L’avvincente testimonianza di A.G.Fruchtenbaum

FruchtenbaumConsiglio a tutti di leggere questa testimonianza, vi assicuro non vi stancherete di leggerla, è avvincente, e molto istruttiva per chi vuole conoscere di più sui nostri fratelli ebrei-messianici. 

Introduzione

Probabilmente molti di coloro che leggono queste pa-role avranno ascoltato altre testimonianze di perso-ne che sono arrivate a una conoscenza personale del Signore Gesù come Messia.

Vi è comunque una grande differenza fra la testimo-nianza di un credente Gentile (con “Gentile” si in-tende una persona senza origini ebraiche N.d.T.) e quella di un credente di origini ebraiche. Spesso i credenti Gentili iniziano la loro testimonianza par-tendo dall’infanzia o addirittura tornano indietro fino alla loro nascita. Tuttavia la testimonianza di un credente Ebreo deve iniziare da molto prima.

Quando un Ebreo si confronta con l’affermazione che Gesù è il Messia, questo solleva problemi e domande le cui origini sono radicate in in-segnamenti vecchi di secoli e secoli. In realtà la testimonianza di ogni Ebreo messianico ha le sue origini nelle seguenti parole di Gesù:

Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: «Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che oc-corre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi. Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata».

Luca 19:41-44

Cadranno sotto il taglio della spada, e saranno condotti prigionieri fra tutti i popoli; e Gerusalemme sarà calpestata dai popoli (gentili), finché i tempi delle nazioni siano compiuti.

Luca 21:24

Quarant’anni dopo che Gesù disse queste parole le legioni romane inva-sero la terra d’Israele. Dopo due anni d’assedio la città di Gerusa-lemme venne distrutta in modo tale che si adempì esattamente la profe-zia delle Sacre Scritture sopracitata. Da quel momento in poi la sto-ria del popolo ebraico passò attraverso un periodo chiamato Diaspora: ovvero, la dispersione mondiale degli Ebrei e l’inizio di secoli di persecuzione. Non soltanto il popolo venne obbligato a lasciare la propria terra, ma ben presto scoprì di essere continuamente forzato a spostarsi da un posto all’altro e da una nazione all’altra.

La storia degli Ebrei da quel momento in poi è stata una continua fuga dai persecutori antisemiti. Non appena riuscivano a stabilirsi in un angolo d’Europa, un gruppo antisemitico prendeva il controllo di quell’area e usava la propria autorità per uccidere gli Ebrei e per confiscare i loro terreni obbligandoli ad andare altrove a cercar di-mora. Quindi le parole di Mosè divennero vere alla lettera: gli Ebrei sarebbero stati dispersi e allontanati da tutte le nazioni della terra (Deuteronomio 4:27-29; Levitico 26).

Una delle più grandi tragedie dell’oppressione ebraica è che a partire dal quarto secolo fino ad oggi, praticamente tutte le persecuzioni so-no state fatte nel nome di Gesù Cristo, della chiesa e della croce.

A causa di questo una grande barriera si è alzata nella mente degli Ebrei fra “noi” e “loro”: dove “loro” è riferito ai Gentili o Cristia-ni (per molti Ebrei questi due termini sono sinonimi) che adorano un Dio chiamato Gesù nel cui nome ammazzano e opprimono gli Ebrei.

Questo è il passato storico con cui la maggior parte degli Ebrei deve confrontarsi faccia a faccia quando si trova a dover affrontare l’argomento di Gesù Cristo: dispersione e persecuzione nel nome di quest’ultimo. Questa è stata anche la mia esperienza personale, ma la-sciatemi iniziare illustrandovi la storia della famiglia Fruchtenbaum.

Radici

Dal diciassettesimo fino al diciannovesimo secolo, la Polonia aprì le porte agli Ebrei rifugiati che scappavano dalla persecuzione in altre aree d’Europa. Al tempo della prima guerra mondiale, la comunità e-braica polacca contava tre milioni di persone ed era la più grande co-munità ebraica nel mondo. All’interno di questa comunità una setta re-ligiosa cominciò a crescere fintanto che arrivò a permeare l’intero Giudaismo. Queste persone passarono alla storia come Chassidim (lette-ralmente “i pii”), cioè gli Ultra-Ortodossi. Andavano sempre vestiti di nero, con larghi cappelli di pelliccia, lunghe barbe e riccioli ai lati del capo: il loro tradizionale abbigliamento.

Dopo la morte del loro fondatore, il movimento si suddivise in ulte-riori gruppi basati soprattutto sulle aree geografiche.

