LA VITA DI ADONIRAM JUDSON

di T.W. ENGSTROM  –  In tutti gli annali delle Missioni, la storia di Adoniram e Anna Judsonmissionari-pionieri dell’India, sta come mirabile testimonianza del modo in cui Dio può operare attraverso vite che si dedicano completamente al Suo servizio. La loro fortezza, la fede in Dio e lo spirito di perseveranza saranno di stimolo e di ispirazione a coloro che hanno seguito e seguiranno le loro orme, come pure, a tutti quelli che amano la causa di ‘Cristo ed hanno a cuore la diffusione del Vangelo, in tutti gli angoli della terra.

Adoniram Judson, figlio maggiore di una veneranda e austera personalità della chiesa Congregazionista, nacque a Malden, Massachusetts, il 9 Agosto 1788. Fu un bambino straordinario e potremmo quasi definirlo un vero prodigio. Sua madre gli insegnò a leggere quando era ancora piccolissimo e suo padre, di ritorno da un viaggio, ebbe la gradita sorpresa di vedere che il suo piccolo, di appena tre anni, era capace di leggere un capitolo intero della Bibbia.

viaggio, ebbe la gradita sorpresa di vedere che il suo piccolo, di appena tre anni, era capace di leggere un capitolo intero della Bibbia.

Si mostrò sempre un giovane studiosissimo e molto più attaccato allo studio e alla lettura che ai giochi dei suoi piccoli amici.

A sedici armi, entrò nel «Providence College», ora noto come la «Brown University». Fu uno studente brillante e lasciò di sé un magnifico ricordo nel collegio. Al termine del suo ultimo anno, egli ricevette il più grande onore scolastico con l’incarico di pronunciare il discorso di chiusura a nome di tutta la sua classe. Il giovane Adoniram non sapeva ancora di preciso quel che avrebbe voluto fare nella sua vita dopo il conseguimento del diploma. Sembrava che due fossero le sue preferenze: l’avvocatura e lo scrivere commedie. Durante la sua vita di collegiale, il giovane Judson restò imbevuto di molte idee irreligiose. I semi dell’incredulità erano la conseguenza naturale della Rivoluzione Francese e questa conseguenza di ordine intellettuale aveva raggiunto gli Stati Uniti e si era diffusa dappertutto. Il migliore amico di Judson, un compagno di classe, era un magnifico prodotto di queste «Idee Nuove». La sua influenza su di lui era grande e perciò non passò molto che il nostro giovane divenne addirittura incredulo come il suo amico.

Judson era di carattere irrequieto e spesso lo prendeva il desiderio di girare per gli Stati Uniti. Conseguito il diploma, egli decise di visitare la città di New York per unirsi ad alcuni artisti di teatro. Egli fece ciò, come disse poi, «per familiarizzarsi con il loro genere di vita, nel caso che dovesse entrare nella carriera letteraria e, in parte, perché spinto dalla curiosità e dallo spirito di avventura». Durante la sua permanenza in città, egli prese il nome di Johnson, dato che il suo nome vero era spesso scambiato con questo. Restò solo poco tempo con la compagnia teatrale, essendosi presto stancato di quel genere di vita.

Aveva lasciato da poco la città di New York, quando prese alloggio in un piccolo albergo della periferia. Nella camera vicino a quella dove egli passò la notte, un uomo moriva e Judson fu costretto ad ascoltare i gemiti del morente. La mattina dopo, lo colpì la notizia che quell’uomo, passato all’eternità durante la notte, era l’incredulo suo amico di collegio. Judson era come istupidito mentre lasciava quell’albergo; ma, presto, fu completamente assorbito dai suoi pensieri. Alle sue orecchie risuonavano di continuo le parole: «Morto – Perduto – Perduto». Egli si rendeva conto ormai di essere stato sviato nel suo molo di ragionare e che tutte le lezioni di incredulità che aveva ricevute erano completamente sbagliate. Questo fatto singolare della vita di Judson lo spinse ad entrare, come studente aspirante al servizio cristiano, nel collegio Andover. Non era ancora un credente «rigenerato», eppure, appena sei settimane dopo il suo ingresso in quella scuola, e precisamente il 2 dicembre, egli accettò il Signore Gesù Cristo come suo personale Salvatore e dedicò la sua vita al servizio di Dio.

