Che la vita abbia la sua complessità è un dato di fatto. Molti non vogliono riconoscere questa verità, altri la rimuovono, altri si lasciano solo a continue lamentele della gravità di problemi da affrontare senza voler trascendersi, trasformarsi cambiare atteggiamento verso le cose.
Da psicologo e psicoterapeuta devo confermare come i pazienti dei tempi moderni difettano nella capacità di attivarsi, di rendersi responsabili di prendere la vita nelle proprie mani. Si preferisce affermare ed elencare la miriadi di problemi e di ansie. Si pensa che basta sfogarsi e tutto si risolve da se. Ma l’uomo non è come lo struzzo che, difronte alle difficoltà, scava la buca e infila la testa dentro, per non vedere. Spesso, non diversamente l’uomo si comporta. Non scava la buca, ma si passivizza di fronte agli eventi della vita (P. Riccardi “psicoterapia del cuore e beatitudini”. Ed Cittadella Assisi 2018). Il Signore disse ad Adamo: «Mangerai il pane col sudore del tuo volto» (Genesi 3:19). Il monito è al senso della responsabilità. E Gesù, disse: «Il Padre mio opera fino ad ora, ed anche io opero» (Giovanni 5:17). L’apostolo Paolo scrisse: «Se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede» (1 Timoteo 5:8). Si indica il senso della propria responsabilità perché la vita ci pone una serie di problemi. E allora cosa è meglio? Continuare a fare come lo struzzo o riprendere l’insegnamento evangelico del darsi da fare, attivarsi per risolvere i problemi? Da psicologo e psicoterapeuta e cristiano devo confermare che la difficoltà della vita è solo nella mente di ognuno, una mente senza riferimenti, una mente persa nel vuoto, una mente che percepisce la solitudine interiore. Allora di fronte ai problemi più banali ci sentiamo soli, tristi, incapaci, pronti all’ira e al senso di colpa. Disperati e angosciati cerchiamo in altri quelli che ci risolvono i problemi. Tipico del paralitico di Betsaida, L’infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che mi metta nella piscina quando l’acqua è agitata, e, mentre io vado, un altro vi scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina» (Gv 5, 7-8). Si legga con occhio della psicoterapia di Gesù quest’intervento. Gesù riconosce il problema, riconosce la sua passività, la sua dipendenza, ma lo stimola, per amore, ad un processo di responsabilità. Perché Gesù conosce come l’affrontare i problemi favorisce una evoluzione interiore. Psicologica e spirituale (P. Riccardi ibidem). I problemi non sono solo negli eventi e avvenimenti ma nella volontà e responsabilità dell’affrontarli. Certo si potrebbe obiettare come costruirsi il senso della responsabilità. il detto del rabbino Hillel (60 a.C): ‘Se non lo faccio io, chi altri lo farà? – E se non lo faccio ora, quando sarà il momento di farlo? – E se lo faccio solo per me stesso, chi sono io?’. Non servono studi di alta psicologia per capire come senza principio di responsabilità personale si perde il senso della propria identità.
Pasquale Riccardi
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