Storica vittoria ambientalista nella cittadina dell’Oregon grazie a un referendum contro la costruzione di uno stabilimento industriale pronto a sfruttare le fonti di acqua locali. Un esempio per altri Stati dove la battaglia contro la vendita dell’acqua ai privati è solo agli inizi.
E’ LA PRIMA contea americana ad aver vietato a una multinazionale di imbottigliare l’acqua delle proprie fonti. Se il caso della cittadina dell’Oregon schieratasi contro il gigante Nestlé dovesse fare scuola, potrebbe aprirsi una fase difficile per l’industria dell’acqua. La piccola comunità rurale di Cascade Locks, 1200 abitanti a 70 km da Portland, nella contea di Hood River, il 17 maggio scorso ha bocciato con una votazione popolare l’apertura di una centrale della company svizzera che avrebbe dovuto imbottigliare 450 milioni di litri d’acqua l’anno, pari al 10% dei consumi totali della cittadina. Una battaglia senza esclusione di colpi, iniziata otto anni fa con la Nestlé alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, e che ha visto fronteggiarsi da un lato i sostenitori del “Provvedimento 14-55″, decisi a vietare la vendita dell’acqua ai privati, dall’altro la multinazionale, che prometteva di rimpinguare le casse del municipio (135mila dollari l’anno in tasse) e dare lavoro a 50 persone, “in un paese con una disoccupazione al 18,8%”, ha detto più volte il sindaco Gordon Zimmerman.
A prevalere, alla fine, è stato il no allo stabilimento con lo stop al progetto. Tra le argomentazioni degli ambientalisti, il pericolo di una drastica diminuzione di acqua disponibile alla fonte se i piani della multinazionale fossero andati in porto. Hood River County, denunciano gli attivisti di “Local Water Alliance” è un’area a rischio siccità e l’acqua un bene comune troppo importante “per permettere ai privati di sottrarlo alla comunità”. “Se oggi l’acqua è una risorsa critica, ancor di più lo sarà negli anni a venire, quando aumenterà la popolazione e diminuiranno le risorse disponibili”, scrivono sul proprio sito i difensori dell’acqua pubblica. “Venderla significa consegnare il nostro futuro nelle mani di altri”.
La Nestlé, intanto, prende atto della decisione. “Rispettiamo il processo democratico, pur nella convinzione che la decisione presa non vada nell’interesse di Cascade Locks”, ha commentato Dave Palais, manager delle risorse naturali per la company. Se il voto del 17 maggio frena l’espansione della multinazionale in Oregon, si teme ora l’effetto contagio. Incoraggiate dalla vittoria di Hood River, altre città che ospitano i giganti dell’acqua sul proprio territorio potrebbero decidere di “ribellarsi”. I primi segnali, in effetti, non mancano: a Flathead County, in Montana, gli abitanti hanno manifestato contro l’apertura di un possibile impianto di imbottigliamento, mentre lo scorso marzo, sulle montagne di San Bernardino, le autorità ambientali californiane hanno proposto un’analisi dell’impatto della fabbrica di imbottigliamento di Nestlé Waters North America. Recentemente, nel Maine, sempre alla multinazionale svizzera è stata revocata la concessione per usare la fonte di Fryeburg in seguito alle proteste degli attivisti.
“L’acqua non dovrebbe essere una commodity”, sostiene Julia De Graw di Food and Water Watch, associazione ambientalista con sede a Washington che coordina l’opposizione ai piani industriali di privatizzazione dell’acqua in Usa. Sebbene il mercato sia in crescita, con la vendita di bottiglie d’acqua che l’anno scorso ha sfiorato i 14,2 miliardi di dollari (+8,4% rispetto al 2014), lo stop arrivato dal piccolo paese dell’Oregon potrebbe non essere privo di conseguenze. “Utilizziamo l’acqua non più di quanto facciano altre industrie, come l’agroalimentare o il beverage”, si è difesa Jane Lazgin, portavoce di Nestlé Waters North America, interpellata dal Washington Post. “Il caso di Hood River County pone un precedente. In futuro si potrà vietare l’utilizzo dell’acqua anche per l’agricoltura e l’industria”.
Fonte: www.repubblica.it
Tratto da: Informarexresistere.fr
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