Un figlio dovrebbe crescere con i propri genitori, ma nel mondo reale questo a volte non succede e, per svariati motivi, i genitori o più di frequente la madre non vogliono o non riescono a farsi carico del bimbo appena nato. È qui che entrano in gioco le “culle per la vita”, in inglese baby box, che consentono di “abbandonare” il neonato in un posto sicuro mantenendo l’anonimato. Il bimbo è così affidato a persone che se ne prenderanno cura, anziché essere gettato in un fossato o in un cassonetto come evidenziato purtroppo dai drammatici ritrovamenti riportati nei fatti di cronaca. Ne abbiamo parlato in passato. Stavolta ci torniamo su con dati molto significativi.
Le madri che lasciano il figlio in una baby box sono spesso disperate. I motivi possono essere diversi: sono rimaste incinte dopo uno stupro; il figlio è legato a un cosiddetto “delitto d’onore”; sono delle senzatetto, non hanno una casa, sono immigrate irregolari o vittime di tratta. A volte non sanno proprio cosa fare con il bambino, temono per la loro sicurezza e non vogliono si sappia che hanno dato alla luce un figlio. In tutti questi casi una “culla per la vita” offre l’opportunità di lasciare il bimbo al sicuro senza rivelare la propria identità. In Europa e negli Usa il numero di queste culle è in crescita.
Le “culle per neonati” in Europa
Oggi in Europa ne esistono decine. Alcuni Paesi, come Olanda e Belgio, ne hanno solo alcune; altri, come Germania e Spagna, ne hanno molte di più.
In Spagna alcune culle sono regolamentate dal governo e i servizi sociali esistenti a livello nazionale forniscono le strutture alle donne disperate. Altre culle sono gestite da Ong pro vita e pro famiglia, così come da alcune organizzazioni religiose. La Spagna non ha solo culle per neonati, ma anche per i bambini più grandi. Nel contempo – come si legge nel sito internet delle autorità madrilene – abbandonare un figlio rimane un crimine.
Nella Repubblica Ceca le baby box sono previste dalla legge e il loro numero è in continua crescita. Secondo il quotidiano del Paese Prague Monitor queste culle sono riconosciute come un servizio di assistenza sanitaria. La prima culla per neonati è stata attivata nel 2005 e negli anni esse hanno accolto decine di bambini abbandonati.
Altri Paesi europei non hanno alcuna legislazione in merito e in alcuni, come in Belgio e nei Paesi Bassi, abbandonare un neonato è un crimine. In Belgio ci sono due “stanze” per neonati chiamate babyschuiven. Nei Paesi Bassi al momento ce ne sono undici situate in ospedali e case private. Le autorità olandesi non sono favorevoli a queste stanze e sostengono sia più importante eliminare il tabù di una gravidanza indesiderata e aiutare le madri. Nonostante ciò il governo non pensa di chiudere quelle che ci sono, anzi di recente ne sono state aperte altre due.
La Francia non ha “culle per neonati”, ma le donne hanno la possibilità di partorire in anonimato. Quando il bambino raggiungerà «l’età del discernimento» potrà ottenere maggiori informazioni sulla sua famiglia biologica, se quest’ultima è d’accordo.
In Germania esistono entrambe le opzioni. Le madri possono scegliere di partorire in maniera confidenziale o di lasciare il neonato in una delle circa 90 “culle per la vita” presenti nel Paese. Le culle non sono illegali, ma l’abbandono di un bambino nella culla rimane una zona grigia. Anche se le donne hanno la possibilità di partorire in anonimato in ospedale, nel 2017 il governo tedesco ha rilevato che alcuni bambini venivano lo stesso abbandonati perché le loro madri non erano a conoscenza delle alternative disponibili.
Tra gli altri Paesi europei che dispongono di “culle per neonati” vi sono l’Austria, l’Ungheria, la Polonia, la Svizzera, la Lettonia, la Slovacchia e il Portogallo.
Ana Del Pino, coordinatrice europea dell’organizzazione prolife Uno di Noi, osserva che la necessità di queste culle è in crescita. Nel 2022 nella sola Spagna sono stati abbandonati 56 bambini di età inferiore ai tre anni a cui devono aggiungersi i bambini abbandonati di oltre tre anni d’età. Del Pino spiega che nel Paese il numero di bambini senza genitori o tutori è in aumento. Secondo l’agenzia di stampa spagnola Europa Press, tra il 2021 e il 2022 il numero di bambini sotto i tre anni presente nelle strutture per minori è aumentato dell’11%. Secondo Del Pino questo fenomeno è dovuto all’aumento sia dell’insicurezza economica sia del numero degli immigrati.
Riguardo alle “culle per la vita”, la coordinatrice europea è consapevole del fatto che si tratti di un tema controverso. Anche lei ritiene che la cosa migliore sia che tali strutture non siano necessarie e che «madre e figlio rimangano insieme», ma purtroppo la realtà è diversa.
«La seconda migliore opzione – spiega Del Pino – è che le madri che non riescono a prendersi cura del figlio lo diano a famiglie affidatarie, in modo tale da mantenere un legame con lui. Tuttavia, se ciò non fosse possibile, dobbiamo cercare di garantire un luogo in cui i bambini possano essere lasciati, nutriti e accuditi».
