La voce della coscienza (1)

Predicazione portata da Nicola il 24 settembre 2023.

Definendo la coscienza come “consapevolezza del valore morale del proprio agire, anche come principio dell’operare” (Treccani), o come “facoltà  della valutazione morale rispetto a ciò che è giusto e sbagliato” (J. Macarthur, Dottrina Biblica, ATI pubblicazioni, p.454), non possiamo che fondare la nostra riflessione biblica sulle prime pagine del Libro della Genesi, dove leggiamo che Adamo ed Eva si vollero appropriare, su consiglio di Satana, della facoltà di discernere il bene dal male.

“Dio il Signore ordinò all’uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai»”

Genesi 2:16-17

Nell’affermare che Adamo ed Eva avessero in seguito agito senza avere ancora le avvisaglie della coscienza, qualcuno potrebbe pensare che essi fossero pertanto senza colpa, ma non è così, perché il comando che procede dall’autorità non ha a che fare col discernimento: va solo eseguito, altrimenti si incorre nella sanzione. Basti pensare alle conseguenze della trasgressione di un divieto stradale: l’ufficiale preposto non sarà interessato a sapere “perché mai” sfrecciavamo a 90 km/h in un centro abitato, mentre stilerà la contravvenzione; non siamo quindi chiamati a dare un’opinione, ma solo a mettere in pratica il comando!

Il Signore stabilì le conseguenze legali dell’atto di ribellione, senza stare a dare motivazioni di sorta sul perché del divieto. Sappiamo come andò, e possiamo evincere dal testo che la coscienza, intesa come arbitro morale insito nell’Uomo, fu attivata dall’acquisizione di questo “discernimento nuovo”:

“Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male» […] Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s’accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Poi udirono la voce di Dio il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio il Signore fra gli alberi del giardino. Dio il Signore chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?» Egli rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto». Dio disse: «Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato del frutto dell’albero, che ti avevo comandato di non mangiare?»”

Genesi 3:4-5,7-11

Per l’appunto, chi aveva mostrato loro di essere nudi? Le sottolineature che ho apposto ci  mostrano che essi prima si accorsero… e poi si nascosero. Una “voce interiore” era nata, per dir loro che dovevano solamente vergognarsi; un sentimento nuovo e assai spiacevole. La comunione con ciò che era bello, perfetto, buono e riposante era stata interrotta, lasciando spazio a un senso di profondo disagio e paura.

Da quel momento, la storia biblica è costellata di episodi che hanno questo triste epilogo, a partire da Caino che “si allontanò dalla presenza del Signore” (Genesi 4:16), passando per Giona che “si imbarcò per andare con loro a Tarsis, lontano dalla presenza del Signore” (Giona 1:3) o Giuda, che “vedendo che Gesú era stato condannato, si pentí, e riportò i trenta sicli d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, […] e buttati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi.” (Matteo 27:4-5); chiunque commetta peccato e si ribelli al Signore, sia lui credente o non credente, profeta o omicida, salvato o dannato, sente il primario impulso di scappare via per la vergogna.

Ma da Dio non si può fuggire: né dalla sua condanna, né dal suo amore salvifico.

A cosa serve la coscienza?

La parola greca  per coscienza, συνείδησις (syneidēsis), è presente solo nel Nuovo Testamento, e per lo più utilizzata da Paolo (più di venti volte delle trenta totali). Tale auto-giudizio morale sulle azioni e i pensieri, come detto, ci accomuna tutti. Non cominciamo ad avere una certa moralità dalla conversione, ma tale moralità è innata. Essa non conduce alla salvezza dell’anima; semmai, vedremo, è vero il contrario, perché la Bibbia ci conferma come la percezione del mondo cambi radicalmente quando una persona si ravvede in modo sincero. L’apostolo Paolo scrisse ai Filippesi:

“io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d’Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesú, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo”

Filippesi 3:5-8

Di questo passo sottolineo l’espressione “l’ho considerato”, per enfatizzare il cambiamento di giudizio nella mente di Paolo. Il suo essere un persecutore era stato in passato un motivo di vanto; con la conversione, non solo egli “cambiò bandiera”, ma i suoi consueti criteri di giudizio morale furono prima annientati e poi ricostruiti nuovi. Basti pensare che, una volta convertito, non avrebbe mai frustato a morte i nemici del Vangelo! (cosa che faceva un tempo, da fariseo, a scapito dei credenti), ma, vivificato spiritualmente, giudicava secondo l’uomo nuovo che “il nostro combattimento […] non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti.” (Efesini 6:12). La sua coscienza era ormai indissolubilmente legata a Gesù Cristo, sottomessa alla sua maestà, libera da crisi e incertezze, congiunta a un deciso cambiamento di pensiero e azione. Non scappava più via, “lontano dal Signore”, ma correva con buona coscienza e con perseveranza la gara che gli era proposta, al fine di ricevere la corona incorruttibile (cfr. 1 Corinzi 9:24-27, 2 Timoteo 4:7-8, Ebrei 12:1-2).