Nello stesso tempo si unì alla chiesa della quale suo padre era pastore. Il cambiamento verificatosi nella vita di Judson, dopo che egli aveva implorato da Dio il perdono dei suoi peccati e si era dedicato tutto al servizio del Maestro, era evidentissimo. Egli non sognava più per sé gloria ed onore; ma la sua ambizione consisteva nel regolare la sua vita secondo il volere di Dio.

Subito dopo la sua conversione, Adoniram cominciò a pensare alla vita missionaria.

Come in un lampo, Dio un giorno gli parlò e gli comandò di darsi alla vita missionaria imbarcandosi per andare in terra d’infedeli. Dobbiamo ricordare che, in quel tempo, non vi erano in America centri di Missione che si interessavano di mandare dei missionari a predicare il Vangelo di Cristo ai pagani. Quasi nello stesso tempo che parlava a Judson, Dio parlò al cuore di tre giovani del collegio Williams. Questi giovani, Samuel J. Mills, James Richards e Luther Rice, formarono, in quella scuola, una società missionaria. Poco tempo dopo, i tre giovani, per terminare il loro corso teologico, sì recarono al collegio Andover dove, come sappiamo, il giovane Judson era studente. Fu per lo zelo di questi quattro giovani che venne costituita la «Società Americana delle Missioni».

I genitori di Adoniram Judson appresero con gran dispiacere la decisione del figlio di darsi alle Missioni. Essi ritenevano inutile e impossibile un tale compito e il pensiero che il loro brillante figlio entrasse in una tale vocazione era per essi quasi intollerabile. Comunque, il giovane Judson sapeva, senza la minima ombra di dubbio, che la sua chiamata veniva da Dio ed era deciso a fare la volontà del Signore ad ogni costo.

Poco dopo la costituzione della «Società Americana delle Missioni», Judson fu mandato in Inghilterra con l’incarico di prendere contatti con la «Società Missionaria di Londra», per vedere se si fossero potuti raccogliere dei fondi per la «Società Americana delle Missioni». Il fine di questa società era di mandare dei giovani sotto la propria direzione e di operare come «Società Americana delle Missioni», indipendentemente da ogni altra società del genere. I quattro giovani, e altri che ora si erano aggiunti al gruppo, decisero di rivolgere un appello alle varie chiese della Nuova Inghilterra, esponendo la necessità di un tale gruppo nel piano missionario.

Essi andavano dovunque raccogliendo fondi per inviare operai del Signore nella Sua vigna, sotto gli auspici dell’America. Tutte le volte che erano pregati di parlare dai pulpiti, essi lo facevano e parlavano allora di questa opera che stava loro tanto a cuore.

Una domenica, il signor Judson, assieme ai suoi compagni, si recò a Bradford a perorare la causa della «Società Americana delle Missioni». Qui essi furono ospitali da un certo Sig. Hasseltine. Questi aveva due figlie, una delle quali era mia bella ragazza che, con i suoi occhioni neri, i suoi capelli ricci e la sua distinta personalità, fin dal primo sguardo, attirò l’attenzione di Adoniram. Anna, così si chiamava, era una giovane piena di vita e desiderosa di avventure. Ella sentì una simpatia immediata per il giovane Adoniram; si mostrò allegra e festosa durante la mensa e con piacevole ingenuità, si sforzò di attrarre a sé l’attenzione del giovane. Ma, nonostante la sua parlantina e la sua personalità distinta, non riuscì a far distogliere dal piatto lo sguardo di Adoniram. Questi, pur mostrandosi assorto in altri pensieri, per tutto quel tempo, non fece che considerare la ragazza e compose per lei anche un bel sonetto. Poiché, non molto dopo questo fatto, la nostra Anna Hasseltine Judson diverrà la prima donna missionaria, sarà bene che noi gettiamo lo sguardo sulla sua vita precedente.