Fra i conduttori di uno di questi gruppi (conosciuto come Gerer Chas-sidim) vi era la famiglia dei Fruchtenbaum. Mio nonno, suo padre e co-sì via erano fra i conduttori di questo gruppo. Per diventare capo gruppo mio nonno dovette sottostare ad una rigorosa preparazione. All’età di tredici anni aveva già memorizzato i primi cinque libri di Mosè in ebraico. All’età di diciotto aveva memorizzato l’intero Vec-chio Testamento. All’età di ventuno era in grado di indicare la posi-zione di tutte le parole della Bibbia ebraica. Se qualcuno prendeva una pagina a caso, mio nonno era capace di recitargliela a memoria, parola per parola nel corretto ordine pagina dopo pagina. Questo era il livello di memorizzazione richiesto a tutti i componenti di quel piccolo gruppo. Dal momento che le Scritture servivano soprattutto co-me studio di base, mio nonno dovette trascorrere il resto della sua vita studiando i libri delle tradizioni rabbiniche.
La sua intera comprensione delle Scritture fu determinata da questi scritti e dalle interpretazioni date dai rabbini di secoli prima. Non fu mai veramente capace di leggere un testo e di comprendere ciò che veniva detto in modo semplice; la sua interpretazione veniva sempre controllata dalla tradizione ebraica. Per questa ragione, sebbene co-

noscesse così bene le Scritture, non fu mai in grado di vedere in esse Gesù come Messia.

Un’idea di quanta autorità avesse mio nonno fra gli Ultra-Ortodossi si può avere dal dibattito sui pomodori. I pomodori, come i cereali e il tabacco, furono scoperti nel nuovo mondo e poi introdotti in Europa. I pomodori non raggiunsero alcune parti della Polonia fino alla prima guerra mondiale. Quando arrivarono sorse la domanda: “Sono kosher?” (per kosher s’intende un cibo che non viola le leggi di Mosè per la sua natura o preparazione secondo l’interpretazione rabbinica scritta nel Talmud N.d.T.). Questo fu un grosso problema per la comunità e-braica di quel tempo. Era permesso a un Ebreo mangiare i pomodori? La Bibbia non fa alcuna menzione dei pomodori e nessuno ne aveva mai vi-sti prima, quindi erano kosher oppure no? Alla fine fu formata una de-legazione e mandata da mio nonno per risolvere il problema. Egli disse loro di ritornare dopo una settimana. Durante quella settimana uscì a comprare alcuni pomodori e li portò a casa per studiarli. Tagliò i po-modori e ne osservò i colori, i semi e così via; consultò il suo libro di tradizioni e scritti rabbinici e alla fine decise che erano kosher. Da quel momento in poi la sua comunità cominciò a mangiare pomodori.

La sua ortodossia era così rigida che contribuì persino alla sua mor-te. Era l’anno 1937, durante il giorno di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, il giorno più sacro di tutto il calendario ebraico, quando gli venne l’appendicite. Siccome era il giorno più sacro egli rifiutò ogni tipo di cura medica fino a che le 24 ore dello Yom Kippur furono completamente trascorse.

Alla fine la sua appendicite era degenerata a tal punto che morì la sera stessa.

Mio Padre

Dopo la morte di mio nonno, mio padre iniziò la preparazione necessaria per proseguire come condut-tore. Seguì le stesse modalità di apprendimento che aveva intrapreso mio nonno, in particolar modo la memorizzazione delle Sacre Scritture.

Arnold e suo padre, 1945

L’educazione di mio padre fu interrotta nel 1939 quando i Tedeschi invasero la Polonia e scoppiò la seconda guerra mondiale. Riuscì a scappare in Rus-sia, ma i Russi non mostrarono agli Ebrei più mise-ricordia dei tedeschi. Nonostante fosse un Ebreo, lo accusarono di essere una spia nazista, e lo trasportarono in Sibe-ria in un campo di prigionieri dove vi rimase per i due anni successi-vi. Nel 1941 i Tedeschi attaccarono la Russia e cominciò una nuova fa-se bellica. I Russi avevano bisogno del supporto del governo polacco esiliato in Gran Bretagna. Il governo polacco in esilio promise il supporto a condizione che i Russi rilasciassero tutti i cittadini po-lacchi dai loro campi di concentramento. Come cittadino polacco mio

padre fu rilasciato dalla prigione. Comunque, dal momento che la Ger-mania dominava la maggior parte della Russia europea, decise di rima-nere in Siberia fino alla fine della guerra. Sopravvisse a quel perio-do usando le capacità che aveva acquisito da giovane quando era ap-prendista presso un fotografo. La guerra e la politica di Stalin del trasporto in massa della propria popolazione creò una forte richiesta di passaporti e altri documenti ufficiali che necessitavano di foto-grafie. Tutti ne avevano bisogno e quindi mio padre fu in grado di ot-tenere un regolare stipendio. Questo fu anche il modo in cui incontrò mia madre. Anche lei fu costretta a emigrare in Siberia ed ebbe biso-gno di fotografie per i documenti. Si sposarono pochi mesi dopo. Quan-do io nacqui, il 26 Settembre del 1943, mi fu dato il nome russo Ari-chek Genekovich Fruchtenbaum.

Il ritorno in Polonia

Quando finì la seconda guerra mondiale a tutti i cittadini polacchi fu dato il permesso di ritornare in Polonia e i miei genitori decisero di farlo. Allora avevo tre anni. La lunga strada di ritorno portava verso l’Ucraina. Là mia madre si ammalò di tifo, le venne la febbre e dovet-te essere ricoverata in ospedale. Ancora una volta mio padre dovette trovare da lavorare per sopravvivere e fu costretto a mettermi in un orfanotrofio. A quel tempo in quella zona ci fu una grande carestia. C’era pochissimo cibo a disposizione e niente per gli orfani. I bambi-ni morivano di fame. Ma alla fine di ogni giorno mio padre veniva all’orfanotrofio con due pezzi di pane per suo figlio. Sebbene fossi ridotto a pelle ed ossa, sopravvissi grazie all’ingegnosità di mio pa-dre. Finalmente mia madre guarì e noi completammo il nostro viaggio di ritorno in Polonia. Ritornammo in un piccolo ghetto ebraico circondato prevalentemente da persone che frequentavano la Chiesa Cattolica Roma-na. Il nostro soggiorno in quel posto durò meno di un anno.

