Le associazioni Lgbt nella guerra delle torte

img-_innerArtFb-_melissaÈ il tempo delle torte in faccia nelle polemiche sulle leggi contro l’omofobia, ma non fanno ridere. In diversi Paesi del mondo si combatte da diversi mesi una vera e propria guerra delle torte. La cosa funziona così: una coppia gay si presenta in una pasticceria – i cui proprietari sono stati segnalati come cristiani o come critici del «matrimonio» omosessuale – e chiede una torta per celebrare la propria unione, o magari una festa di militanti LGBT. Non una torta qualunque, ma una con una statuina di due uomini o due donne in abito nuziale, o con uno slogan scritto con la panna come «Sì al matrimonio fra persone dello stesso sesso». Se il pasticciere si rifiuta, scatta la causa per omofobia, per «dare un esempio» e spaventare non solo i pasticcieri, ma tanti altri potenziali «omofobi».

La campagna è mondiale, ed evidentemente coordinata. Spazia dagli Stati Uniti all’Europa. Uno dei primi casi famosi, del 2012, riguardava una pasticceria di Denver, in Colorado, chiamata Masterpiece Cakeshop. Nel 2012 in Colorado non c’era il «matrimonio» omosessuale ma due uomini che erano andati a «sposarsi» nel Massachusetts volevano una torta per festeggiare a Denver. Il pasticciere ha rifiutato, invocando la libertà religiosa e la libertà di coscienza. Ma il giudice di Denver prima e la Corte d’Appello poi hanno dato torto al negoziante, ritenendo che la normativa del Colorado contro l’omofobia prevalga sulla libertà religiosa.

Né c’è solo il Colorado. Nell’Oregon una coppia di pasticcieri cristiani si è rifiutata nel 2013 di preparare una torta nuziale decorata per celebrare il matrimonio di due lesbiche. La causa è andata per le lunghe, ma il 29 gennaio 2015 un’autorità amministrativa, l’Ufficio del Lavoro dell’Oregon, ha condannato i pasticcieri non solo a confezionare le «torte omosessuali» che dovessero essere loro chieste in futuro ma anche a risarcire il danno morale alle due lesbiche. Si parla di centocinquantamila dollari: la torta nuziale più cara del mondo.

Non a caso la decisione dell’Oregon cita una sentenza del 22 agosto 2013 della Corte Suprema del New Mexico, di cui avevamo puntualmente informato i nostri lettori, in cui una fotografa artistica cristiana era stata condannata per essersi rifiutata di fotografare il matrimonio di due lesbiche.

Nello Stato di Washington i locali attivisti LGBT si sono detti che il numero della torta ormai fa parte di un repertorio già visto e si sono inventati una variante: hanno identificato una fiorista cristiana contraria al «matrimonio» omosessuale e le hanno chiesto una composizione floreale in onore delle «nozze» fra due uomini. La fiorista si è rifiutata, e ora rischia un castigo esemplare: sequestro dei conti bancari per garantire il pagamento dei futuri danni e chiusura del negozio. Il processo è fissato per il mese prossimo e l’Alliance Defending Freedom, una coalizione di avvocati che difende gratuitamente i cristiani nei casi in cui la libertà religiosa è minacciata è intervenuta a sostegno della malcapitata fiorista. Ma i precedenti non fanno ben sperare.

Nel frattempo, la scorsa estate, la strategia della torta era stata esportata anche in Europa, precisamente in Irlanda del Nord, attaccando una catena cristiana. Anche di questo caso avevamo tempestivamente informato i nostri lettori. Il processo nel merito è fissato per il 26-27 marzo prossimi, e se ne vedranno certamente delle belle.

L’ultimo episodio della saga è di segno contrario. Stufi di porgere l’altra guancia alcuni protestanti fondamentalisti, anche loro di Denver nel Colorado, si sono rivolti a un pasticciere gay chiedendogli una torta per una loro festicciola con una scritta di panna «Dio odia i gay». Di fronte al rifiuto, hanno fatto causa per discriminazione religiosa. Naturalmente lo slogan è inaccettabile per un cattolico, e anche il protestante dovrebbe sapere dalla Bibbia che Dio odia il peccato, non il peccatore. Però la provocazione potrebbe servire a mostrare a quali esiti grotteschi portino le norme sull’omofobia. E quali pasticci – è proprio il caso di dirlo – provoca il giudice quando entra in pasticceria.

di Massimo Introvigne

Fonte: http://www.lanuovabq.it/


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