Le chiese e la violenza contro le donne

posto20occupato20smallÈ in corso in questi giorni e fino a mercoledì prossimo l’iniziativa Onu “16 giorni contro la violenza”, per ricordare che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani.(Luisa Nitti) Le chiese protestanti sono particolarmente attente al problema della violenza contro le donne e hanno partecipato a molte iniziative della campagna delle Nazioni Unite “16 giorni contro la violenza”.

Un problema che riguarda tutti
In Italia la Federazione delle Donne Evangeliche in Italia FDEI ha lanciato una serie di iniziative in occasione di questa campagna internazionale. Per Gianna Urizio, presidente della FDEI, non si tratta di un “tema da donne”, ma di un tema che coinvolge la vita di donne e uomini, e quindi la vita delle donne e degli uomini anche nelle chiese. La FDEI ha anche aderito ad una campagna molto singolare che si chiama “Posto occupato”. Nelle chiese, ma anche in luoghi pubblici come teatri, parchi pubblici, è stato occupato un posto a sedere, contrassegnato da un oggetto di colore rosso, per rendere visibile l’assenza delle donne che sono state vittime di violenza.
“Abbiamo proposto alle chiese – spiega Urizio – di riservare su uno dei primi banchi un posto occupato. Cioè vuol dire concretamente che c’è un foulard rosso, un portachiavi rosso, un paio di scarpe, una borsetta, un oggetto che renda visibile l’assenza di una donna che ha subito violenza e che non è necessariamente morta, ma è anche una donna annichilita, violata, depauperata, che in quel momento non è in chiesa”.

Religioni e violenza
Le religioni giocano un ruolo importante nella questione della violenza di genere. Nel corso dei secoli le comunità di fede sono state purtroppo anche strumento di oppressione. Ma secondo Urizio bisogna saper valorizzare il fatto che “le religioni contengono elementi di libertà, perché sono dei momenti di riflessione spirituale sulla relazione con Dio, che è sempre liberante. Faccio un esempio – prosegue -: Gesù incontra la Samaritana al pozzo e le rivolge la parola in una società che non parla con le donne, quindi rompe una tradizione. Ecco, questo è un messaggio di libertà che, per esempio, nel cristianesimo noi dovremmo cogliere (vedi articolo di Lilia Sebastiani).
Ci sono dei fili rossi di libertà – aggiunge Urizio – nelle religioni, sommerse dal fatto che le religioni hanno preso delle tradizioni sociali patriarcali e le hanno veicolate come necessarie, universali e feconde. Non è così, noi dobbiamo poterle criticare”.

16 giorni anche in Ticino
Secondo Daniela Lucci, di Muralto, delegata delle Chiese riformate del Ticino nella FDEI, le chiese stanno gradualmente acquisendo la consapevolezza che il tema della violenza di genere riguardi tutti, uomini e donne insieme. “Negli ultimi decenni – afferma – l’attenzione per le donne nella chiesa riformata in Svizzera ha fatto passi da gigante. Nella nostra realtà ticinese ci sono vari gruppi di donne che da anni si incontrano regolarmente. Ad esempio a Muralto siamo partite dalla lettura del libro della pastora teologa Elisabeth Green, “Lacrime amare”, e ci siamo a lungo confrontate sulla violenza subita dalle donne nei vari ambiti dell’esistenza. Acquisire la consapevolezza della violenta sulle donne secondo me è il primo passo per trovare il coraggio di uscirne fuori”.
Secondo Daniela Lucci iniziative come quella dell’Onu possono concretamente avere dei risvolti positivi per le donne che sono vittime di violenza. “Più se ne parla e meglio è – prosegue Daniela Lucci -. Secondo me è importante che le donne che subiscono violenza non siano isolate, sia dalle istituzioni sia dalle altre donne. Io credo che l’isolamento purtroppo le renda più vulnerabili. Bisogna costruire una fitta rete di solidarietà e di amicizia”.

Tratto da: http://www.voceevangelica.ch/


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