Mio padre riuscì ad incontrarsi con i membri della sua famiglia che erano sopravvissuti all’Olocausto. In famiglia erano tredici fratelli, sette dei quali erano morti e di questi, sei durante l’Olocausto. Tro-vò un fratello e tre sorelle, una delle quali aveva perso il marito, mentre il fratello aveva perso la moglie e l’unico figlio. Un secondo fratello era riuscito a scappare in Israele nel corso della guerra. Gli altri erano tutti morti insieme alle loro mogli e ai loro figli: alcuni nel ghetto di Varsavia, altri ad Auschwitz, alcuni furono fuci-lati nella foresta di Ponari vicino a Vilna, la maggior parte perirono a Treblinka.

Pochi mesi dopo il ritorno in Polonia dovevamo festeggiare la nostra prima Pasqua dalla fine della guerra – Pasqua 1946. Questa Pasqua do-veva essere particolarmente importante e significativa dal momento che avremmo ricordato sia la nostra liberazione dall’Egitto sia quella dalla Germania. L’aspettavamo con ansia. Durante gli otto giorni di Pasqua dovevamo mangiare soltanto pane senza lievito (per Pasqua non è

permesso niente che contenga del lievito) e così le nostre madri co-minciarono a cuocere il pane azzimo in preparazione della Pasqua. In quello stesso tempo un bambino della chiesa Cattolico-Romana scomparve e le dicerie Cattolico-Romane sostenevano che gli Ebrei avevano biso-gno del sangue di un Cristiano per poter preparare il pane senza lie-vito. Queste dicerie si sparsero per tutta la Polonia e la prima notte di Pasqua, come ci sedemmo per mangiare, ci furono delle folle di per-sone nelle strade organizzate dalla polizia sotto la direzione della gerarchia ecclesiastica. In tutta la Polonia violente bande attaccaro-no i ghetti ebraici, incluso quello dove stavo vivendo, e nella notte di Pasqua del 1946 in tutta la Polonia molti Ebrei furono uccisi nel nome di Gesù Cristo. È stato in queste circostanze che per la prima volta ho sentito menzionare il nome di “Gesù Cristo”, ma non come uno che era venuto a morire per me, piuttosto come qualcuno per il quale io avrei dovuto morire. Mentre quei gruppi irrompevano nelle case de-gli Ebrei (la nostra non fu una di quelle) c’erano dei preti accanto a loro che sventolavano grosse croci, e prima dell’uccisione di ogni E-breo gridavano la frase: “Avete ucciso Cristo e adesso noi uccidiamo voi”. Fu in quei termini che io udii per la prima volta parlare di Ge-sù.

Fu a motivo di quell’esperienza che nella mia mente cominciò ad alzar-si una barriera, così come nella mente di altri Ebrei, fra “noi” e “loro”. Non volevo aver niente a che fare con il mondo dei Cristiani o Gentili. L’unico Gesù che conoscevo era quello odioso e assassino pre-sentato dalla chiesa cristiana, ma non il vero Gesù del Nuovo Testa-mento.

Fuga dalla Polonia

L’unica cosa buona che venne fuori da quel massacro polacco (Pogrom di Kielce N.d.T.) fu il lavoro nascosto dei servizi segreti israeliani. Quando i servizi segreti udirono ciò che era successo in Polonia co-minciarono a formulare un piano per liberare dalla cortina di ferro quanti più Ebrei fosse possibile. Lavorarono con la polizia di fron-tiera polacca riuscendo a corromperla per poter arrivare a un “compro-messo”: per trenta giorni ogni ebreo avrebbe potuto oltrepassare libe-ramente il confine polacco.

I miei genitori, tramite i servizi segreti, vennero a sapere che ave-vano un mese di tempo per lasciare la Polonia e decisero di farlo. Cercando di portare tutto ciò che potevamo nelle nostre borse, ci u-nimmo ad un gruppo di altri Ebrei e iniziammo il nostro lungo viaggio a piedi verso il confine. Alla fine arrivammo a destinazione e la po-lizia di frontiera ci fermò. Quando ci identificarono come Ebrei, le guardie misero i loro fucili dietro la schiena e si girarono alzando lo sguardo verso il cielo, facendo finta di non vederci: così facendo fummo liberi di attraversare la Cecoslovacchia. Successivamente sco-prii il prezzo pagato per il nostro attraversamento: niente di più di

alcune stecche di sigarette americane. Quest’ultime erano molto costo-se nell’Europa dell’Est di quel tempo e una stecca di Camel era suffi-ciente per garantire la libertà a un’intera famiglia di Ebrei. Se, da una parte, le sigarette hanno messo in pericolo la vita di molte per-sone, sicuramente hanno salvato la mia!

