Le teorie ottocentesche malthusiane sono vive (anzi: imperanti) ai giorni nostri, anche in Italia. La loro presa culturale sta conducendo all’estinzione del popolo italiano.
L’economista e demografo Malthus teorizzò nell’Ottocento il contrasto inevitabile tra le modalità di crescita geometrica della popolazione, che sarebbe raddoppiata ogni 25 anni, e le modalità di crescita aritmetica delle risorse alimentari. Previde quindi che si sarebbe inevitabilmente arrivati ad una divaricazione tale, fra l’una crescita e l’altra, che ad un certo punto le risorse non sarebbero state più sufficienti a soddisfare i bisogni.
È questa la cosiddetta “trappola di Malthus”: una soglia di insostenibilità che deriva inevitabilmente dell’aumento esponenziale della popolazione.
La teoria, invocata ripetutamente dai neo-malthusiani per contrastare con il controllo della natalità l’impoverimento ed il perturbamento delle risorse su scala planetaria, ha una sua forza ed un suo fascino. E lo ha esercitato (e lo esercita ancora) anche in Italia.
Fu invocata, ad esempio, negli anni Sessanta, quando la crescita demografica era effettivamente sostenuta e la natalità, specie nel Sud Italia, si manteneva a livelli fra i più alti in Europa. Alimentò nel Sessantotto il dibattito sull’uso e la liceità della pillola anticoncezionale, la cui introduzione nella prassi del controllo delle nascite aprì la via ad ulteriori “conquiste civili”, nel cui solco s’inscrive l’aborto, legalizzato con legge dello Stato nel 1978 (la n. 194) e confermato da un referendum popolare nel 1981.
Anche l’aborto ha sullo sfondo le teorie di Malthus nella misura in cui, il diritto affermato “ad una procreazione cosciente e responsabile, insieme con il riconoscimento del valore sociale della maternità”, si è istantaneamente trasformato in una pratica di controllo delle nascite. Cosicché nel corso di questi 40 anni sono stati soppressi legalmente almeno sei milioni di esseri umani, contribuendo a un impoverimento senza precedenti del tessuto demografico italiano (ma è chiaro che questo vale tanto più su scala mondiale).
Nel frattempo le dinamiche di crescita e la struttura stessa della popolazione italiana sono radicalmente mutate. La natalità si è andata progressivamente contraendo, la nuzialità si è più che dimezzata e la popolazione è andata sempre più invecchiando, talché oggi l’età media in Italia supera la veneranda (si fa per dire) età di 46 anni. Anche il numero medio di figli ha ampiamente distanziato il livello minimo di garanzia di sostituzione generazionale, attestandosi oggi a 1,24 figli per donna.
Di conseguenza a questo crash demografico, che si configura ormai come qualcosa di epocale, si è determinata una nuova trappola, per così dire, inversa, perché ora il problema della progressione geometrica malthusiana si ripropone, ma come regressione della popolazione secondo un trend che appare ormai difficile, se non impossibile, invertire. Il numero dei nati sprofonda infatti verso livelli sempre più infimi, collezionando sempre nuovi record negativi e abbattendo soglie sempre più deprimenti: sotto il mezzo milione appena qualche anno fa; sotto le 400 mila nel 2021. Non è lontano il tempo che saranno sotto le 300 mila.
È un tracollo che si autoalimenta, perché meno nati oggi significa ancora meno nati fra una generazione, quando i bambini di oggi dovrebbero poter generare e così via, generando una regressione che alla fine porta all’estinzione.
L’anticipazione che sa di presagio nefasto è in realtà già qualcosa di osservabile in alcune realtà del Paese in cui ormai la popolazione giovanile è quasi assente e non nascono bambini da anni, se non da decenni. Non si vede un fiocco colorato sulla porta né ragazzini con i calzoncini corti rincorrere un pallone per strada e le bambole sono riposte con cura nelle credenze a ricordare giochi e tempi andati a vecchi rimasti soli.
La desertificazione umana avanza lungo le montagne salendo il declivio che porta ai paesi arroccati sulla dorsale appenninica, dove i pochi giovani sono andati via a cercare vita e fortuna altrove e i bambini si vedono solo in fotografia. Ma anche in città sono sempre più le culle melanconicamente vuote, mentre adulti stressati dal lavoro tornano a casa con poca o nessuna voglia di mettersi a rincorrere il bambino che gattona per casa o a far fronte alle intemperanze della figlia adolescente perennemente innamorata.
Si pensa di colmare questo deficit importando più o meno legalmente manodopera dall’estero; e ci sono i teorici che lo sbandierano come progresso, apertura solidale che dischiuderebbe la porta all’avvento di una società multietnica e multiculturale. Ma a questo punto l’accoglienza si trasforma nemmeno tanto inopinatamente in sostituzione etnica, qualcosa di diverso che richiama ancora una volta teorie che evocano Malthus.
Queste infatti indistintamente trattano gli esseri umani come numeri e i bambini come bussolotti da sottrarre o addizionare a piacere. Ed è in questo contesto culturale che si inseriscono anche le lamentazioni di chi – ipocritamente – paventa che fra nemmeno 30 anni ci saranno cinque milioni di Italiani in meno, ma nello stesso tempo tacciono sul fatto che all’appello ne mancano più di sei milioni cui è stata negata la possibilità di nascere: …un’altra volta la trappola di Malthus!
di Clemente Spartaco
Articolo già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 110 di settembre 2022
https://www.provitaefamiglia.it/blog/la-trappola-di-malthus
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