Anna Hasseltine era nata a Bradford, il 23 Dicembre del 1789. Fu una studentessa brillante e ricca di belle doti. Ricevette la sua prima istruzione all’Accademia di Bradford.

Come ragazza, Anna era di uno spirito troppo irrequieto, tanto che sua madre, una volta, fu costretta a dire: «Figlia mia, spero che presto potrai calmarti girando a volontà». Come sarebbe rimasta sorpresa sua madre se avesse po¬tuto vedere sua figlia qualche anno dopo!

Non ancora diciassettenne, Mostrò molto interesse per le cose dello Spirito. Per qualche tempo, pensò che, facendo opere buone, ella poteva preparare se stessa per il regno dei cieli. Fu durante un risveglio religioso che avvenne in quel tempo, nella sua nativa Bradford, che Anna si rese conto che mai si sarebbe potuta salvare per mezzo delle sue opere buone; ma che avrebbe potuto farlo, solo per mezzo della grazia di Dio. Al termine di quella serie di culti speciali, Anna dette il suo cuore e la sua vita a Cristo. Fu in questa occasione, che ella fece il proposito di dedicarsi con tutte le sue forze alla diffusione del Vangelo.

A diciotto anni, la giovane cominciò ad insegnare nelle scuole di Salem, Haverhill e Newbury. Durante questo suo insegnamento, ella si procurò una copia della Vita di David Brainerd. Dopo la lettura di questo libro, ella conobbe meglio i disegni di Dio sulla sua vita e sentì che il Signore si sarebbe servito di lei in qualche genere di lavoro missionario.

Anna era insegnante scolastica da circa due o tre anni, quando il giovane Adoniram fece quella visita a Bradford dove, per la prima volta, incontrò la nostra maestrina. In seguito, Adoniram fece molte visite a Bradford e, non propriamente, per vedersi con il signor Hasseltine!

Nel 1811, due anni dopo il primo incontro dei due giovani, la «Società Americana delle Missioni» decise di fondare una Missione nella Burma (India). Adoniram Judson fu tra coloro che furono destinati a questa opera. Fu poco dopo questa sua nomina che Judson fece ad Anna Hasseltine la sua offerta di matrimonio. Disse apertamente quel che il futuro riservava a lei, se fosse divenuta sua moglie: perdita della casa, degli amici, fatiche, solitudine e, forse, la morte stessa. Le disse che, senza dubbio avrebbe condiviso una vita di grandi sconfitte e privazioni.

Accettando non solo la proposta di Adoniram, ma anche la chiamata di Dio, Anna Hasseltine divenne la prima donna missionaria americana. La sua è una storia piena di prove, di avventure, di viaggi, di pazienza e, altresì, una testimonianza della meravigliosa grazia del nostro Signore. Quando le amiche di Anna seppero che stava per intraprendere il lavoro delle Missioni, tentarono tutti i mezzi per farla desistere e perdere di coraggio. Chiamavano barbari e fanatici i suoi progetti. Ma Anna era decisa a rispondere alla chiamata di Dio e, facendo così, ella meritava l’onore di essere la prima donna ingaggiata attivamente nelle Missioni Estere. Parlando della sua decisione di partire come missionaria tra i Burmesi, la giovane signora Judson scriveva: «Possa essere io il mezzo di conversione di una sola anima e tutta la mia vita sarà bene spesa per ottenere questo. Non solo io voglio passare i miei giorni fra gli infedeli per illuminarli e servirli; ma godo molto davanti ad una tale prospettiva».