Dopo aver attraversato la Cecoslovacchia le cose furono disorganizzate per un po’ di tempo, ma alla fine i servizi segreti ci riunirono tutti e formarono un gruppo. Sotto le loro direttive viaggiammo attraverso la foresta ceca dirigendoci verso il confine ceco-austriaco, dove trattative simili alle precedenti erano state fatte con la polizia di frontiera. Furono necessarie diverse settimane per riuscire ad attra-versare la Cecoslovacchia, passando dal confine polacco per arrivare a quello austriaco, e proprio il giorno prima che arrivassimo al confine il governo ceco crollò mentre i comunisti prendevano il potere. Non appena i comunisti ottennero il potere le guardie del confine ceco, che erano state precedentemente corrotte, furono sostituite con quelle russe con cui non era stato preso alcun accordo. I servizi segreti ci dissero di aspettare mentre loro andavano al confine per investigare. Scoprirono che i Russi dovevano sottostare ad ordini molto stretti e non permettevano a nessuno di passare, tranne ai Greci che dovevano ritornare a casa dai campi di concentramento. Tornando al nostro na-scondiglio i servizi ci dissero di bruciare tutto ciò che portava scritto il nostro nome. In quella stessa notte, i passaporti, i certi-ficati di nascita e tutto il resto furono bruciati.

Il mattino seguente ci fu detto di comportarci da Greci e di andare dritti verso il confine ceco-austriaco controllato dalla polizia rus-sa. Nessuno di noi era Greco, nessuno di noi sapeva una sola parola di greco, ma nemmeno i Russi! Con questo semplice sotterfugio arrivammo sani e salvi in Austria; tutti tranne un membro dei servizi segreti che fu fucilato ed ucciso all’ultimo momento. Tutti gli altri membri del gruppo riuscirono ad arrivare sani e salvi. Da quel momento in poi applicai a me stesso, in un modo molto particolare, le parole di Roma-ni 1:16 perché “fui prima un Giudeo e poi anche un Greco”!

Una volta in Austria la polizia militare americana prese il posto dei servizi segreti e ci accompagnò attraverso l’Austria fino alla Germa-nia occidentale, infine ci collocarono in un campo profughi britannico dove trascorremmo i successivi cinque anni spostati in varie parti della Germania dell’ovest. Fummo trattenuti dal ritornare in Israele perché fu proprio in quel periodo che gli Ebrei della terra d’Israele stavano combattendo contro i Britannici per l’indipendenza. Rimanemmo in Germa-nia fino al 1951 quando ci furono dati i visti per emigrare in America.
Tre anni prima di questo fatto, e precisamente nel 1948, successe un avvenimento che si sarebbe dimo-strato significativo per la mia vita; questa cir-costanza mi portò a un confronto diretto col pro

blema della messianicità di Gesù. Tra le persone che lavoravano nei campi profughi c’era un pastore luterano, Teofilo Burgstahler, e la figlia Anna. Essi procuravano abbigliamento e aiuti umanitari per i nuovi profughi che arrivavano da dietro la cortina di ferro. È da lui che ricevemmo i vestiti al nostro arrivo nella Germania occidentale.

Quando venne a sapere che avevamo richiesto di espatriare in America, aveva con se l’edizione di ottobre del 1948 di una rivista ebreo-messianica dal titolo “Il popolo eletto”. Sulla copertina c’era l’indirizzo della sede di New York di questa particolare organizzazio-ne. Ne strappò via la copertina e la diede a mia madre dicendole di mettersi in contatto con loro al nostro arrivo a New York perché a-vrebbero potuto aiutarci. Mia madre non capì molto bene di che tipo di organizzazione si trattasse; semplicemente dedusse che era un’organizzazione per dare assistenza agli emigranti ebrei in America. Effettivamente faceva questo, ma anche qualcosa di più. Comunque quan-do lei lo capì era ormai troppo tardi – almeno per quello che mi ri-guardava. Nel 1951 la famiglia Fruchtenbaum, che adesso aveva anche un altro figlio e un’altra figlia, lasciò la Germania occidentale per una nuova vita negli Stati Uniti d’America arrivando a New York per stabi-lirsi a Brooklyn.

Brooklyn, New York

Non appena mia madre si fu sistemata a Brooklyn, prese la copertina della rivista ricevuta tre anni prima e salì sulla metropolitana che portava a Manhattan. Trovò l’indirizzo che stava cercando e all’interno dell’edificio incontrò qualcuno dell’organizzazione mis-sionaria. Fu ricevuta dal Dr. Daniel Fuchs, ma dal momento che mia ma-dre non parlava inglese e lui non parlava polacco, russo, tedesco o yiddish ebbero soltanto una breve conversazione. Lui si annotò il no-stro nome e indirizzo su un foglietto e promise di contattarci. In re-altà passarono sei anni prima che ciò si realizzasse e durante questi sei anni vissi in un mondo tutto ebraico a Brooklyn. Le comunità Gen-tili erano anch’esse molto ben distinte ed etnicamente divise tra A-fricani, Americani, Italiani, Portoricani e Gentili di pelle bianca. In sostanza, queste erano le suddivisioni all’interno di tutta l’area di Brooklyn. Dal momento che le scuole che frequentavo erano composte al 99% da Ebrei, i miei contatti con Gentili o Cristiani erano prati-camente nulli.

