La Riforma non è ancora finita

Diarmaid MacCulloch ridimensiona la Riforma di Lutero, sottolinea il ruolo dei riformatori svizzeri e dice che Trump è la punizione per le derive fondamentaliste del protestantesimo.

Storico del cristianesimo di fama mondiale, autore di una monumentale opera di riferimento sulla Riforma (pubblicata in italiano da Carocci, col titolo “Riforma. La divisione della casa comune europea 1490-1700”, ndr.), Diarmaid MacCulloch è dal 1997 docente di Storia della Chiesa dell’Università di Oxford.

Si sono da poco concluse le celebrazioni in occasione del 500. anniversario dell’affissione delle 95 Tesi da parte di Martin Lutero, nel 1517. Secondo lei, la Riforma sarebbe stata possibile anche senza le tesi di Lutero?
Probabilmente senza le sue tesi questa esplosione della Riforma non avrebbe avuto luogo. Furono certamente una sorta di catalizzatore. Lutero mise in luce la fragilità della vecchia Chiesa come non aveva mai fatto nessuno prima di lui. Tuttavia per i miei gusti è stato fatto un po’ troppo chiasso intorno a questo evento. Ci si è dimenticati che c’è stata anche una Riforma svizzera.

Ci voleva Lutero per contribuire all’affermazione di Ulrich Zwingli?
Ne dubito. È difficile sopravvalutare l’importanza di Zwingli. Quando gli inglesi pensano alla Svizzera e alla Riforma, pensano erroneamente a Ginevra, che all’epoca non era nemmeno svizzera, e a Giovanni Calvino, che non era svizzero. Eppure Zwingli è molto importante: ci sono stati infatti due tipi di protestantesimo, quello luterano e quello riformato. E quello riformato ha avuto origine a Zurigo.

Città della Riforma: Zurigo

Alcuni ritengono che la Svizzera debba la propria identità al protestantesimo riformato…
Non credo che la Riforma abbia dato alla Svizzera la sua identità, ma al protestantesimo svizzero sicuramente sì e ciò ha avuto a sua volta delle ripercussioni sull’identità del Paese. Per la Riforma svizzera è stata estremamente importante l’idea di un accordo sociale, di un’alleanza tra Dio e il suo popolo. A sottolinearlo è stato in particolare Heinrich Bullinger [il successore di Zwingli, ndr.]

La Riforma svizzera si è svolta in modo più democratico rispetto a quella tedesca?
Assolutamente sì: fu il popolo a decidere sulla sua identità religiosa. È questo il regalo della Riforma svizzera alla cultura occidentale, perché il protestantesimo inglese e quello americano hanno un carattere in massima parte riformato. La Riforma tedesca sarebbe stata invece ben presto dipendente dai principi. A decidere era un principe o un Consiglio cittadino, perciò la Riforma procedeva dall’alto verso il basso. Lutero abbandonò molto presto l’idea che la Riforma dovesse procedere dal popolo.

Lutero è stato un riformatore non privo di aspetti discutibili e oscuri. Lei come lo vede?
Tutto sommato in modo positivo: Lutero si oppose alla tirannia, si rifiutò di tacere. Si batté per ciò che riteneva la verità. La sua tragedia sta nel fatto che gli toccò scoprire quanto sia difficile condurre una rivoluzione. Succede a tutti i grandi rivoluzionari: la loro carriera finisce con la delusione. Negli ultimi dieci anni della sua vita Lutero era molto malato e ciò rende insofferente, tanto più una persona dal carattere collerico come il suo. Nel 1543, tre anni prima della sua morte, scrisse tremendi pamphlet antisemiti. Ma non era l’unico a farlo.

Sulle tracce di Lutero

Lutero scrisse tremendi pamphlet antisemiti

L’antisemitismo di Lutero era più marcato rispetto a quello dei suoi contemporanei?

No. La Germania era piena di antisemitismo. Agli inizi della sua carriera Lutero aveva scritto degli ebrei con una certa simpatia. Disse chiaramente ciò che molti in Europa preferivano dimenticare e cioè che Gesù Cristo era ebreo. Il successivo antisemitismo di Lutero era marcato dalla delusione. All’inizio della Riforma pensava che questa fosse l’inizio della fine del mondo. Dio avrebbe cambiato tutto e di tale cambiamento avrebbe fatto parte anche la conversione degli ebrei al cristianesimo. Ma non è quello che successe e Lutero la prese male.

Lei ha affermato che alcuni dei suoi scritti avrebbero funto da “modelli per la notte dei cristalli”…
Lutero chiedeva che si desse fuoco alle sinagoghe e che si bruciassero gli scritti ebraici.

Senza Lutero non ci sarebbe stato Hitler?
Di certo Lutero non fu di ostacolo alle preesistenti tradizioni antisemite. I teologi riformati erano per contro tutto sommato meno antisemiti. Tra i riformati c’erano molti che dovettero lasciare la propria patria e quindi si identificavano con il popolo di Israele, anch’esso costretto all’esilio. I luterani invece erano un popolo statico, tanto nei principati e nelle città imperiali della Germania quanto anche in Scandinavia e nell’Europa dell’est. I riformati erano anche pensatori molto più avventurosi. In che cosa consiste il luteranesimo lo dice già il nome: rimanere fedeli a Lutero. Invece i riformati indagavano e mettevano in discussione la propria fede. Di conseguenza erano interessati anche a ciò che pensavano gli ebrei su determinate questioni teologiche.