Abbiamo già detto che tutti, per grazia di Dio, possiedono la coscienza: credenti e non. Allora, per rispondere alla domanda “a cosa serve la coscienza?”, è meglio fare una netta distinzione secondo categoria:

  1. Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti

Nella prima categoria vorrei inserire insieme gli increduli, da una parte, e gli apostati coi falsi insegnanti dall’altra. La Lettera ai Romani riporta:

“Infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi; essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda. Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesú Cristo, secondo il mio vangelo.”

Romani 2:14-16

Questa verità è una rivelazione scioccante della Bibbia: in tutta la Terra, chi commette il male è consapevole di commettere il male e lo fa volontariamente, e così è di chi commette il bene, a prescindere dall’aver udito la Legge divina con le proprie orecchie. Questo ci dice due cose: che Dio è tanto potente da poter scrivere la propria Legge nel cuore degli uomini, ma anche che in tutti gli uomini è presente un giudizio critico di fondo sul proprio operato. Pertanto essi, tutti, sono inescusabili. Possiamo allora dire: in coloro che, contro coscienza, non cerchino Dio per essere salvati, riconoscendo che il proprio operato, in pensieri e azioni, non corrisponde al proprio giudizio morale, tale “voce di coscienza” funge da auto-giudizio. È il cuore stesso dell’uomo il suo primo giudice; Dio potrà dire: “tu sapevi!”.

Ma c’è un altro caso, forse peggiore, di coloro – chiamati, sì, ma non eletti – che ascoltano la Parola di Dio, e contro coscienza la pervertono; è il caso degli apostati e dei falsi insegnanti. Questi non hanno avuto solo la voce interiore, ma pure quella esteriore della Parola predicata e assimilata: entrambe fungeranno loro da giudici contro le proprie persone. L’apostolo Paolo scrisse a Timoteo:

“Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi, segnati da un marchio nella propria coscienza.”

1 Timoteo 4:1,2

Tale “marchio” lo si può intendere come una cauterizzazione o cicatrizzazione a fuoco, ossia una desensibilizzazione. In altre parole, in loro la coscienza è messa a tacere, o anche si produce in loro un indurimento progressivo, fino a che tale voce “non si sente più”. Senza voler divagare, “un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele” (Romani 11:25), che sofferse a lungo a causa di guide corrotte e con la coscienza cauterizzata.

In entrambi i casi, uomini perduti e apostati, c’è un rifiuto di quella voce di coscienza, come a volersi tappare le orecchie. Perciò, Gesù poté dire ai suoi discepoli:

“«Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli; ma a loro non è dato. Perché a chiunque ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chiunque non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole, perché, vedendo, non vedono; e udendo, non odono né comprendono. E si adempie in loro la profezia d’Isaia che dice: “Udrete con i vostri orecchi e non comprenderete; guarderete con i vostri occhi e non vedrete; perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile: sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non rischiare di vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi, e di comprendere con il cuore e di convertirsi, perché io li guarisca”.”

Matteo 13:11-15

L’enfasi aggiunta mette in risalto la deriva del processo di desensibilizzazione, passato per un continuo “non voler dare ascolto”, esteriormente alla voce dei Profeti, ma interiormente alla voce della coscienza, della quale il Signore aveva corredato il cuore del popolo, per non rischiare di guardare in faccia alla realtà della loro condizione spirituale e cercare aiuto.

Chiaramente, la voce del Figlio di Dio non era solo una semplice “voce di coscienza”, e questo brano ci mostra come Israele fosse ormai cieco, e che il rifiuto che dimostrò nei confronti di Gesù fu la prova finale del loro stato di rovina irreparabile (“ed ecco qui c’è piú di Giona”, Luca 11:32); ma dalla storia biblica sappiamo che il processo di indurimento di Israele fu lungo, e le parole di tanti profeti erano state rifiutate dal Popolo, fino a che le coscienze furono diventate insensibili. Attenzione: con questo non intendo, come già detto, che la coscienza possa mai e poi mai essere un veicolo di salvezza “qualora la si ascolti”, ma che essa, dipendendo dalla qualità della nostra natura (cfr. Efesini 2:1-3), ne è espressione, e ci rende inescusabili: in altre parole, chi è ancora morto spiritualmente ha una coscienza inefficace e impotente, perché anche se la “voce interiore” dovesse parlare, verrebbe messa a tacere o giudicata erronea dall’intero essere umano in stato di perdizione.

“Tutto è puro per quelli che sono puri; ma per i contaminati e gli increduli niente è puro; anzi, sia la loro mente sia la loro coscienza sono impure. Professano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, essendo abominevoli e ribelli, incapaci di qualsiasi opera buona.”

Lettera a Tito 1:15-16

http://ames.altervista.org/la-voce-della-coscienza-1/

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