Il blog Femminist post ha pubblicato la toccante confessione di una donna che si è pentita di aver inventato, assieme alla sua compagna, la trans-identità dei loro rispettivi figli, in nome della loro comune religione: l’ideologia gender.
La confessione inizia con la descrizione della sua storia, la tipica vita del conformismo che piace ai media e ai potenti. «Ero in prima linea ad introdurre il concetto di intersezionalità in organizzazioni progressiste» e in quel contesto la donna fece coming out e si dichiarò lesbica.
Dopo l’innamoramento e la formazione di una “famiglia” con la sua compagna, fece in modo di partorire un bambino, seguito due anni dopo da un altro bambino maschio fatto nascere dalla compagna.
Due mamme lesbiche e due figli maschi, sarebbe la trama perfetta per il solito polpettone moralista che stravince a Hollywood, Venezia e Cannes. Ma le cose nella realtà vanno diversamente. Anche perché, scrive, «volevo assicurarmi di onorare l’autentico sé dei miei figli. Ero pronta a cercare qualsiasi indizio che avrebbe potuto suggerire che i miei figli potessero essere transgender».
Inoltre, purtroppo lo sappiamo, in certi contesti fa assai più tendenza avere un figlio trans che un bambino ordinario. Da lì l’idea, condivisa dalla compagna, di educare i 2 maschietti «nel modo più gender neutral possibile, con vestiti neutri, giocattoli neutri e linguaggio neutro». Potremmo dunque dire: in religioso ossequio ai dogmi del sistema.
«Da vere credenti – racconta sempre la donna – credevamo che potesse essere transgender, e che fosse nostro compito farci guidare da lui per determinare la sua vera identità». E così, salti di gioia, quando il bambino, sui 4 anni, «iniziò a chiedermi se fosse un maschietto o una femminuccia. Invece di dirgli che era un maschietto, gli dissi che poteva scegliere».
In nome della sua ideologia, la mamma catechizzava il bambino dicendo loro: «Quando i bambini nascono con un pene vengono chiamati maschietti, e quando i bambini nascono con una vagina vengono chiamate femminucce. Ma alcuni bambini nati con il pene possono essere femminucce e alcuni bambini nati con la vagina possono essere maschietti. Dipende tutto da quello che senti dentro di te».
Il sentimento, la sensazione, l’auto percezione, facilmente manipolabili a quell’età, al posto della biologia e della scienza: ecco cos è davvero l’ideologia gender.
Avendo detto una volta il bimbo di sentirsi femmina, iniziò la manipolazione dell’infanzia. Attraverso un nuovo nome, nuovi pronomi, scelte di vita conformi alla nuova identità. «Iniziammo la transizione sociale, forzandola anche su suo fratello minore, che all’epoca aveva solo due anni e che riusciva a malapena a pronunciare il vecchio nome di suo fratello».
Il problema è che tutto il male causato al bambino, dice ora la donna, era fatto con le migliori intenzioni, «per lui e per il mondo». Iniziata la transizione, iniziò la discriminazione? No, il contrario: «fummo ricoperti di elogi e riconoscimenti da parte dei nostri coetanei». Il peso delle mode qui è fatale.
Addirittura nel “gruppo di supporto” per genitori di bambini transgender, le dissero che «l’identità transgender impiega alcuni anni a svilupparsi», ed era meglio «eliminare ogni contatto con ogni familiare o amico che non avesse supportato questa identità».
Proprio come le sette che creano il vuoto attorno al nuovo adepto per adescarlo meglio. Gli stessi nonni, zii e altri parenti dovevano adeguarsi, secondo la psicologa, a chiamare il bambino col nuovo nome, altrimenti addio.
Anche il secondo bambino della coppia, guarda caso, disse di voler essere femmina, forse per le attenzioni speciali che ricoprivano il fratello. Da manipolazione a manipolazione.
La gender therapist disse inoltre che andava rispettato anche il fratellino minore, pardon, la sorellina e che anche lui/lei doveva essere chiamata come voleva.
Il fatto che il minore volesse seguire il maggiore fece capire alle due mamme come tutto fosse una questione di mimetismo e di identificazione psicologica, anche probabilmente per l’assenza di un padre. Così le due donne entrarono in crisi.
Giunto il più grande all’età di 8 anni, le donne ebbero il coraggio di svelargli l’inganno e dirgli che «i maschi non possono essere femmine e che ci eravamo sbagliate». Dopo i primi dubbi, dovuti ad anni di ideologia domestica, il bambino iniziò finalmente un cammino diverso, sentendosi «incredibilmente sollevato». Raggiungendo una «pace profonda con il suo essere maschio». Stessa cosa con il fratellino di 6 anni.
La conclusione segna il passaggio dall’ideologia alla realtà, da una falsa religione al rispetto della biologia. «Questa esperienza – conclude la donna, che ha avuto il coraggio e il merito di raccontarsi – è stata per me come lasciare un culto, un culto che mi avrebbe fatto sacrificare mio figlio agli dei dell’ideologia gender, in nome della giustizia sociale e della liberazione collettiva. Ho lasciato questo culto e non tornerò mai più indietro».
Auguriamoci che la sua voce sia ascoltata da molti.
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