Sono passati 44 giorni dall’inizio della notizia del primo contagiato covid-19.
La notizia ha colpito quasi tutto il popolo italiano ad eccezione di coloro che non credevano ad uno stato di emergenza tanto grave, bensì a un’influenza un poco più seria rispetto alle precedenti.
Ma per quei molti diffidenti sono bastati pochi giorni ed una lunga escalation di decessi per rendersi conto che non vi era nulla di inventato e che il mostro invisibile era più preoccupante di quanto si volesse ammettere. Tutti noi abbiamo perso e non parlo dei decessi e della libertà ma mi riferisco alla nostra esistenza stessa. Fino a due mesi fa circa, davamo tutto per scontato: gli affetti famigliari, la nostra comunità con i nostri appuntamenti in chiesa, gli affetti amicali, le professioni, gli hobbies, i divertimenti, etc.
Nel corso dei giorni ho avuto modo di parlare con diverse persone alcune mi edificavano, altre si prodigavano in prolissi monologhi di lamentele per ogni cosa, cercando di interrompermi con un ma, un se, un forse o semplicemente riportandomi sempre alla situazione attuale, collezionando tanti tentativi falliti. Come sono cambiati i tempi!
Negli ultimi sessant’anni abbiamo assistito ad uno stravolgimento mondiale senza precedenti, dalla televisione, al lancio della prima capsula spaziale ai dispositivi elettronici definiti anche telefoni intelligenti. Ci siamo abituati alle comodità della tecnologica operatività a tal punto che non ne potremmo fare a meno perché ritenuto un bene essenziale… e sì il progresso!
Un giorno Robert Musil disse: “Ogni progresso è anche un regresso. C’è progresso sempre e solo in un determinato senso. E poiché la vita nel suo complesso non ha senso, nel suo complesso non ha nemmeno progresso“.
Possiamo affermare che avesse ragione, aveva compreso che quanto più l’uomo avesse voluto arrivare più in alto, tanto più avrebbe capitolato sfracellandosi a terra. Un prezzo alto che non vale un decimo di quanto abbiamo snaturato con le nostre condotte scellerate: abbiamo abusato di tutte le risorse terrene, abbiamo devastato ampie foreste per innalzare faraoniche costruzioni, abbiamo inquinato le distese di acqua, abbiamo fatto sfrecciare aerei nei cieli emettendo miliardi di tonnellate di CO2, abbiamo lasciato che la mano umana aggredisse le specie animali per scopi certamente non umanitarie: vendite illegali, bracconaggio e a ciò aggiungiamo riscaldamento globale, cambiamenti climatici e armi chimiche e battereologiche.
Rapporti di valutazione che non passano certamente inosservati, specie in questi giorni di decreti, in cui vige l’obbligo del non uscire se non per validi motivi. Saremmo così felici di uscire da questo incubo che se ci proponessero di tornare al riscaldamento con legna o al telefono fisso e alla macchina da scrivere accetteremmo o forse no?
“La gente raccogliticcia, che era tra il popolo, fu presa da bramosia; anche gli Israeliti ripresero a lamentarsi e a dire: «Chi ci potrà dare carne da mangiare?Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio Ora la nostra vita inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna” Numeri 11:4-7.
Siamo abituati a lamentarci di tutto, siamo arroganti e pretenziosi ed in questo tempo ci preoccupiamo di non poter uscire, di non sopportare i nostri cari, di non poter andare in palestra, di non poter riunirci per gli aperitivi, happy hour, ecc ecc, quando, invece, ci sono persone che non hanno nulla da mangiare, come il tuo vicino di casa o probabilmente anche tra i tuoi conoscenti, che non ti dicono nulla perché troppo dignitose.
Ma se c’è un Italia che soffre e si lamenta vi è anche un’Italia aperta, generosa, collaborativa e semplice che tramite la propria totale disponibilità realizza la missione nel darsi per gli altri.
La solidarietà l’unico investimento che non fallisce mai (David Thoreau)
Dopo pochi giorni, dall’inizio della pandemia, la macchina della solidarietà è ripartita dai più piccoli ai più grandi. Bravissimi, soprattutto gli anonimi che si muovo in segreto, pronti ad aiutare chi si trova in difficoltà! Nessuno deve richiamarci, rispondiamo subito nel dare attraverso piccoli gesti o magari con piccoli o consistenti contributi e insieme facciamo squadra per chi sta attraversando giorni difficili. Ogni popolo si riconosce dai comportamenti che caratterizzano il carattere, l’impronta originale.
“Nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità. Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente“ 2°Cor.2:8.
Allungare la mano ci fa sentire vivi, migliori e più vicini. La felicità del dare è contagiosa, la compassione verso chi è meno prospero di noi apre orizzonti verso qualcuno che non conosciamo, non importa se vi sono differenze etniche o politiche o religiose ma nel medesimo istante in cui compiamo il primo passo verso il nostro prossimo ci rendiamo disponibili e questo stato fa bene a noi stessi. C’è più felicità nel dare che nel ricevere.
In questo attuale stato di emergenza abbiamo assistito a molte azioni benevoli: aziende che cambiavano la loro operatività per realizzare dispositivi medici, disinfettanti, maggiorazioni nelle retribuzioni per garantire la produzione, raccolte di fondi per realizzare ospedali e per acquistare macchinari sanitari, ognuno nelle proprie competenze e disponibilità economiche ha procurato una reazione a catena stimolando altrettante iniziative e magnanimità da parte dell’uomo della strada, dalle famiglie e da associazioni religiose o laiche, ognuno secondo i propri canoni.
La solidarietà l’unico investimento che non fallisce mai (David Thoreau)
Un’Italia alla corsa della protezione altrui, alla difesa dei più deboli o emarginati. Un’Italia che osanna il proprio personale medico, il quale regala le proprie forze e competenze e non si lamenta di lavorare per ore senza mai staccarsi. Un’Italia che esplode in manifestazioni di consensi quando arrivano medici da ogni parte del mondo. Un’Italia che applaude le forze dell’ordine e tutti i lavoratori impegnati per il benessere della nazione. Un’ Italia che ricopre e soddisfa le necessità degli anziani o degli abbandonati a se stessi. Un’Italia che a noi piace e ci onora dell’essere appartenenti alo stivale.
Un’Italia fatta di contraddizioni e consequenzialità, un’Italia che grida, piange e si emoziona davanti alle varie sfaccettature di un clima di preoccupazione, di dolore ma anche di gioia quando giungono le notizie di guarigioni.
Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro quando questo mortale virus avrà smesso di decimare vittime… certamente una lezione dovrebbe essere impressa nei nostri cuori, curiamo e proteggiamo maggiormente i nostri cari, i nostri colleghi, i nostri vicini, il nostro territorio e quello altrui e anche noi stessi, in poche parole: “Amiamo il prossimo nostro come noi stessi”.
Lella Francese
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