di Roberto Bracco – “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato”. 3:14 – Le parole di Gesù avevano un significato per Nicodemo, dottore in teologia, uomo di cultura, che oltre a conoscere la storia di Israele, suo popolo, sapeva anche muoversi nei meandri di quella che oggi chiamiamo filosofia della storia. Forse non sono altrettanto chiare per coloro che ieri ed oggi non hanno avuto o non hanno una Bibbia nelle mani.
Il Maestro si riferiva ad un antico episodio storico, un episodio drammatico durante il lungo cammino che dal paese d’Egitto doveva portare Israele nella Terra Promessa. Il popolo aveva parlato contro Mosè e contro Dio, aveva disprezzato la redenzione realizzata, aveva messo in dubbio le promesse divine, ed aveva contestato tutto il programma che era stato preparato per la benedizione di tutti, insomma era entrato in lotta con Dio.
Conseguenza fatale: il giudizio. Sopra ogni crimine il giudizio è inevitabile e se fra gli uomini qualche volta questo giudizio viene espresso nei confronti di sconosciuti, non può avvenire mai che ci siano sconosciuti o anonimi agli occhi di Dio. Gli Israeliti furono raggiunti dagli effetti, dalle conseguenze del loro peccato: l’intero campo, quindi l’immenso accampamento fu invaso da serpenti che la Bibbia definisce «ardenti»; l’aggettivo ha lasciato perplessi molti commentatori, ma all’infuori del significato che si possa dare al termine ardenti, tutto il resto del racconto è chiarissimo: coloro che venivano morsi dai serpenti morivano e forse, possiamo aggiungere seguendo una delle tante congetture relative all’interpretazione dell’aggettivo, morivano fra spasimi febbrili, simili a fiamme consumanti.
Non raramente l’uomo che ha offeso Dio si ricorda di Lui per essere liberato dell’immediato giudizio e gli israeliti sentirono questo bisogno, ma forse perché schiacciati dal peso della colpa, dalla consapevolezza della propria indegnità o forse perché fiduciosi nel potere di mediatore di un servo di Dio qual era Mosè, si rivolsero a lui per chiedere preghiere d’intercessione affinché fossero liberati dal terribile flagello.
Dio risponde, ma l’esaudimento sembra avere, soltanto formalmente, un aspetto diverso da quello chiesto dal popolo. I serpenti non vengono eliminati, ma viene provveduto un antidoto per tutti efficace, sicuro… vengono però poste condizioni precise per esperimentarlo e queste condizioni dimostrano che la differenza fra la richiesta del popolo e la risposta di Dio non è formale, ma sostanziale…
Dio ordina a Mosè di modellare un serpente di rame somigliante a quelli che strisciano nel campo… Questo deve essere posto sopra un’asta e collocato in maniera visibile in mezzo all’accampamento; il serpente di rame è la salvezza per coloro che vengono morsi, ma a condizione che guardino a quel serpente posto sull’asta.
II metodo, l’ordine di Dio sembrano veramente strani; perché non esaudire il popolo in conformità alla richiesta espressa: eliminare i serpenti? Perché l’antidoto doveva essere rappresentato da un serpente di rame simile a quelli che procuravano il terribile avvelenamento? Che potere poteva avere quel serpente per l’infelice che veniva morso e avvelenato?
Ma Gesù nel ricordare l’episodio a Nicodemo non soltanto non lo trova strano, ma lo propone come una perfetta figura del piano della redenzione cristiana. In quella figura sono affermate tutte le verità che devono essere conosciute e sono proposte tutte le scelte che l’uomo è chiamato a compiere davanti a Dio.
Prima di tutto, è affermato lo stato di peccato degli uomini, di tutti gli uomini: l’episodio antico parla di una rivolta generale contro Dio e contro il suo servo Mosè. E quella rivolta è soltanto l’ombra di quella che coinvolge tutto il mondo contro Dio e contro il Suo Unto.
Le parole di Paolo: «Tutti hanno peccato…» non hanno avuto mai tanta evidenza e applicazione quanta ai nostri giorni, perché se è vero che il peccato, l’immoralità sono stati fenomeni sempre presenti nella società, è altrettanto vero che l’universalità di certe aberrazioni che vediamo mescolate a criminalità, vizio, disonestà non c’è mai stata prima d’ora.
Oggi il peccato è uscito allo scoperto, ha alzato la voce, ha ostentato le proprie caratteristiche; possiamo addirittura dire che si compiace nel dare spettacolo, perché ha un pubblico sempre più compiacente. Ma questa folla contestataria, cioè che contesta Dio e calpesta la morale, ha trovato nel proprio male la causa delle proprie sofferenze: i serpenti strisciano numerosi. Sì, possiamo chiamarli droga, rapina, sesso; possiamo chiamarli violenza, prepotenza, odio; possiamo dare i più diversi nomi a questi rettili striscianti, ma in fondo dobbiamo ammettere che appartengono ad una sola specie che è poi quella incontrata anche da Eva nel giardino d’Eden, la Bibbia la chiama «serpente ardente» o «serpente antico».
In fondo l’uomo stesso ha generato questi serpenti perché il potere micidiale del loro veleno è apparso soltanto dopo l’infedeltà dell’uomo. Quindi ogni peccatore può vedere nel serpente l’immagine di sé stesso; nel morso mortale semplicemente l’effetto del suo veleno cioè del suo peccato.