Dopo sei anni questa organizzazione missionaria aprì una nuova sede a circa un miglio di distanza da dove vivevamo. Qualcuno nell’organizzazione cercò fra i loro archivi ed estrasse tutti gli in-dirizzi dei contatti che si trovavano nei dintorni della nuova sede missionaria. Alcuni di loro furono poi mandati in giro per invitare le persone a venire nel nuovo luogo d’incontro.
Non passò molto tempo che ricevemmo una visita da Rut Wardell, che ci invitò ad un incontro “ebraico-cristiano”. Pensai che questo termine fosse una com-pleta contraddizione. O si era Ebrei o si era Cri-stiani, ma non entrambi. Chiunque si definisse Ebreo e allo stesso tempo Cristiano doveva essere schizo-frenico: due personalità in una.

Tuttavia era nata in me la curiosità e la sera del primo incontro decisi di andare. Entrai e mi sedetti. Più ascoltavo e più mi arrabbiavo. Non m’infastidiva che ci fossero degli Ebrei che parlavano di Gesù. Ero preparato a questo. Quello che mi faceva arrabbiare era il fatto che per farlo stessero usando la no-stra Bibbia, il Tanakh (il Vecchio Testamento). Sono cresciuto creden-do che noi avevamo la nostra Bibbia e i Cristiani avevano la loro Bib-bia. La loro Bibbia era il Nuovo Testamento che parlava di Gesù, ma Gesù non doveva far parte della nostra Bibbia. Eppure qui c’erano dei Cristiani che usavano la nostra Bibbia per parlare del loro Gesù e quel fatto mi diede ai nervi! Miss Wardel notò la mia agitazione e de-cise di non provare a ragionare con me. Al contrario mi lanciò una sfida. Mi diede un Nuovo Testamento e mi disse di portarlo a casa per vedere se Gesù non avesse fatto tutto ciò che ci si sarebbe aspettati che facesse il Messia. Accettai il Nuovo Testamento, non perché avevo aperto la mente, ma bensì perché ero deciso a provare questi errori schizofrenici una volta per tutte.

Lo portai a casa ed iniziai a leggerlo. Più leggevo il Nuovo Testamen-to e più la sua ebraicità s’imprimeva dentro me. Fu qualcosa di molto diverso da quello che mi aspettavo. Mi era stato insegnato dalla comu-nità ebraica che quello era un libro molto “gentile”. Tuttavia le pa-role iniziali del libro dicevano: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di A-bramo”. Più ebraico di così cosa poteva esserci? Più leggevo e più tro-vavo ebraismo presente nella lettura: rabbini, farisei, leviti e di-battiti teologici ebraici coi quali avevo familiarità. Nel libro tutto era estremamente ebraico e piuttosto diverso da quello che mi sarei aspettato.

Quando finii di leggere il Nuovo Testamento ero convinto che se Gesù non fosse stato il Messia d’Israele, allora non ci sarebbe stato nes-sun altro Messia, gli Ebrei riformati avevano sempre avuto ragione e noi Ebrei ortodossi avevamo vissuto in un mondo di sogni.

A questo punto avevo raggiunto “lo stadio uno”. Ci sono molti Ebrei che raggiungono questo stadio; sono convinti che Gesù debba essere il Messia ma non vanno mai oltre questo. Non fanno mai il secondo passo di accettarlo ad un livello personale; non Gli permettono mai di cam-biare le loro vite per paura di perdere amici, famiglia o lavoro; han-no paura di essere gettati in un mondo gentile a loro estraneo e poco familiare. Tutti questi pensieri e queste paure attraversavano la mia mente mentre tornavo per la seconda volta alla sede missionaria. Que-sta volta non ero più arrabbiato. Mi sedetti con Miss Wardell, la per

sona che per prima mi aveva invitato là, e insieme andammo dal Vecchio Testamento al Nuovo e viceversa, studiando le Scritture che riguarda-vano tutti gli insegnamenti concernenti il Messia. Fui pienamente con-vinto, abbassai il mio capo, accettai Gesù come mio Messia e io stesso iniziai a far parte del gruppo degli “schizofrenici”.

Nel medesimo tempo si era aggiunto un terzo figlio alla nostra fami-glia.

California

L’anno successivo la mia famiglia si trasferì in California ed io tra-scorsi i seguenti quattro anni a Los Angeles studiando in una scuola superiore dove l’80% delle persone erano Ebrei. Fu in quel periodo che sperimentai la verità delle parole di Gesù documentate nel Vangelo di Matteo (in parte citate anche da Michea 7:6):

Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è de-gno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.

