Traduzione dal francese di Claudio Geymonat, via Protestinter
Il mese scorso Jeb Bush è stato l’ultimo potenziale candidato repubblicano in ordine di tempo a fare un pellegrinaggio alla Liberty University, la più grande scuola protestante evangelical del mondo. E’ proprio là che a marzo il senatore Ted Cruz ha annunciato di voler anche lui correre per la Casa Bianca.
E questa settimana una dozzina di candidati repubblicani dichiarati o potenziali prenderanno parola davanti alla coalizione Fede e Libertà, che tenta di mobilitare il voto conservatore evangelical.
Timothy Head, direttore della coalizione ha dichiarato alla stampa di non aver certo faticato a trovare relatori per la conferenza “In rotta verso la maggioranza” organizzata a Washington: «I candidati hanno tutti telefonato chiedendo di poter essere invitati».
Eppure solo il mese scorso la prestigiosa società di studi Pew ha pubblicato un sondaggio che ha evidenziato come la popolazione statunitense che si dichiara cristiana è in calo, mentre aumentano gli atei.
Soltanto la metà fra i protestanti e i cattolici dicono di aver fiducia nell’istituzione religiosa: si tratta di un mutamento notevole per una nazione che si è sempre considerata cristiana.
Le implicazioni politiche di questi cambiamenti sono notevoli: gli atei appaiono in prevalenza come votanti del partito Democratico: nel 2012 il 70% fra loro ha scelto Barack Obama, contro il 26% per Mitt Romney. I non credenti però votano poco: rappresentano ad oggi il 23% della popolazione ma solo il 12% di loro si reca alle urne.
Al contrario alle recenti elezioni di metà mandato tre quarti degli evangelical hanno votato repubblicano.
Per i candidati che aspirano alla presidenza l’influenza evangelical causa un dilemma che non farà che aumentare: per i repubblicani ad esempio si tratta di districarsi fra i voti delle primarie (la designazione in seno al partito) in cui bisogna sedurre la destra religiosa, e le elezioni nazionali in cui bisogna rivolgersi ad un pubblico più ampio, più secolarizzato.
Jeb Bush alla Liberty University ha insistito sull’importanza della difesa della libertà religiosa, preoccupazione essenziale per la destra. Ed ha evitato di nominare in alcun modo le unioni fra persone dello stesso sesso, cavallo che potrebbe tornare utile per le elezioni generali.
E cosa accade in casa democratica? Dopo la sconfitta nel 2004 di John Kerry contro George W. Bush sembrava si fosse aperto un “problema con Dio”. Tanto la Clinton quanto Obama hanno cercato in questi anni di sedurre gli evangelical moderati, per rendersi infine conto che si trattava di una battaglia perduta.
Un quarto degli elettori di Obama nel 2012 non apparteneva ad alcuna fede religiosa. Hillary Clinton ha parlato pubblicamente del suo credo metodista e ha aumentato le citazioni della parola Dio all’interno dei suoi discorsi.
Il voto religioso cristiano può quindi spostare parte degli equilibri, anche se sono in aumento le percentuali di fedeli di altre confessioni. La destra non rinuncia però a strizzare l’occhio verso valori che riconosce in parte anche propri, e che hanno avuto un peso almeno nella prima elezione di George Bush.
da: riforma.it/
Foto “US Capitol west side” di Martin Falbisoner – Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
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