Lahore, rilasciato un pastore accusato di blasfemia. È innocente

Il cristiano Babu Shahbaz era in carcere da un anno. Un gruppo di musulmani lo accusava di aver strappato pagine del Corano. Il giudice: “Le prove non sono valide”. Avvocato: “Potrà festeggiare il Natale in famiglia”.

Lahore – L’Alta corte di Lahore ha rilasciato su cauzione un pastore protestante, detenuto per quasi un anno con l’accusa di blasfemia. Nelle motivazioni della sentenza, inviata per conoscenza ad AsiaNews, i giudici scrivono che il rev. Babu Shahbaz è “innocente”. L’avvocato Nadeem Anthony riferisce con gioia: “Ringrazio l’Alta corte per aver dato giustizia al cristiano innocente”.

Il 6 dicembre scorso il pastore Shahbaz ha potuto riabbracciare la propria famiglia. Egli era stato arrestato il 30 dicembre 2016 nel villaggio di Kamahan [sobborgo di Lahore, ndr], dopo che un gruppo di musulmani locali aveva rinvenuto per strada 150 pagine del Corano strappate. Secondo gli accusatori, su 100 di quelle pagine era impresso il nome del pastore.

Rinchiuso nel Camp Jail di Lahore (il carcere locale), il rev. Shahbaz era accusato di oltraggio al profeta secondo la sezione 295-B del Codice penale pakistano, che non prevede la possibilità di rilascio cauzionale.  Nel verdetto del giudice Malik Shahzad Ahmad Khan si legge: “L’accusato avrebbe rilasciato alla polizia una confessione extragiudiziale…che non è ammissibile come prova. Il test con la macchina della verità non è attendibile e non si può fare affidamento su di esso in maniera cieca”. “Nessuna pagina del Sipara (capitolo) – aggiunge –, che sarebbe stata rinvenuta in possesso del richiedente, era strappata. Il semplice rinvenimento di un segno di evidenziatore blu in possesso del richiedente non è di per sé sufficiente per rifiutare il rilascio su cauzione, dal momento che in quasi tutte le case delle grandi città è possibile trovare un evidenziatore blu”.

Accertata l’innocenza del cristiano, il giudice ne ha concesso il ritorno a casa, previo pagamento di 200mila rupie (oltre 1600 euro). L’avvocato Nadeem Anthony sostiene che “i tribunali minori sono influenzati dalla pressione dei gruppi. Non ho fatto alcuna promessa alla famiglia della vittima, ho chiesto solo che venissero ascoltate le sue richieste. Casi simili richiedono un difficile lavoro a causa della sensibilità religiosa sulla questione. Spesso le vittime non possono tornare a condurre una vita normale nel loro ambiente, perché la società li boicotta”. Per esempio, continua, “la casa del Babu Shahbaz è rimasta chiusa. Per tutto il tempo della carcerazione, la moglie e i figli hanno vissuto da parenti. Ora la famiglia è stata trasferita in una località segreta, ma almeno avrà la consolazione di poter festeggiare insieme il Natale”.

In Pakistan la legge sulla blasfemia è costituita da articoli del Codice penale che puniscono con l’ergastolo o la pena di morte il vilipendio all’islam. Introdotta dal presidente Muhammad Zia-ul-Haq, è in vigore dal 1986. Anche il solo sospetto di oltraggio al Corano può provocare la reazione violenta dei difensori del Corano. Secondo la Commissione per i diritti umani, dalla sua introduzione almeno 59 persone sono state uccise in maniera sommaria.

Kamran Chaudhry | Asianews.it


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