Una questione di priorità
Nonostante sia un dato di fatto che le baby box salvino bambini vi è chi non è d’accordo sulla loro presenza. Alcuni sostengono che le culle contribuiscono a normalizzare l’abbandono di un figlio: se le madri sanno che abbandonare il proprio bimbo in un ambiente sicuro è un’opzione possibile, possono decidere di farlo più spesso di quanto lo farebbero se non ci fossero culle in vista nelle aree pubbliche.
Vi è poi chi sostiene che, poiché in molti Paesi abbandonare un figlio è illegale, le baby box incoraggerebbero il commettere un reato. Altri temono che possano nascondere abusi: familiari coercitivi e abusanti, protettori o altre persone potrebbero approfittare della baby box per sbarazzarsi di un bambino contro il volere della madre. Si tratterebbe di un abuso difficilmente rilevabile visto che le culle sono progettate in modo tale che la persona che “abbandona” il bambino non sia identificata. Tale anonimato potrebbe agevolare anche l’attività dei trafficanti di bambini.
Un altro argomento ripetuto dai contrari alle “culle per la vita” è che esse impediscono ai bambini di conoscere le proprie origini: un diritto che appartiene a ogni persona. Poiché la madre può decidere di non lasciare indizi sulla propria identità, sarà molto difficile per quel bambino riuscire a rintracciare in futuro la sua famiglia biologica.
Tutte queste obiezioni hanno portato le Nazioni Unite a prendere le distanze da queste iniziative. Secondo il Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia, le baby box violano il diritto dei bambini a conoscere le proprie origini e impediscono ai genitori disperati di ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno. Maria Herczog, già membro del Comitato Onu che ha esaminato la questione, sostiene che «anziché offrire aiuto alle persone per affrontare alcuni dei problemi sociali e di povertà che stanno alla base di queste situazioni, stiamo dicendo loro che possono semplicemente abbandonare il figlio e scappare».
La Del Pino è consapevole di queste obiezioni, così come del fatto che il diritto a conoscere le proprie origini dovrebbe essere garantito a tutti, ma ritiene anche che questo non sia un buon motivo per vietare le “culle per la vita”. La coordinatrice osserva infatti che si tratta di una questione di priorità: «Quando un bambino viene messo nella culla la priorità è tenerlo al riparo, nutrirlo e fornirgli un ambiente sicuro. E ritengo che in quel momento questo sia più importante del suo diritto a conoscere l’identità della madre».
Del Pino è contraria alla presenza di culle in ogni angolo di strada. Ritiene che tali strutture debbano essere gestite con attenzione. «In Spagna anche i servizi sociali ufficiali hanno culle per bambini. Penso sia questa la strada da seguire. Regolando attentamente gli sportelli, si riduce il rischio di abusi», afferma. Infine aggiunge che sarebbe necessaria anche una maggiore informazione, affinché solo un numero minimo di donne senta il bisogno di ricorrere come soluzione estrema a una “culla per neonati”: «Dovremmo informare le donne che non vogliono tenere il figlio sulle alternative alla culla. Molte non sanno che vi è la possibilità di dare il figlio in affidamento o che esistono centri che le possono aiutare».
Le baby box negli Usa
Negli Stati Uniti i genitori naturali che vogliono rinunciare al proprio figlio in modo sicuro si possono avvalere della Safe haven law (legge “sul rifugio sicuro”). Ogni Stato ne ha una, ma ciascuno ha propri criteri che stabiliscono i luoghi in cui lasciare il figlio (solitamente ospedali, chiese, stazioni dei vigili del fuoco) e i limiti d’età per la rinuncia al neonato. Queste leggi sono state previste per garantire ai genitori un’alternativa all’abbandono dei figli in luoghi insicuri (in strada, nei cassonetti) e quindi preservarli da danni fisici o dall’infanticidio.
Le baby box Usa nascono nel 2015 grazie all’organizzazione no-profit Safe Haven Baby Boxes (Shbb) fondata da Monica Kelsey, la quale fu abbandonata nel 1973 in un ospedale dell’Ohio dalla madre diciassettenne rimasta incinta a seguito di uno stupro. Obiettivo dell’associazione è informare e sensibilizzare sulle leggi Usa “sul rifugio sicuro” e sulla possibilità di avvalersi, come ultima risorsa, della baby box, l’unica opzione per chi desidera mantenere l’anonimato. Shbb gestisce anche una linea nazionale (National Safe Haven), un “telefono amico” per genitori in crisi, perché il suo obiettivo non è solo proteggere il neonato, ma accompagnare anche i genitori facendo loro capire che non sono soli.
Attualmente la Shbb ha culle installate in 15 Stati diversi e all’inizio di febbraio 2024 l’associazione ha festeggiato la sua duecentesima culla installata. Nei primi due mesi del 2024 il personale della Shbb ha assistito più di una mezza dozzina di genitori naturali nella “consegna” dei loro figli in sicurezza. La prima “consegna” del nuovo anno è avvenuta in una baby box a Georgetown Township, in Michigan. Era la prima volta che un bimbo veniva lasciato nella culla situata nella stazione dei vigili del fuoco da quando nel 2022 era stata installata. «Siamo molto grati al genitore che si è fidato dei vigili del fuoco di Georgetown e di Safe Haven Baby Boxes per assicurare protezione a questo bambino», ha dichiarato Kelsey.
