GIÙ LA MASCHERA: IL CRISTIANO DI FRONTE ALLA SFIDA DEL RINNOVAMENTO DELLA MENTE (ROM 12:9-21)
“L’odio alimenta la vita e fa l’uomo forte”. Espressione quasi proverbiale, quella proferita dal console Quinto Arrio (Jack Hawkins) nel film-kolossal di William Wyler, Ben Hur (1959), nei riguardi del bellicoso principe ebreo BenHur, condannato ingiustamente alle galee dall’ambizioso e perfido amico d’infanzia il tribuno Messala (Stephen Boyd).
Si può ragionevolmente affermare che il sentimento dell’odio e della vendetta è fortemente radicato nell’animo umano. “L’odio è un tonico, fa vivere, ispira alla vendetta” direbbe Honoré de Balzac nel suo romanzo “La pelle di Zigrino”, oppure “l’odio è di gran lunga il più durevole dei piaceri”, canterebbe il poeta inglese George Gordon Byron nel suo poema “Don Giovanni”. Insomma, l’odio e la vendetta sono forti e intense emozioni dell’anima umana, dalle quali l’uomo acquisiste maggiore vitalità, come il fuoco giocoso dei caminetti che si infiamma e scoppietta al soffio impetuoso del mantice.
Contro la cultura imperante e umiliante dell’odio si oppone la parola quieta e delicata di Gesù, silenziosa e docile, ma dinamicamente incisiva e potentemente trasformatrice : in e con Gesù si afferma la controcultura dell’amore esteso anche ai propri nemici. Paolo lo aveva ben compreso a tal punto da regalarci alcuni frammenti della sapienza divina, che per l’uomo secolare è pura follia. Il Cristiano è un Folle. Egli sconvolge l’ardore etico dell’uomo, Figlio del Secolo, e lo consegna a Cristo, Figlio di Dio.
Il cap. 12 dell’epistola di Paolo ai Romani si rivela una delle pagine più intense della lettera d’amore che Dio scrive all’uomo. E’ fortemente parenetica: con paterna sollecitudine, l’Apostolo delle Genti esorta la Chiesa di Roma ad assumere senza esitazione e coraggiosamente quel carattere di Comunità controculturale rivoluzionario all’interno della società romana religiosamente superstiziosa e politeista, eticamente licenziosa, culturalmente raffinata.
Strutturalmente, l’epistola ai Romani è in gran parte dottrinale, tesa a definire l’universalità del peccato, l’inescusabilità dell’uomo (giudeo e gentile) in relazione alla conoscenza di Dio e all’evangelo, che è potenza di Dio, la drammatica condizione dell’uomo, la cui natura è miseramente incline al male, che vive il dramma di desiderare il bene senza che abbia la capacità intrinseca di realizzarlo, l’azione liberatrice dello Spirito di Dio, che riscatta l’uomo dalla sua umiliante disumanità, il ruolo prestigioso di Israele nell’economia della salvezza divina.
E’ anche l’epistola che ha determinato la conversione di grandi uomini della Chiesa, Agostino di Ippona, Martin Lutero, Charles Wesley, il cui poderoso pensiero ha contribuito a riso stanziare la fede cristiana in senso evangelico.
Forti e appassionate sono le parole dell’Apostolo: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio: questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà (Rom.12:12).
Queste parole infocate possono essere considerate come una significativa premessa di quello che immediatamente segue. In particolare, è la chiave di lettura di Rom. 12:9-21. L’espressione calda e tenera, “l’amore sia senza ipocrisia”, si impone come un vero e proprio titolo del testo. L’aggettivo greco, “anupòkritos”, significa letteralmente non atto alla scena, non finto, non simulato. L’amore-agàpe è il risultato della trasformazione in atto dell’uomo interiore consegnato a Cristo. Non è un amore contraffatto: cuore-mente, parola-azione diventano un’unica “sostanza organica”. Il cristiano che esteriormente sorride cortesemente con le labbra, e stringe cordialmente la mano, ma il suo cuore è incupito dall’indifferenza e dal disprezzo, avvinto dall’antipatia, dal dileggio e dall’avversione, è un uomo che recita, è una grottesca, ridicola maschera goldoniana. Egli è simile a un uomo, direbbe Giacomo, che ha ascoltato la parola, ma non la incarna; egli guarda la sua faccia allo specchio, e, dopo che si è guardato, dimentica com’era (Giac. 1:22-24).
