Durante la stesura del mio commento a Genesi 50, mi sono imbattuto in una situazione assai particolare.
Dopo la morte di Ya’aqòv, i fratelli di Yoséf temono che lui possa vendicarsi per il male che gli hanno causato (50:15). Per evitare di essere uccisi, i suoi fratelli sembrano inventarsi letteralmente una storia, ovvero che suo padre avrebbe ordinato di dire a Yoséf di perdonarli nonostante gli avessero causato del male.
Nella Scrittura si evince molto chiaramente che Yoséf aveva già perdonato sinceramente i suoi fratelli, lo stesso giorno in cui aveva rivelato la propria identità.
Ciò che si dice in Genesi 50 in realtà Ya’aqòv non l’ha mai detto, almeno dal punto di vista letterale. Anche se la presunta clausola di Ya’aqòv sembra più una “bugia bianca” piuttosto che un dato di fatto reale, non è da escludere il principio dello “sviluppo narrativo”: ovvero quando l’autore aggiunge al proprio racconto dettagli aggiuntivi man mano che la storia va avanti.
Ecco il presunto intervento di Ya’aqòv: «Dai! Ti prego! Perdona la trasgressione dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti mostrarono malvagità! Ti prego, perdona adesso latrasgressione dei servi del Dio di tuo padre» (v. 17 | mia traduzione).
Ciò che mi fa pensare ad una “bugia bianca” è il fatto che Ya’aqòv non abbia trovato il tempo per dire queste cose proprio a Yoséf. Perché non gliele ha dette poco prima di morire, dopo aver dato le sue benedizioni? In quale occasione, perciò, Ya’aqòv avrebbe potuto «ordinare» certe cose? Un altro indizio sulla non veridicità delle parole dei fratelli è che, guarda caso, gli ordini del padre siano stati pronunciati in assenza di Yoséf, mentre tutti gli altri – il caso vuole – erano tutti presenti!
In realtà c’è una spiegazione ben più ampia che cercherò di riassumere: secondo il pensiero della Scrittura, anche se la bugia si trova nella lista dei dieci precetti divini,[1] è tollerabile solo in una determinata circostanza, ovvero quando si è in punto di morire o per difendere persone che rischiano la morte. Siccome i suoi fratelli temevano di essere giustiziati da Yoséf (cosa che comunque non era intenzione sua fare), s’inventarono questa “storiella” per intenerire il cuore di Yoséf e salvarsi la vita.
Ecco un aneddoto sulla bugia a fin di bene che può chiarire quanto intendo spiegare: durante la Seconda Grande Guerra, un gruppo di Ebrei si nascosero dalle grinfie dei tedeschi in una cantina buia e umida. Poco prima di accedere alla cantina, tutta la famiglia Ebrea scappò da due ufficiali tedeschi che li stavano inseguendo. Gli adulti riuscirono a seminare i due soldati, mentre i bambini furono catturati perché avevano il passo più lento. Uno dei due ufficiali disse ad uno dei bambini: «Sai dirci dove sono andati a nascondersi i tuoi genitori?». Il bambino, anziché dirottarli per un’altra strada, non poté fare a meno di dirgli la verità, perché i genitori gli avevano insegnato che la verità bisognava dirla “sempre e comunque”. La faccenda andò a finire che l’intera famiglia fu sterminata perché il bambino era stato educato a dire la verità “sempre”. Sicuramente è encomiabile la fedeltà del bambino all’insegnamento dei genitori, ma la colpa è stata solo dei genitori che non hanno saputo insegnargli bene quali rischi si corrono dicendo “sempre” la verità. Ai bambini fu insegnato in modo assai estremista che la verità è un principio universale imprescindibile. Quando un bambino si sente dire certe cose, è generalmente propenso ad assorbirle come una spugna assetata e, in caso di pericolo, non avrebbe la capacità di discernere se dire la verità in certi casi sia un bene o meno.
Questo principio sulla “bugia bianca” per salvare delle vite, è insegnato nella stessa Scrittura. Sì, la Scrittura insegna che le “bugie bianche” nel caso estremo di morte certa è consigliabile. Il caso biblico lo troviamo in Rachab, la prostituta. È scritto: «non fu giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece partire per un’altra strada?»(Giacomo 2:28; cfr. Ebrei 11:31). La storia è narrata in Giosuè 2. Si è letto che Rachab è stata «giustificata» per le sue «opere», cioè per aver protetto i messaggeri di Giosuè. Non solo li ha protetti, ma per salvar loro la vita si vide costretta a mentire agli inseguitori!Ebbene, questo principio biblico potrebbe fare al caso dei fratelli di Yoséf che temevano di essere uccisi.
Nota
[1] Vedi Esodo 20:16; Deuteornomio 5:20. Il comandamento, tuttavia, è più specifico. Non vuol dire «non mentire» in senso ampio, ma «non calunniare». Cioè «non attestare il falso contro il tuo prossimo», vale a dire «con il fine di fargli un torto che non merita». Ebbene, anche se il comandamento biblico non significa letteralmente «non dire bugie» in senso ampio, non vuol dire che tale principio non debba essere osservato. Perciò nessuno è giustificato se mente in circostanze estranee alla «calunnia» contro il prossimo, salvo in casi estremi per evitare una morte certa.
Daniele Salamone | Danielesalamone.altervista.org
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