Kelsey racconta che le altre “consegne” sono avvenute in una località dell’Indiana, a Orlando (Florida), Ohio, Texas e South Carolina. Un bimbo è stato lasciato all’interno di una baby box, mentre altri cinque sono stati consegnati direttamente, vale a dire che il genitore ha consegnato il figlio nelle braccia di un addetto al primo soccorso o del personale dell’ospedale. Kelsey spiega che «il nostro obiettivo è sempre quello di fare in modo che i bambini siano lasciati agli addetti al primo soccorso, ma se i genitori non vogliono farlo spieghiamo loro come usare una baby box».
Ai genitori che chiamano per chiedere informazioni su come fare per rinunciare al proprio figlio in modo sicuro, la Shbb fornisce informazioni sulla legge dello Stato in cui si trovano e sui luoghi in cui è possibile lasciarlo, senza tuttavia esercitare pressioni affinché consegnino il figlio: «Forniamo ai genitori naturali le risorse più adatte alla loro situazione, non diciamo loro cosa devono fare». Kelsey aggiunge che il 2023 ha fatto registrare un numero record di abbandoni nelle baby box, 17 in tutto il Paese, e che i dati mostrano che l’impegno della Shbb ha avuto un impatto positivo. Nell’Indiana, per esempio, dove ha sede l’organizzazione, si registravano in media due neonati abbandonati e morti ogni anno, ma dopo l’avvio della Shbb «non abbiamo più avuto un solo neonato abbandonato e morto nel nostro Stato. Sono fermamente convinta che i bambini altrimenti destinati ai bidoni della spazzatura e ai cassonetti ora vengono messi nelle nostre culle», conclude Kelsey.
Le “culle per la vita” in Italia
In Italia le donne possono sia partorire in ospedale in anonimato, sia usufruire di una delle 66 culle per la vita presenti in quasi tutte le Regioni italiane; attualmente ne sono sprovviste Trentino, Friuli Venezia Giulia, Molise, Calabria e Sardegna.
L’ultima “consegna” è avvenuta a maggio 2023 in una culla di Bergamo. Insieme alla neonata la madre ha lasciato il seguente messaggio: «Nata stamattina. In casa solo io e lei. Le auguro tutto il bene del mondo. Vi lascio un pezzo importante della mia vita che sicuramente non dimenticherò mai». Si tratta del 14° bambino salvato dal 2007 grazie a queste culle.
Rosa Rao Cassarà, vicepresidente del Movimento per la Vita della Sicilia, referente delle culle del Mpv italiano fino al 2018 e autrice del libro Le culle per la Vita, spiega su Avvenire (19 ottobre 2023) che «ancora oggi è necessario rilanciare questo servizio di accoglienza dei bambini abbandonati. Il nostro intento è far comprendere che chi lascia il bambino nella culla ha lo stesso diritto di chi va a partorire in anonimato in ospedale. Noi accogliamo tutte» e «partiamo dal presupposto che ogni essere umano che viene concepito ha già un ruolo e un destino segnato nella storia dell’umanità. Non è mai un errore mettere al mondo un bambino».
«Non dimentichiamo – prosegue Rao – che spesso le donne che non hanno documenti in regola hanno timore di recarsi in una struttura pubblica. Se lasciano il loro bambino in una culla evitano di essere ricattabili: noi non sappiamo, infatti, in quali mani si trovino, se si tratta di donne clandestine, abbandonate a se stesse. Con le culle diamo un aiuto alle donne, dando loro la certezza che questo servizio funziona».
Oltre al Mpv anche altre associazioni si sono interessate alle “culle per la vita”, tra le quali figurano il Rotary Club, il Lions Clubs, Inner Wheel International, Soroptimist International d’Italia, Associazione Italiana Donne Medico e Fondazione Francesca Rava. Alcune di queste culle sono inserite come servizi complementari all’interno o nei pressi degli ospedali con nomi specifici come “cullina” a Vittoria (Rg), “culla segreta” a Melegnano (Mi), “casetta rosa” a Biella, “chioccia” a Pedriano (Mi), “ruota 2.0” a Monopoli (Ba), e poi ancora “salvabebè”, “culla termica”, “ruota high tech”, “baby box”, ecc. Ma Rao sottolinea che l’iniziativa di gruppi volontari non è sufficiente e che la cosa ottimale sarebbe «che queste culle siano assunte come servizi essenziali di assistenza alla vita» e diventino «un servizio di cui risponde tutta la sanità pubblica, non il singolo direttore sanitario o la singola associazione. Finora in parlamento sono state depositate oltre 20 proposte di legge». Anche perché – spiega Rao – i costi di una “culla” moderna sono elevati: «L’ultima è costata 30.000 euro, ma si può arrivare anche a 60.000 euro».
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