Matteo 10:34-39

Durante il periodo che trascorsi in California l’opposizione di mio padre al mio credo messianico crebbe sempre di più. Mi proibì di anda-re a qualsiasi tipo di incontro, di Ebrei o altri. Mi proibì di legge-re la Bibbia: il Vecchio Testamento come il Nuovo. Da ultimo smise del tutto di parlarmi. Durante tutto il mio ultimo anno di scuola superio-re non ci scambiammo neanche una parola. Circa due mesi prima che fi-nissi le superiori, tramite mia madre mi mandò a dire che dopo il mio diploma avrei dovuto lasciare la casa. Questa significò una nuova cri-si nella mia vita spirituale. A questo punto erano quasi quattro anni che ero credente ed avevo avuto già molti problemi in casa per l’argomento di Gesù, ma ora mi stavano mandando via. In quel periodo stavo leggendo la lettera ai Filippesi e trovai rassicurazione nel ca-pitolo 4:19 : “Il mio Dio provvederà a ogni vostro bisogno, secondo la sua gloriosa ricchezza”. Quando finii le superiori avevo in tasca quel versetto e 120 dollari.

Ritorno a New York

Mio padre aveva preteso non soltanto che lasciassi la sua casa, ma an-che che andassi via dalla California; se si fosse saputo in giro che ero diventato un “Cristiano”, questo avrebbe potuto rovinare i suoi affari. Così nel 1962 mi diplomai alle superiori e tornai a New York. Impiegai due settimane per attraversare l’America da Los Angeles a New York. Quando arrivai, tutto quello che avevo speso dei miei risparmi erano 17 dollari. Dio fu con me in ogni momento del viaggio; Egli ave

va sempre provveduto un pasto, un letto, un passaggio in macchina o qualunque altra cosa che fosse stata necessaria durante la giornata.

Durante l’estate lavorai come volontario non pagato in un campo di E-brei messianici. Quando arrivò settembre praticamente tutti i miei soldi erano stati spesi e mi rimanevano soltanto 20 dollari.

Intanto ero stato accettato per frequentare un college cristiano di arte, ma le tasse ammontavano a 2.000 dollari (oggi sarebbero l’equivalente di circa 20.000 dollari annui) e coi miei 20 dollari non sarei andato molto lontano. Decisi che la cosa migliore da fare fosse saltare un anno, guadagnare quanto più denaro fosse possibile e ini-ziare i miei studi l’anno seguente. Questa decisione mi sembrava otti-ma, ma Dio non sembrava essere della stessa idea. Egli non mi diede alcuna pace interiore a riguardo. Infine mi convinse che dovevo ini-ziare subito il college lasciando che fosse Lui ad affrontare il pro-blema delle tasse. Nel settembre del 1962 entrai nell’ufficio della scuola, dopo essermi registrato ai corsi, uscii con un conto di 750 dollari da pagare entro la fine del primo semestre.

Ricordo che camminavo lungo il corridoio con il conto in mano pregando Dio in questo modo: “Signore, Tu non hai permesso che lavorassi un an-no prima, perciò dovrai provvedere Tu questa somma di denaro entro il tempo di scadenza”. Quattro mesi dopo finì il primo semestre e non soltanto Dio aveva provveduto 750 dollari, ma addirittura il college mi doveva dei soldi! Fu la stessa storia per sette semestri su otto. Ogni semestre iniziava e io dovevo dare al college dei soldi, ogni se-mestre si concludeva con il college che mi doveva restituire dei sol-di. Alla fine dell’ottavo e ultimo semestre il conto era in pari fino all’ultimo centesimo, e alla fine mi laureai nel 1966. I miei primi tre anni li trascorsi allo Shelton College in New Jersey, l’ultimo an-no lo trascorsi al Cedarville College in Ohio.

Naturalmente le tasse per l’insegnamento non erano la mia unica preoc-cupazione finanziaria. Avevo bisogno di comprare cibo, vestiti, nuovi libri di testo ogni semestre e così via. Fin dall’inizio ho utilizzato una politica precisa riguardo alle mie necessità, una politica che ho mantenuto fino ad oggi: mai far sapere pubblicamente ciò di cui avevo bisogno, nemmeno agli amici più intimi. Volevo essere sicuro che nes-suno mi desse dei soldi perché spinto da una forma di commiserazione, ma soltanto perché spinto dal Signore. Ho sempre pregato in privato chiedendo a Dio le cose di cui avevo bisogno e Lui ha sempre provvedu-to. I soldi sono sempre arrivati, la maggior parte delle volte da per-sone che non avevo mai conosciuto, persone che vivevano a centinaia di chilometri da me. Ancora oggi non ho la più pallida idea di come que-ste persone siano venute a conoscenza di un giovane Ebreo che studiava in un campus del New Jersey e più tardi nell’Ohio, ma Dio ha sempre provveduto. Durante gli anni del college mi nacquero altre tre sorelle in Califor-nia, ma non mi fu concesso di vederle.

Avendo dato testimonianza della verità di Matteo 10:35 circa la divi-sione fra un uomo e suo padre, vorrei anche testimoniare la verità delle promesse di Gesù riguardo a queste situazioni:

Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.