Il febbraio del 1812 fu un mese memorabile nella vita di Adoniram Judson. Il giorno 3 di quel mese dette il suo addio ai genitori; il 5 sposò Anna Hasseltine; il 6 fu ordinato pastore e il 18, egli e la sua sposa, fecero vela per l’India. I novelli sposi s’imbarcarono a Boston sul «Caravan». Il fratello minore di Adoniram, Elnathan, accompagnò i due nuovi missionari alla nave che doveva trasportarli. Prima di allora, Elnathan mai aveva dato la sua vita a Cristo. Sul punto di partire Adoniram non seppe trattenersi dallo scongiurare suo fratello di accettare Cristo come suo Salvatore. Prima che il «Caravan» levasse le ancore, Elnathan aveva affidata la sua vita alla cura e alla volontà di Dio.

I due nuovi missionari passarono quattro lunghi mesi sul mare, prima di sbarcare a Calcutta, il 18 giugno 1812, e qui ricevettero il benvenuto da parte di Felice Carey, figlio del venerabile missionario William Carey. I Judson si resero conto ben presto che il lavoro missionario in India era quasi allo stato di inerzia e questo, in gran parte, era dovuto al fatto che la «Compagnia Indiana dell’Oriente» si era sempre opposta ad ogni tentativo di evangelizzazione dell’India. Dieci giorni appena dopo il loro arrivo, fu letto loro un ordine di deportazione. Si diceva loro che dovevano tornare in America, ma Anna ed Adoniram sapevano che Dio li aveva chiamati in questa grande terra per uno scopo preciso. Essi, con preghiera quotidiana, implorarono e scongiurarono il Signore, e Dio aprì loro miracolosamente la via d’uscita. Riuscirono a fuggire nell’isola di Francia, dove, per un po’ di tempo, rimasero nella casa della Missione Battista.

Qualche tempo dopo questi fatti, il Sig. Luther Rice, co-fondatore con Judson della «Società Americana delle Missioni», tornò in America, dove si affaticò per ravvivare l’interesse delle chiese Battiste per le Missioni Estere.

Come risultato, fu formulata la «Convezione Generale Battista» e una delle prime decisioni di questa fu la nomina del Signor e della Signora Judson a missionari della Convenzione medesima. Dio aveva aperto così un’altra porta ed una delle maggiori difficoltà era stata così superata.

Durante questo periodo, i Judson erano ansiosi di stabilirsi a Rangoon, ma tutti li assicuravano che la bassa Burma non era ancora matura per il lavoro missionario. Tuttavia questi due pionieri fecero vela ugualmente per Rangoon, l’estate del 1813. Risalirono il fiume Rangoon e furono rallegrati dalla prima visione di un paese meraviglioso. La Burma è una terra ricca e fertile. Gli indigeni raccolgono grande quantità di riso e frutta; da alberi di alto fusto ottengono legname per la costruzione delle navi; il suolo offre loro diverse pietre preziose, oro, argento e rame.

Era una scoraggiante lotta amorosa questa in cui si erano posti i nostri missionari. L’indifferenza da parte dei Burmesi era addirittura deprimente, tuttavia, dopo un anno e più che era passato senza che si vedesse neppure una conversione, i due erano ben lungi dal perdersi di coraggio. Si rendevano conto che essi stavano gettando il seme e che Dio avrebbe provveduto la raccolta a tempo debito, secondo il Suo Volere. Sapevano che il lavoro di fondazione richiede fede, costanza e perseveranza.

Prima della venuta dei due nuovi missionari, il signore a la signora Hough, Alma ed Adoniram Judson avevano lavorato, per tre anni, nella più squallida solitudine e tristezza senza vedere il più piccolo frutto delle loro fatiche. Avevano sofferto molto nella via della prova e della tribolazione. Avevano dovuto affrontare molti dolori e molte sofferenze. Nel maggio del 1816, fu posto nella tomba il loro primogenito, un bambino di otto mesi.

Nel novembre del 1817, il signor Judson, per ragioni di salute, fu costretto a lasciare Rangoon per un viaggio di mare. Si allontanò per sei mesi e, per tutto questo periodo, non riuscì mai a comunicare con la moglie. La povera signora dovette soffrire l’agonia di questo lungo periodo di incertezza.

