie e sconfitte che si mischiano nella nostra memoria. Il successo e la sconfitta sono spesso le categorie con cui un giovane uomo cresce e alle quali è abituato fin da piccolo a rispondere. Le pressioni sociali che forgiano tutti quanti i maschi, da Totti fino al giovane ventenne disoccupato, sono le stesse per tutti: il futuro, il lavoro, costruire la famiglia, essere vincenti sul lavoro.. Molti non ce la fanno, come Di Bartolomei. Non bastano i soldi e il successo. La paura di vivere, la paura di non essere capaci di cambiare, la paura della solitudine, la paura di dover imparare a confrontarsi con un mondo ignoto è qualcosa che appartiene a tutti noi, anche ai maschi che di solito sono educati a non parlarne, e soprattutto non in pubblico. Per questo la serata di saluto di Totti ci consegna un gesto importante anche se probabilmente inconsapevole.
E’ possibile piangere, è possibile farlo anche se sei maschio, ricco, famoso e circondato da una bella famiglia, da amici e dalle folle. E’ possibile parlare della proprie fragilità anche vincendo la paura che tutti ti prenderanno in giro perché nessuno crederà che tu possa avere delle difficoltà. E’ possibile rischiare di venire deriso perché hai osato confessare che, in fondo, un po’ hai davvero paura di crescere e perché hai mostrato le tue emozioni a mezzo mondo.
Immagine: Di LPLT – Opera propria, GFDL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8779374
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