Mr 10:29-30

La promessa di Marco 10:30 dice che Dio elargirà benedizioni in questa vita per ciò che perdiamo a causa della nostra fede. Dopo aver lascia-to casa e cominciato il college fui “adottato” da altre tre famiglie; non fui adottato legalmente, ma adottato sotto ogni aspetto pratico. Fino ad oggi mi chiamano figlio e io li chiamo papà e mamma. Entro la fine del mio secondo anno al college sul mio portachiavi c’erano tre chiavi. Una apparteneva ad una casa nella città di Levittown, Long I-sland, un’altra ad una casa in Washington D.C. e la terza per una casa a Wildwood, New Jersey. Fui accettato come membro di ognuna di queste famiglie e ogni qualvolta mi trovavo nelle vicinanze avevo il diritto di entrare in casa loro e sentirla anche mia, sia che ci fossero altri oppure no. Fino ad oggi i loro figli e le loro figlie mi considerano un loro fratello e io considero loro miei fratelli e sorelle. Quando mi sono laureato al college la mia famiglia in Wildwood, New Jersey, lo annunciò sul giornale locale e per certo molti lettori devono aver preso la cosa per un errore di stampa. Vicino alla mia fotografia di laurea c’era un trafiletto che diceva: “I signori Charles Cattel an-nunciano la laurea del loro figlio Arnold G. Fruchtenbaum”. Posso ve-ramente affermare che, proprio come ha promesso Gesù, padri, madri, fratelli, sorelle e case mi sono stati letteralmente ridati in questa vita.

Israele

Dopo essermi laureato al college, mi iscrissi a un programma speciale all’Università Ebraica di Gerusalemme, perché da lungo tempo nutrivo un grande desiderio di andare in Israele a studiare. Il corso a cui mi iscrissi era un master in archeologia e geografia storica. Il suo co-sto ammontava a un totale di 2.400 dollari. Lavorai tutta quell’estate e misi da parte 800, ma questo mi lasciava con altri 1.600 dollari da trovare. Dieci giorni prima d’imbarcarmi sull’aereo che partiva per Israele, ricevetti una lettera dal governo degli Stati Uniti che m’informava che avevano deciso di assegnarmi una borsa di studio, quindi non un prestito, ma un sussidio a fondo perduto di 1.624, cioè 24 dollari in più di quello di cui avevo bisogno. Una sola condizione accompagnava la borsa di studio: era valida soltanto per studiare e-braico all’Università di Gerusalemme. Naturalmente ero più che felice di rispettare le loro condizioni e ho conservato quella lettera fino ad oggi. Questa clausola mi diede la possibilità di studiare per un

anno a Gerusalemme e di essere testimone oculare della guerra dei sei giorni nel 1967; quando la guerra scoppiò vivevo a soli quattro isola-ti dal confine con la Giordania. Due mesi dopo la guerra ritornai ne-gli Stati Uniti e cominciai a studiare in una scuola biblica di Dallas dove rimasi per quattro anni. Mi sposai dopo il primo anno.

Mary Ann

Incontrai mia moglie sette anni prima che ci sposassimo e cominciai a corteggiarla quasi immediatamente. Era una persona cocciuta e ci vollero sette anni prima che acconsentisse a sposarmi. Sette anni: questo significò che per farla diventare mia moglie dovetti lavorare tanto duramente quanto Giacobbe, il mio antenato, lavo-rò per ottenere la sua. Questo fatto mi preoccupò pa-recchio, perché mia moglie aveva due sorelle! In un banchetto nuziale ebraico il matrimonio è sigillato nel momento in cui lo sposo rompe un bicchiere sotto il tacco sinistro. Prima che questo avvenga può ancora cambiare idea, ma una volta che il bicchiere è rotto non si torna più indietro. Quando il mio testimone di nozze mi piazzò il bicchiere sotto il tacco, guar-dai velocemente dietro il velo per essere sicuro che mi stavo sposando con la ragazza giusta e solo allora ruppi il bicchiere. Coloro che so-no famigliari con la storia di Giacobbe (Genesi 29:15-30) capiranno il perché!

Servizio in Israele

Un anno dopo il nostro matrimonio, mia moglie ed io sentimmo che il Signore ci stava guidando a ritornare in Israele per affidarci un com-pito. Durante i nostri anni di scuola biblica entrambi lavorammo per il nostro sostentamento e la provvidenza miracolosa, di cui avevamo fatto esperienza in precedenza, in quel periodo di tempo si fermò. Quando arrivò il momento di ritornare in Israele, dove non avremmo po-tuto lavorare a motivo delle restrizioni sul visto, riponemmo nuova-mente la nostra fiducia in Dio affinché provvedesse per noi e durante tutti quegli anni Dio lo fece.

Così quando c’erano delle bollette da pagare i fondi arrivavano, e, ancora una volta, da persone che non abbiamo mai incontrato fino ad ora. Lavorammo in Israele per due anni, inizialmente assieme ad un piccolo numero di credenti Israeliani. Fu questo che alterò i “fari-sei” locali, che fecero talmente tante pressioni sul governo israelia-no che, alla fine, ci chiese di lasciare il paese. Tristemente ritor-nammo negli Stati Uniti nel 1973 e incontrammo molti giovani Ebrei credenti che avevano bisogno d’insegnamento e guida. Dopo aver lavora-to per due organizzazioni di Ebrei messianici, finalmente fondammo A-riel Ministries nel 1977.