A Seramapore, quasi contemporaneamente all’arrivo nella Burma del sig. Hough, fu data al sig. Judson una macchina da stampa, fornita di carattere burmese. La maggior parte dei nativi della Burma potevano leggere e avevano una riverenza quasi superstiziosa per la «Dottrina Scritta». Per questa ragione Judson riteneva importante insegnare loro per mezzo della stampa. Apprezzò per questo la macchina che era venuta proprio nel momento migliore e fu lieto che il signor Hough conoscesse l’arte e sapesse adoperare la macchina suddetta. I due missionari cominciarono a stampare passi scritturali e porzioni della Parola di Dio e li diffondevano abbondantemente. La prima opera stampata aveva per titolo «Panorama della Religione Cristiana». Questa fu seguita da un catechismo e poi dal vangelo di Matteo che il sig. Judson aveva tradotto in lingua burmese.

Il 17 giugno 1819, sette anni dopo che Anna e Adoniram Judson erano sbarcati in questo campo di missioni, fu amministrato dal Judson il primo battesimo cristiano ad un convertito della Burma. Una settimana più tardi, il signor Judson scriveva nel suo diario: «Per la prima volta, abbiamo la gioia di sedere alla mensa del Signore con un convertito burmese ed è per me un privilegio — privilegio per il quale ho sospirato tanti anni — amministrare la Cena del Signore in due lingue».

Fu circa questo tempo che venne rimosso il Viceré che aveva governato, fin qui, quella zona e si era mostrato tollerante verso i missionari. Egli fu sostituito con un altro che subito si rivelò un vero tiranno. Fu solo per opera della Divina Provvidenza che questa stazione missionaria riuscì allora a salvarsi. Attraverso tutte queste prove e sofferenze la fede dei Judson restò ferma. Gli ufficiali del governo non erano mai stati troppo ben disposti verso l’opera delle missioni, provenendo essa dall’America; ma la venuta del nuovo Viceré rese molto più duro il lavoro per i Judson. Senza il permesso del governo, non valeva la pena restare nella Burma. Judson si rese conto che ben poco si poteva fare, a meno che l’imperatore fosse illuminato e concedesse la sua approvazione per il lavoro missionario tra gli indigeni. Il 27 Dicembre 1819, il sig. Judson si decise ad andare a Ava per chiedere la protezione dell’imperatore. Furono fatti dei passi per far restare la signora Judson a Rangoon.

Non era facile ottenere di essere ammesso alla presenza dell’imperatore. La cosa più importante era trovare un dono degno di Sua Maestà. Il sig. Judson portò con sé gran quantità di argento e altri doni per gli ufficiali minori.  Riuscì ad ottenere un’udienza con l’imperatore e a perorare la causa della libertà religiosa.

Ma la domanda di Judson non fu accolta e la situazione dei missionari divenne più pericolosa di prima. Judson era ora un sospetto per le autorità reali ed era alla mercé di ogni fuorilegge. Un uomo che non avesse avuto il coraggio di Judson si sarebbe arreso o avrebbe deciso di lasciare il paese, ma Judson non lo fece. La sua fede era in Dio e la sua fede non sarebbe stata scossa né la sua fiducia sarebbe venuta meno.

In questo tempo egli aveva quasi terminato di tradurre la Bibbia in burmese e temeva che il suo lavoro potesse essere distrutto, in vista della decisione dell’imperatore. A queste sue distrette e prove dolorose va aggiunto che la Signora Judson, a causa della sua salute malferma, fu costretta a lasciare la sua terra di adozione. Ella prese il mare per recarsi in Inghilterra, dove fece molte amicizie e in seguito si recò in patria, in America. Fu lontana dal marito per più di due anni. Sebbene non avesse recuperato completamente la sua salute, pure, al suo ritorno nella Burma, ella si sentì fisicamente molto meglio di prima della sua partenza. Assicurò che il suo amore per gli indigeni era ora anche più grande di prima del periodo di licenza.

