Dopo la morte del marito, i parenti hanno iniziato a esercitare pressioni sulla donna e sulle figlie, sposate con giovani cristiani. Associazioni pro-diritti umani in campo a difesa della famiglia.
Islamabad – “Quando mi sono sposata, i parenti [di mio marito] hanno iniziato a esercitare pressioni, affinché mi convertissi [all’islam]. Ma lui ha sempre preso le mie difese, dicendo che ‘mia moglie e i miei figli devono sentirsi liberi di professare la loro fede’. Tuttavia, dopo la sua morte i suoi fratelli hanno ricominciato a vessarci. E hanno giurato di ucciderci, se non ci convertiamo all’islam”. È l’appello, drammatico e disperato, di una donna cristiana rimasta vedova; e che ora, senza un marito lungimirante, musulmano ma convinto difensore del diritto alla libertà religiosa, rischia di essere uccisa dai familiari.
Il matrimonio fra Muhammad Sadiq e Martha Masih Bibi, lei cristiana e lui discepolo di Maometto, ha saputo vincere anni di pressioni e minacce dei parenti dell’uomo, contrari a un legame con una “miscredente”. Eppure, la coppia di Lahore non si è mai allontanata e nel tempo ha festeggiato la nascita di tre femmine e un maschio. Le figlie si sono sposate con uomini provenienti da famiglie cristiane – una minoranza fragile e spesso perseguitata in Pakistan – e hanno deciso di mantenere la fede della madre.
Tuttavia, dopo la morte del padre avvenuta di recente, le ragazze hanno iniziato a ricevere minacce e pressioni dai fratelli [islamisti] del genitore, volte a ottenere la conversione. La figlia più grande Nosheen Afzal, sposata con Kamran Afzal, ha subito minacce dirette e personali dai familiari. Uno zio li ha bollati come “infedeli”, perché vivono da cristiani pur essendo (la ragazza) figlia di un musulmano. Per sfuggire alla rappresaglia hanno dovuto abbandonare la notte successiva – in tutta fretta e in gran segreto – la loro abitazione.
Negli ultimi giorni anche le sorelle sono finite nel mirino dei parenti, con minacce e pressioni. Per questo la madre Martha Bibi si è rivolta alle organizzazioni pro diritti umani, fra cui la Masihi Foundation, chiedendo protezione e aiuto. Denunciando il crescente “clima di intolleranza”, il team legale della fondazione si è subito attivato sporgendo denuncia presso le autorità competenti, chiedendo anche protezione per la famiglia. P. Robin John, sacerdote e attivista dell’arcidiocesi di Lahore rivendica il diritto alla libertà religiosa; egli ricorda l’esempio fornito dal padre che, seppur musulmano, non ha mai voluto imporre la propria fede ai figli. “Anche questo ha permesso loro di vivere felicemente”.
Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l’islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, dalla provincia del Punjab fino a Karachi, nella provincia meridionale del Sindh, dove nei primi otto mesi del 2012 sono state uccise più di 2.200 persone.
Da Asianews.it
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