Appendice

Durante il corso dei miei viaggi sfruttai ogni opportunità per cercare di contattare il pastore luterano che per primo diede a mia madre la copertina della rivista “Il popolo eletto” che alla fine mi condusse al Messia. Diverse volte ho avuto persone di origine tedesca nelle classi dove insegnavo. Facevano delle ricerche per me, ma alla fine scrivevano di non aver avuto successo. Infine smisi di cercare e deci-si che fino a che non avremmo entrambi raggiunto il paradiso, lui non avrebbe potuto conoscere il frutto del suo lavoro. Nel frattempo mi tenni occupato insegnando e scrivendo diversi libri, uno dei quali sulle profezie bibliche e intitolato “Le impronte del Messia” (Titolo originale: “The Footsteps of the Messiah”, N.d.T.). Due anni dopo la pubblicazione, il libro fu letto da un editore tedesco. Gli piacque: decise di tradurlo e pubblicarlo in Germania. Poco tempo dopo il libro fu visto in un negozio da un uomo che non sapeva niente di me, ma la cui moglie era interessata alle profezie bibliche. Quando lei vide il libro riconobbe il nome Fruchtenbaum e mi scrisse una lettera. In quella lettera spiegava che lei e suo padre, ormai morto, avevano in-contrato una famiglia di nome Fruchtenbaum in un campo di deportati alla fine della seconda guerra mondiale. Da come risultò in seguito, suo padre era il pastore luterano che stavo cercando. Data la sua mor-te e il fatto che lei era ora conosciuta col nome del marito, la mia ricerca non aveva dato frutti. L’anno successivo mia moglie ed io, al nostro rientro da Israele, ci fermammo in Germania per incontrarla. Fu allora che mi disse che aveva pregato per la mia salvezza tutti i giorni da quando avevamo lasciato la Germania nel 1951. Fui salvato nel 1957, ma lei non l’aveva mai saputo. Aveva continuato a pregare per me tutti i giorni fino agli anni ottanta quando scoprì che ero credente. Questa è veramente una potente testimonianza della perseve-ranza della preghiera. Oggi Manfred e Anna Kunstler sono dei referenti di Ariel Ministries nei paesi di lingua tedesca.

Come Arnold Fruchtenbaum anche tu puoi trovare pace nella tua vita attraverso la pace con Dio:

1. Realizza il piano di Dio.

La vita reale ha la sua sorgente in Dio.

Tu m’insegni la via della vita; ci sono gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi sono delizie in eterno. Salmo 16:11

2. Riconosci il problema dell’uomo.

L’uomo si è separato da Dio.

… ma le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la faccia da voi, per non darvi più ascolto … Isaia 59:2

3. Conosci il rimedio di Dio.

Dio ci ha dato l’unico sacrificio perfetto per il peccato attra-verso il suo Messia, l’Unto d’Israele.

Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre ini-quità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti. Isaia 53:5

4. Rispondi e ricevi il dono della vita eterna

Ricevere il Messia Yeshua (Gesù) consiste nel prendere la deci-sione interiore di abbandonare la propria via rivolgendosi a Dio e avendo fiducia nel Messia Yeshua che perdona i peccati e porta in una giusta relazione con Dio.

… ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome … Giovanni 1:12

Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chi-unque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Giovanni 3:16 16

A riguardo di Ariel Ministries

Ariel Ministries fu pensato per venire incontro a un bisogno urgente: evangelizzare e discepolare i nostri fratelli Ebrei. A tutt’oggi Ariel Ministries si trova ad operare in mezzo ad altre missioni ebraiche co-niugando i due punti menzionati in precedenza: l’evangelizzazione e il discepolato, ponendo una grande enfasi sulla dottrina biblica.

In tutto il mondo ci sono migliaia di credenti Ebrei desiderosi di vi-vere una vita ben equilibrata: condividendo la loro fede, pregando, studiando diligentemente la Parola e cercando la comunione con altri credenti. Questo spiega esattamente il perché dell’esistenza di Ariel Ministries.

Ariel Ministries è in qualche modo diverso dalle altre missioni ebrai-che, in quanto enfatizza sia l’evangelizzazione che il discepolato. Cerchiamo di sviluppare un programma bilanciato che raggiunga gli al-tri, mentre noi stessi cresciamo e maturiamo. Ringraziamo Dio per l’esistenza di altre missioni ebraiche, con la consapevolezza che Egli userà tutti coloro che vogliono ascoltarLo e ubbidirGli durante questi ultimi giorni prima del ritorno del Messia Gesù:

Poi i figli d’Israele torneranno a cercare il SIGNORE, loro Dio, e Davide, loro re, e ricorreranno tremanti al SIGNORE e alla sua bontà, negli ultimi giorni. Osea 3:5

E così, in questi “ultimi giorni”, la necessità e il futuro delle mis-sioni ebraiche non è mai stato più grande. Tuttavia non possiamo rea-lizzare questo lavoro da soli. Abbiamo bisogno dei nostri fratelli e sorelle nel Signore, sia Ebrei che gentili, per sostenerci ed aggiun-gersi a noi in questo compito.

Per questa testimonianza ringraziamo Raffaele Cicchese per avercela inviata, e anche Germana Cicchese per la traduzione.

Fonte: http://www.amicib.org


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