È opinione comune che gli adolescenti abbiano fretta di crescere per poter essere finalmente liberi di decidere della propria vita e che per questo motivo essi cerchino di “bruciare le tappe” imitando troppo precocemente i comportamenti degli adulti.Nonostante questo stereotipo, esiste una piccola categoria di giovani, che non vuole affatto saperne di crescere e che malgrado il passare degli anni, tende a conservare atteggiamenti tipicamente infantili.
L’aspetto quasi patologico che questo particolare fenomeno è in grado di assumere in alcuni casi ha spinto gli studiosi ad attribuirgli il nome un po’ curioso di “sindrome di Peter Pan”.
Ma cosa accade quando questa malattia si manifesta anche nella nostra vita spirituale?
Chi non conosce Peter Pan, il personaggio di fantasia nato dalla penna di James Matthew Barrie e divenuto celebre grazie a un film d’animazione di qualche decennio fa?
Egli è un bambino che si rifiuta di crescere e che vive un’infanzia senza fine in un luogo immaginario chiamato “l’Isola che non c’è”; a capo dei “Bimbi sperduti” e in compagnia di fate, pirati e pellerossa, vive ogni sorta di avventura come se fosse un gioco.
La vivacità, l’immaturità e la spensieratezza che contraddistinguono questa figura fantastica sembrano ancora oggi esercitare un grande fascino su alcuni individui, tanto che molti continuano a comportarsi per tutta la vita come degli eterni fanciulli.
In particolare, sono sempre di più i ragazzi che, giunti alla soglia della tanto sospirata maturità, rimangono intimoriti dalla consapevolezza di dover abbandonare i propri atteggiamenti più puerili per far fronte a nuove responsabilità; e quando ciò accade, essi preferiscono fuggire e rifugiarsi nella propria Isola che non c’è piuttosto che affrontare le difficoltà della vita.
Secondo gli psicologi, i motivi che stanno all’origine di un tale atteggiamento sono da imputare a diversi fattori, come la presenza di genitori poco amorevoli, un contesto familiare problematico o un percorso adolescenziale traumatico, ma la verità è che a molti piace comportarsi da bambini per pigrizia, perché è comodo dipendere sempre da qualcun altro e scansare quelle avversità che ci costringono a fare i conti con noi stessi e a crescere.
Se la sindrome di Peter Pan rappresenta un problema dal punto di vista del nostro sviluppo mentale, a maggior ragione essa costituisce un pericolo per quanto riguarda la nostra crescita spirituale.
Purtroppo ci sono molti cristiani che non desiderano affatto crescere spiritualmente e che addirittura non credono sia necessario, poiché reputano indispensabili ai fini della salvezza soltanto poche dottrine basilari della Bibbia.
Se però siamo soddisfatti unicamente da un insegnamento elementare e da una conoscenza superficiale della Parola, inevitabilmente trascureremo l’enorme tesoro di sapienza che risiede nella totalità della Scrittura e non faremo altro che comportarci come studenti svogliati, che si accontentano di essere promossi con la sufficienza, senza troppi sforzi.
Non possiamo rimanere sempre allo stesso livello spirituale perché la Parola di Dio ci chiama a lasciare gli insegnamenti già assodati per iniziare a cibarci di dottrine più profonde: “Chiunque infatti usa il latte non ha esperienza della parola di giustizia, perché è ancora un bambino; il cibo solido invece è per gli adulti, che per l’esperienza hanno le facoltà esercitate a discernere il bene dal male. Perciò, lasciando l’insegnamento elementare su Cristo, tendiamo alla perfezione, senza porre di nuovo il fondamento del ravvedimento dalle opere morte e della fede in Dio, della dottrina dei battesimi, dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno” (Ebrei 5:13-6:2).
È opinione comune che gli adolescenti abbiano fretta di crescere per poter essere finalmente liberi di decidere della propria vita e che per questo motivo essi cerchino di “bruciare le tappe” imitando troppo precocemente i comportamenti degli adulti.
Nonostante questo stereotipo, esiste una piccola categoria di giovani, che non vuole affatto saperne di crescere e che malgrado il passare degli anni, tende a conservare atteggiamenti tipicamente infantili.
L’aspetto quasi patologico che questo particolare fenomeno è in grado di assumere in alcuni casi ha spinto gli studiosi ad attribuirgli il nome un po’ curioso di “sindrome di Peter Pan”.
Ma cosa accade quando questa malattia si manifesta anche nella nostra vita spirituale?
Chi non conosce Peter Pan, il personaggio di fantasia nato dalla penna di James Matthew Barrie e divenuto celebre grazie a un film d’animazione di qualche decennio fa?
Egli è un bambino che si rifiuta di crescere e che vive un’infanzia senza fine in un luogo immaginario chiamato “l’Isola che non c’è”; a capo dei “Bimbi sperduti” e in compagnia di fate, pirati e pellerossa, vive ogni sorta di avventura come se fosse un gioco.
La vivacità, l’immaturità e la spensieratezza che contraddistinguono questa figura fantastica sembrano ancora oggi esercitare un grande fascino su alcuni individui, tanto che molti continuano a comportarsi per tutta la vita come degli eterni fanciulli.
In particolare, sono sempre di più i ragazzi che, giunti alla soglia della tanto sospirata maturità, rimangono intimoriti dalla consapevolezza di dover abbandonare i propri atteggiamenti più puerili per far fronte a nuove responsabilità; e quando ciò accade, essi preferiscono fuggire e rifugiarsi nella propria Isola che non c’è piuttosto che affrontare le difficoltà della vita.
Secondo gli psicologi, i motivi che stanno all’origine di un tale atteggiamento sono da imputare a diversi fattori, come la presenza di genitori poco amorevoli, un contesto familiare problematico o un percorso adolescenziale traumatico, ma la verità è che a molti piace comportarsi da bambini per pigrizia, perché è comodo dipendere sempre da qualcun altro e scansare quelle avversità che ci costringono a fare i conti con noi stessi e a crescere.
Se la sindrome di Peter Pan rappresenta un problema dal punto di vista del nostro sviluppo mentale, a maggior ragione essa costituisce un pericolo per quanto riguarda la nostra crescita spirituale.
Purtroppo ci sono molti cristiani che non desiderano affatto crescere spiritualmente e che addirittura non credono sia necessario, poiché reputano indispensabili ai fini della salvezza soltanto poche dottrine basilari della Bibbia.
Se però siamo soddisfatti unicamente da un insegnamento elementare e da una conoscenza superficiale della Parola, inevitabilmente trascureremo l’enorme tesoro di sapienza che risiede nella totalità della Scrittura e non faremo altro che comportarci come studenti svogliati, che si accontentano di essere promossi con la sufficienza, senza troppi sforzi.
Non possiamo rimanere sempre allo stesso livello spirituale perché la Parola di Dio ci chiama a lasciare gli insegnamenti già assodati per iniziare a cibarci di dottrine più profonde: “Chiunque infatti usa il latte non ha esperienza della parola di giustizia, perché è ancora un bambino; il cibo solido invece è per gli adulti, che per l’esperienza hanno le facoltà esercitate a discernere il bene dal male. Perciò, lasciando l’insegnamento elementare su Cristo, tendiamo alla perfezione, senza porre di nuovo il fondamento del ravvedimento dalle opere morte e della fede in Dio, della dottrina dei battesimi, dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno” (Ebrei 5:13-6:2).
Fratello Andrea
Fonte: http://www.betaniachiesaevangelica.it/
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