I dolori, i tormenti della società al pari di quelli di ogni singolo individuo si spiegano con la posizione dell’uomo nei confronti di Dio: l’uomo ha peccato ed il veleno del suo stesso peccato gli è entrato nelle vene che ora bruciano, lo fanno soffrire, spasimare…
Perché usare eufemismi, perché cercare di cambiare la fisionomia delle cose mediante un gioco di parole? Il mondo soffre, l’uomo soffre perché tutti hanno contestato Dio e tutti hanno eletto, Sì! proprio eletto, il peccato.
Ma l’episodio proposto da Gesù non parla soltanto di sofferenza… dopo la sofferenza vi è la morte. Proprio la morte, e se molti non riescono a comprendere quanto la Bibbia afferma, cioè che l’uomo separato da Dio è già morto, possono almeno afferrare il concetto della morte eterna, della perdizione, che rappresenta l’inevitabile, fatale conclusione di tutti coloro che terminano la loro vita col veleno del serpente nel sangue o, diciamolo più chiaramente, col peccato nel cuore.
Anche nell’episodio antico però, fra le nebbie del male o la foschia della ribellione, spunta e brilla il sole dell’amore di Dio, di quel Dio che non ha mai abbandonato l’uomo. Dio offre la liberazione. Ma perché l’offre in modo diverso da quello richiesto e desiderato dall’uomo?
Non ci sembra che ci sia nulla di assurdo, di incomprensibile, specialmente se consideriamo obiettivamente il fatto da un punto di vista che possiamo definire giuridico.
I serpenti, il veleno, gli spasimi, la morte erano semplicemente gli effetti di una causa, quindi erano semplicemente la manifestazione di una legge del mondo morale e spirituale: il peccato del popolo tornava al popolo, si può dire che il serpente azione tornava come serpente giudizio e morte.
Dio ordina che sia modellato un serpente immagine del giudizio non tanto per ricordare il peccato, quanto per far riconoscere ad ognuno il bisogno della misericordia divina, per far guardare al mezzo della salvezza offerto da Dio, per far credere alla sua efficacia, per sperimentare la potenza. Tutto questo ci dice chiaramente che il peccato era ancora presente fra il popolo e che se gli israeliti avevano alzato il loro lamento lo avevano fatto non perché avevano riconosciuto, confessato e lasciato il loro peccato, ma soltanto perché desideravano essere liberati dagli effetti dolorosi della loro ribellione.
Come Mosè alzò il serpente di rame nel deserto… Il peccato è nel mondo ed il giudizio è nel mondo: tutti gli uomini sono privi della gloria di Dio. Per tutti vi è il veleno, il fuoco, la morte; ma per tutti è stata rizzata la croce del Golgota. In quella croce c’è l’immagine più cruda, più drammatica del giudizio. Ci sono le colpe, i peccati dell’umanità e le conseguenze pesano sul crocifisso divino… Egli è stato elevato per volontà di Dio e rimane espressione più alta dell’amore di Dio per gli uomini.
Perché le guerre, l’odio, i dolori nel mondo? Perché i serpenti sono ancora nel mondo ed i serpenti sono semplicemente e direttamente gli effetti della ribellione nel mondo…, ma non solo l’odio e le guerre, ma nel mondo c’è il veleno che procura la morte, la perdizione eterna, ma Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il Suo Figliuolo, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna.
I serpenti sono nel mondo, ma sul Golgota, fuori di Gerusalemme, fuori della santa fede degli israeliti, lontano dal Tempio, dai sacramenti, dalla liturgia, è stata rizzata la croce ed uno sguardo di fede a Colui che è stato inchiodato per essere peccato per tutti, vuol dire salvezza e salvezza eterna.
L’uomo deve però riconoscere che quel fuoco che brucia nelle sue vene è proprio il veleno dei serpenti striscianti; deve ammettere che gli antidoti offerti dalla religione, dalla cultura, dalla morale, sono assolutamente inefficaci per guarirlo.
Deve credere, deve guardare… parole di una semplicità sconcertante, ma decisioni ed azioni di autentico impegno morale e spirituale. Deve credere che proprio su quella croce Dio ha offerto l’Agnello che toglie il peccato del mondo. Non c’è altro nome, non c’è altro mezzo di salvezza; soltanto Cristo Crocifisso è perfetta salute per tutti gli uomini, per ogni uomo.
Deve guardare, ma il suo non deve essere lo sguardo distratto del passante, lo sguardo feroce del ribelle, ma lo sguardo umile, appassionato di chi sa che è malato, di chi sa che soltanto da quella croce gli può venire l’eterna salvezza.
A quanti sentono bruciare il fuoco nelle vene, a quanti spasimano nella sofferenza, a quanti si sentono trascinati verso la morte, a quanti cioè avvertono e soffrono i sintomi del morbo fatale, ricordiamo: Come Mosè alzò il serpente nel deserto per essere guarigione per gli israeliti, Dio ha voluto che fosse innalzato Cristo al Calvario per essere salvezza per gli uomini.
— Credi nel Signore Gesù.
— Guarda alla Croce del Golgota.
— Accetta il dono dell’amore di Dio.
Questo, questo soltanto è l’antidoto che ti guarisce e ti salva per tutta l’eternità.
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