I Bambini, Cittadini Del Regno
Sono rimaste nella nostra memoria, a distanza di ventitre anni dalla sua prima proiezione, le scene suggestive e commoventi del Film-capolavoro di Roberto Benigni “La Vita è Bella”. Insignito di tre oscar, il film narra in chiave tragicomica gli orrori dell’olocausto attraverso la vicenda dolorosissima di Guido, un libraio ebreo e del figlio, il piccolo Giosuè, internati in un campo di concentramento.
Guido, cercando di nascondere al figlio la tragica realtà della deportazione, escogita un divertente piano: fa credere al piccolo Giosuè di partecipare ad un giuoco a premi. Spacciandosi per “l’interprete” del comandante tedesco, Guido “traduce tutte le regole del lager che stanno alla base del giuoco, consistente nell’affrontare prove tremende, il superamento delle quali dà il diritto di vincere un carro armato vero.
L’epilogo è agghiacciante, ma la verve comica del “Toscanaccio” lo stempera con un venatura umoristica: mentre i Tedeschi stanno per lasciare frettolosamente il campo di concentramento per l’imminente arrivo degli Americani, facendo strage dei deportati, Guido, travestito da donna, cerca di raggiungere la moglie Dora, dopo aver nascosto Giosuè, al quale fa credere che si è passati al giuoco del nascondino, ma, scoperto, viene barbaramente ucciso. Gli Americani entrano nel lager e uno di loro fa salire sul suo cingolato Giosuè, dopo essere uscito dal suo nascondiglio e, convinto di aver vinto il carro armato vero, grida: è vero. Il Film termina con la seguente frase pronunciata dalla voce narrante in sottofondo: ” Questa è la mia storia, questo è il sacrificio che mio padre ha fatto, questo è stato il sacrificio per me”.
La Vita è Bella è la storia dell’eterna lotta tra il bene e il male, è la storia del trionfo dell’amore sull’odio e la crudeltà umana. E’ anche la storia di un sacrificio, quello di un padre che ama teneramente il figlio, pronto a dare la propria vita perché il figlio sopravviva alle tragiche vicende umane. Ma “La Vita è Bella” è anche la storia di un bambino che ha una fiducia incrollabile in suo padre,egli si sente al sicuro, è protetto, e la paura che può sopraggiungere dalle situazioni minacciose della vita viene fugata, perché sa che suo padre è lì, pronto ad intervenire e a difenderlo. La presenza del padre lo rassicura.
La storia di Guido e Giosuè nella Vita è Bella ci richiama un testo dell’Evangelo, il quale enfatizza l’aspetto teneramente protettivo e amorevole di cui godono i bambini nel loro rapporto con Gesù. Stiamo parlando di Marco 10:13-15 (cfr. Mt19:13-15;Lc18:18-23). “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio. In verità, in verità vi dico, chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. E, prendendoli tra le braccia e ponendo le sue mani sopra di loro, li benediceva”.
L’espressione solenne di Gesù a favore dei bambini è la reazione indignata all’atteggiamento irriverente dei suoi discepoli, che cercavano di impedire le madri di avvicinarsi a Gesù, affinché i loro bambini fossero accarezzati da lui .Ci si domanda: perché i discepoli assunsero un comportamento disonorevole nei confronti dei bambini? La ragione va cercata all’interno della cultura della società ebraica contemporanea di Gesù. L’antica società ebraica non considerava i bambini come uomini in formazione, ma erano reputati insieme alle donne come membri di una società sottoposta all’autorità maschile. I figli rappresentavano una benedizione di Dio, ma soltanto nella misura in cui essi assicuravano la continuità della famiglia per la generazione successiva. L’infanzia era vista dalla cultura ebraica come uno stato intermedio tra la nascita e l’età adulta che era databile all’età di tredici anni. Non bisogna meravigliarsi se i discepoli mostrarono un atteggiamento duro e insensibile nei confronti dei bambini. La parola usata da Marco è quella greca “epetimesan” che significa rimproverare. Tale parola è usata altrove negli episodi di esorcismo (cfr. 1:25; 3:12; 9:25), di opposizione alla volontà di Dio (cfr. 4:39; 8:30-33) o