Lutero dice nel suo commento alla lettera ai Romani: “Esistono due forme di simulazione dell’amore. La prima è quella che mostra all’esterno un amore splendido all’apparenza e nasconde all’interno un odio reale. La seconda forma di simulazione dell’amore è quella che non nasconde l’amore cattivo e non manifesta l’odio buono. Ci sono coloro che non rimproverano, né ammoniscono, né correggono il prossimo quando sbaglia, quando pecca. Anzi essi ridono e scherzano con chi sbaglia, come se fossero buoni amici, perché non vogliono offenderlo. Essi scambiano i vizi per virtù, che ammirano e lodano. (1)
La condotta del cristiano, che si fa trasformando nel rinnovamento della mente, in cui opera l’amore-agàpe senza simulazione è descritta con una serie di participi e aggettivi (riguardante l’amore fraterno, l’onore, lo zelo,l’allegrezza nella speranza, la pazienza nella sofferenza,la perseveranza nella preghiera, il provvedere alle necessità dei santi, l’esercizio dell’ospitalità), che trova il suo momento culminante nell’amore verso i nemici (c’è una forte eco delle parole catechetiche del Sermone sul monte nella esortazione di Paolo). Nell’esperienza cristiana dell’amore divino non c’è spazio per la vendetta. Il cristiano non deve rendere la pariglia, pane per focaccia al suo nemico, ma “accendere dei carboni accesi” sul suo capo. Per comprendere meglio il senso di queste “folli” parole ci viene ancora in aiuto l’ex monaco agostiniano di Wittemberg: “Dice il beato Agostino: <<bisogna intendere che ciò che è stato detto, affinché noi, facendo del bene a chi ci ha fatto torto, lo provochiamo a pentirsi del suo operato. Infatti, questi “carboni”, cioè le buone azioni, hanno la capacità di ustionare, cioè tribolare lo spirito. Di essi si dice nei Salmi: <<Frecce acute di un potente con carboni di desolazione>>. Così, infatti, anche Dio converte quelli che converte, facendo loro vedere la sua bontà. Questo è l’unico modo di effettuare una vera conversione, cioè per mezzo dell’amore e della bontà. Infatti, chi è convertito dalle minacce e dal terrore, se persevera in questa forma di conversione, non è mai veramente convertito, perché il timore gli fa odiare colui che lo converte. Invece, chi è convertito dall’amore arde dal desiderio di andare contro se stesso e si adira contro se stesso più di quando colui che lo converte possa adirarsi contro di lui, poiché egli è fortemente scontento di se stesso. Costui, infine, non ha bisogno che gli si proibisca qualcosa, che si vigili su di lui, che gli si chiede soddisfazione. L’amore gli insegnerà tutto. Toccato dall’amore, egli segue subito colui che ha offeso. Noi ammucchiamo “carboni accesi” sul capo dell’avversario, ma Dio vi ammassa il fuoco stesso”. (2)
La citazione paolina è tratta da Prov. 25:21-22, avente lo scopo di suscitare rimorso e vergogna in colui che è stato l’artefice di azioni malevoli con azioni autenticamente amorevoli e far si che egli sia anche pervaso dal fuoco divino che dona l’amore senza ipocrisia.
1. Martin Lutero – La Lettera ai Romani – Paoline ed, Milano, pag. 657-658)
2. Martin Lutero – op. cit. – pag. 679
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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