Nel maggio 1824, un esercito di 10.000 inglesi e truppe dell’india Orientale sbarcarono a Rangoon. Questo fatto rese più duro che mai il lavoro missionario esplicato da uomini provenienti dall’America e dall’Inghilterra. Allo scoppio delle ostilità, il sig. Judson e altri missionari furono chiusi in una prigione burmese. Anna Judson fu tenuta prigioniera nella propria casa. Dopo tre giorni, la signora Judson fu lasciata libera e riuscì ad avere un colloquio con il Governatore per parlare in favore di suo marito.

I Missionari prigionieri furono trattati con indescrivibile crudeltà. Judson era chiuso in un camerone con altri cento uomini. Nessuna ventilazione nell’ambiente, all’infuori delle fessure dei muri. Egli dovette sopportare le terribili prigioni orientali per ben venti lunghi mesi e, quasi di continuo, fu tenuto ai ferri. Se non fosse stato per la fedele sua moglie che portava quotidianamente a lui cibo e conforto, la battaglia per la cristianità della Burina sarebbe cessata da tempo. Sebbene fragile e debole nel corpo, questa povera donna, tutti i giorni, andava con il cibo e cercava di confortarlo in tutti i modi che erano in suo potere. Durante questo lungo periodo anche la signora Judson sopportò tante privazioni e, in conseguenza di queste, ella si ammalò. I medici prevedevano la sua fine, ma Dio miracolosamente le ridonò la salute.

Per sette lunghi mesi la signora Judson si recava ogni giorno da ufficiali del governo o da membri della famiglia reale ad implorare per i poveri prigionieri. L’unico incoraggiamento che le si dava era la promessa che sarebbero stati rilasciati in seguito.

Il caldo soffocante, gli insetti fastidiosi e altre sofferenze provocarono una grave febbre al sig. Judson. La moglie insistette allora accoratamente con il Governatore e finalmente riuscì ad ottenere qualche cosa: Judson fu posto nella gabbia di un vecchio leone. Qui era almeno protetto dal sole tropicale; questo luogo, in confronto della prigione di prima, era una reggia. Qui sua moglie poteva provvedere meglio alle sue necessità ed egli poteva godere di privilegi che prima gli erano assolutamente negati. Le visite e le parole di Anna Judson erano un sollievo e un conforto per i fedeli missionari prigionieri. Nella storia delle missioni non troviamo una cosa più terribile che la storia della prigionia di Adoniram Judson in Ava. Solo la preghiera e il potere manifesto di Dio furono il sostegno di Adoniram e Anna Judson durante questo periodo. Durante la prigionia di Judson, sua moglie scrisse un completo racconto delle loro sofferenze. Di questo scritto è stato detto, bene a proposito: «La stessa fantasia ha raramente inventato un racconto più terrificante».

Al termine della guerra fu dato l’ordine di rilasciare tutti i prigionieri. Tornando alla sua stazione missionaria, Judson trovò tutto in disordine e nella peggiore confusione: la casa della missione era in rovina, i proseliti si erano tutti dileguati. Judson pensò bene recarsi a Amherst per riposarsi un po’ in questa città che era allora sotto la protezione inglese.

Poco dopo rilasciato dalla prigione, Judson ricevette l’ordine di recarsi in un campo burmese per fare da interprete agli inglesi e ai burmesi nei negoziati che si facevano tra le due parti. Per avere salva la città di Ava, gli indigeni dovettero accettare le più umilianti condizioni. Durante questi negoziati la signora Judson cadde malata di febbre tropicale, la sua capigliatura fu rasa, la sua testa ed i suoi piedi si riempirono di bolle. Ella era tanto mal ridotta che gli indigeni dicevano l’un l’altro vedendola: «Ella è morta».