esprimendo una totale censura (cfr. 10:13,48). Come Pietro non stanno pensando alle cose di Dio, ma alle cose degli uomini. (8:33) Gesù si oppose seccamente al loro comportamento. Gesù è profondamente indignato. La parola “indignare” (gr. aganaktein) significa “suscitare rabbia”, ossia, nutrire un forte disappunto. Il disappunto di Gesù in questo passo riguarda la sua compassione e difesa di chi non ha potere, chi è vulnerabile. “Lasciate che i piccoli bambini vengano a me, poiché il Regno di Dio appartiene a persone simili a questi”. Lungi dall’essere radiati, nel pensiero di Gesù i bambini sono gli eredi del Regno che egli ha inaugurato. L’affermazione rivela l’unica autorità di Gesù, perché egli correla il Regno di Dio con se stesso. Nel venire a Gesù i bambini sono i cittadini del Regno, manifestato solo e soltanto in Gesù. Che cosa ha in mente Gesù quando egli parla dei bambini come cittadini del Regno? I bambini spesso sono lodati per la loro innocenza, spontaneità e umiltà. Molti pensano che Gesù stia encomiando queste qualità che sono incarnati nei bambini. Tuttavia, benché queste virtù possano essere colti nei bambini, non sembra che Gesù stia lodando i bambini per tali nobili requisiti. L’enfasi cade sui bambini stessi piuttosto che sulle loro virtù, reali o immaginati. La parola greca,tradotta in italiano con quella di bambino” è “paidia” (Luca usa la parola greca “brefe”, che significa un piccolo bambino che non sa parlare). La terminologia suggerisce che i bambini sono sotto l’età della responsabilità, ci aiuta a capire che Gesù non sta enfatizzando l’innocenza, reale o supposta, o la spontaneità, ma la loro impotenza il loro bisogno di essere protetti. Se le cose stanno così, è presumibile che Gesù stia parlando dei cittadini del Regno, riferendosi a quei discepoli che considerano se stessi impotenti e insufficienti: essi sono piccoli, bisognosi di protezione, fiduciosi di ottenerla ponendosi alla sequela di Gesù. Ricevere il Regno di Dio come un fanciullo significa riceverlo come uno che non ha nessun merito, nessun potere, nessuna rivendicazione.
Un bambino non ha assolutamente nulla da dare, qualsiasi cosa che lui riceve, egli lo riceve per grazia o sulla base dei suoi bisogni piuttosto che suoi meriti. La figura del bambino così inteso diventa il paradigma di chi vuole mettersi alla sequela di Gesù, poiché solo le mani vuote possono essere riempite. E’suggestiva e tenera la descrizione plastica di Marco dell’azione di Gesù: egli prende teneramente tra le braccia i bambini benedicendoli. Il rituale della benedizione era molto conosciuta in Israele. Noè benedisse Sem e Jafet (Gen.9:26-27), Isacco benedisse Giacobbe e Esaù (Gen. 27; 28:1-4), e Giacobbe benedisse i suoi figli (Gen.48-49). Tale benedizione aveva lo scopo di passare il nome e la proprietà di uno ad un’altra persona. Anche l’imposizione delle mani era un rito sacerdotale di investitura in Israele, con il quale la saggezza (Deut. 34:9) e tutto ciò che aveva a che fare con il ministerio (Num. 27:18-20) erano conferiti sull’ordinando. (Tale rito era anche diffuso tra i primi cristiani, cfr. Atti 6:1-6;13:1-3) Nel suo ministerio Gesù spesso imponeva le mani nei casi di guarigioni, di malattie e nell’aiutare i bisognosi. La sua azione era portatrice di benedizioni, ossia espressione dell’amore incondizionato di Dio per gli impuri, i forestieri, le donne e i bambini. Abbracciando e benedicendo i bambini Gesù, dunque, significava l’accoglienza e la protezione dei bambini posti sotto le ali dell’amore paterno di Dio. Nella “Vita è Bella” Guido protegge teneramente il figlioletto Giosuè, a tal punto da perdere la sua vita perché egli sopravvivesse agli orrori dell’olocausto. I Bambini del Regno sono protetti dall’amore paterno di Dio, il cui Figlio ha donato la sua vita per salvarli dagli orrori e dalla barbarie del peccato e dei peccati.
“Lasciate che i bambini vengano a me, perché di loro è il Regno di Dio”.
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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