Non molto dopo il Signore prese con sé questa sua serva fedele. Il suo decesso avvenne il 24 ottobre 1826, quando aveva appena 37 anni. La sua vita era stata tutta vissuta per il suo caro Salvatore e la testimonianza di questa vita la sentiamo ancora.

Fu sepolta in Amherst con tutti gli onori militari e civili. Questo forse fu il fatto più doloroso della vita del sig. Judson, poiché egli fu addirittura incapace di guardare il corpo esanime della sua consorte. Il nome di Anna Judson andrà diffondendosi di età in età e non solamente come la prima pioniera nella storia delle donne missionarie, ma, e soprattutto, come una donna che si abbandonò completamente alla volontà del suo Dio.

In seguito alla morte della sua amata Anna, Judson, sebbene solo e con il cuore spezzato, fu più deciso che mai a diffondere il Vangelo di Cristo tra gli indigeni della Burma. Si dette, anche con maggiore premura di prima, alla traduzione della Bibbia in lingua burmese.

Sentiva che questo era il mezzo migliore per far conoscere il Vangelo a quel popolo ottenebrato. Nell’ottobre del 1840, Judson terminò questa grande sua opera. Quelli che hanno studiato la traduzione del Judson l’hanno dichiarata perfetta. (La più perfetta del genere di quante siano apparse finora in India). Questo fu il suo più grande contributo alla salvezza del popolo, in mezzo al quale egli spese la più gran parte della sua vita. Fin qui un centinaio di nativi erano stati battezzati come cristiani dal sig. Judson.

Nell’ottobre 1845, Judson tornò a casa, nella nativa America, per la prima volta, dopo 33 anni di lontananza. Però egli vi restò meno di nove mesi. Allora il mondo conobbe bene la sua opera e il suo nome fu sulla bocca di tutti. Le chiese furono affollate di gente che voleva vederlo e ascoltarlo. I suoi movimenti furono seguiti da tutti i giornali religiosi e secolari. Nonostante tutto questo però, Judson non si sentì a casa sua neppure in America. La sua casa ormai era la Burma, la terra che egli amava. Questa fu la sua prima ed ultima visita in America.

Tornato a Burma, Judson si pose al lavoro con la traduzione di un dizionario per questo popolo. Egli passò ore a non finire in questa opera di traduzione, come pure si dedicò costantemente alla predicazione del Vangelo agli indigeni. Il giorno che Anna e Adoniram giunsero nella Burma, trentotto anni prima, non vi era uno che professasse la religione cristiana in tutta la terra della Burma. Il giorno che egli morì, una forte e fiorente chiesa era in piena attività, una chiesa che oggi è un «faro» di cui Dio si serve per illuminare questo popolo.

In conseguenza della vita faticosa che egli aveva vissuto, Judson non aveva più forze fisiche. Durante gli ultimi anni della sua vita, i medici gli avevano spesso ordinato dei viaggi di mare per rimettersi. Durante uno di questi viaggi all’isola di Francia, Dio chiamò a sé questo suo testimonio fedele.

Aidoniram Judson morì ed ebbe la sua tomba nel mare, nel 1850, più di trentotto anni dalla sua partenza per la Burma.

Al tempo della morte del sig. Judson, tra i Burmesi e i Karenesi erano state istituite sessantatré chiese. Certamente, egli aveva posto, nella Burma, le fondamenta del Vangelo, fondamenta che non sarebbero mai crollate.

Era stato fatto un lavoro che, per tutta l’eternità, avrebbe dato gloria a Dio.

I Judson avevano atteso ben sei anni per vedere il loro primo convertito; ma ben pochi missionari hanno potuto vedere tanto frutto delle loro fatiche, come avvenne a Adoniram Judson, prima della sua morte. E anche più notevole il fatto che la messe raccolta è andata crescendo con il passar degli anni. Oggi la Bibbia circola liberamente nei villaggi burmesi e anche questo è frutto delle fatiche dei nostri due missionari.

Abbiamo ragione di credere e sperare che la Burma tutta possa accettare Cristo come suo Re.

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