Quindi la Riforma rese più tolleranti alcuni luoghi e più intolleranti altri?
Esatto. Spesso si trattava anche dell’equilibrio politico di un luogo. C’erano posti in cui un sovrano voleva una confessione di fede, che fosse cattolica o protestante. Era così presso i luterani. Tra i riformati era diverso: nel giro di un secolo dopo la Riforma di Calvino Ginevra divenne una città particolarmente tollerante. La tolleranza religiosa maturò soprattutto là dove i potenti non volevano concedere troppo potere al clero e di conseguenza non punivano coloro che negavano l’obbedienza alla Chiesa.

Diarmaid McCulloch

La Riforma non è ancora finita

Nel giro di un secolo dopo la Riforma di Calvino Ginevra divenne una città particolarmente tollerante

Lei ha chiamato Lutero un rivoluzionario, tuttavia politicamente egli si appoggiò piuttosto ai potenti…
Non aveva alcuna simpatia per gli insorti della guerra dei contadini. Lutero aveva sì negato l’autorità del papa e sfidato l’imperatore del Sacro romano impero, tuttavia adesso gli insorti si richiamavano alle sue affermazioni per motivare la loro sfida a ogni autorità. Ciò spaventò Lutero, che da quel momento in poi sostenne i principi nella repressione dei contadini. Tra le persone semplici ciò portò a una grande disillusione nei confronti della Riforma. Da allora in poi Lutero poté contare soltanto su principi e Consigli cittadini.

Lutero aveva un’indole autoritaria?
Di sicuro gradiva imporre la sua volontà, tuttavia era scettico nei confronti di qualsiasi autorità umana. Ai principi riconosceva nelle cose religiose nulla di più di quella che chiamava un’“autorità d’emergenza”. Lutero credeva di vivere gli ultimi giorni dell’umanità, un periodo in cui il diavolo diventava sempre più forte. In una di queste situazioni di emergenza il principe avrebbe dovuto poter guidare la Chiesa in veste di “vescovo d’emergenza”. Ma Lutero non diede mai ai principi un diritto divino. Visto così non è di certo il consapevole iniziatore della tradizione autoritaria tedesca. Avere i prìncipi dalla sua parte era per lui piuttosto un matrimonio di convenienza.

Il Muro della Riforma di Ginevra


Quando finì veramente la Riforma? Si potrebbe anche dire che non sia ancora finita a tutt’oggi?
Nel mio libro la faccio finire negli anni 1690. Molti cominciarono allora a chiedersi che senso avessero avuto i conflitti degli ultimi 150 anni. Si voleva riflettere sulle cose religiose in modo nuovo. L’Illuminismo, che nacque allora, era in qualche modo l’opposto della Riforma: analizzava criticamente i testi sacri e metteva in discussione le autorità, mentre i riformatori volevano trovare una nuova autorità che doveva essere tanto esclusiva quanto quelle della vecchia Chiesa. Dopo i traumi della guerra dei trent’anni e altri conflitti religiosi sempre più persone rifiutavano quest’idea.

Lei ha detto una volta che ogni 500 anni la Chiesa vive un momento chiave come la Riforma. Quindi oggi dovrebbe essere arrivato di nuovo quel momento…
Forse proprio papa Francesco è un riformatore, anche se alquanto più cauto: quando oggi parliamo di riforme della Chiesa pensiamo soprattutto alla sessualità e al ruolo della donna e a questo proposito Francesco è piuttosto conservatore. È un tipico argentino, con tutti i preconcetti della regione del mondo da cui proviene. Quando però si tratta di combattere l’orgoglio del clero, la corruzione e gli abusi sui minori è senza dubbio un notevole riformatore. Anche lui, però, viene dall’apparato e non è quindi un rivoluzionario, ma con il tempo simili processi di riforma assumono spesso una propria dinamica.

Francesco stringe la mano a Martino


La sua grande opera sulla Riforma è sottotitolata “una casa divisa”. Suona come una conclusione piuttosto pessimistica…
Non solo: lo scisma nella Chiesa ha sicuramente causato molto dolore e turbamento, ma ha prodotto anche varietà e pluralismo. Se la consideriamo storicamente, l’unità della Chiesa occidentale, latina, dalla quale è proceduta la Riforma era soltanto un capriccio della storia. Non c’era mai stata prima una cosa del genere e la divisione del 16. secolo fu quindi un ritorno alla normalità. La realtà del cristianesimo è di divisione: al centro sta la persona di Cristo, ma ci si può avvicinare a questo e a tutti i suoi misteri per strade diverse. Per i cristiani non c’è soltanto una strada, anche se alcune Chiese lo sostengono. Nemmeno i riformatori volevano questa divisione, volevano semplicemente una Chiesa cattolica diversa da quella del papa.

Che cosa distingue veramente una Chiesa da una setta?
Una setta pone dei limiti molto rigidi intorno a sé, una Chiesa no. Una Chiesa è permeabile, vi si trovano strade per accedervi senza dover sottoscrivere dogmi troppo severi. Le sette sono orgogliose di isolarsi dalla società, mentre le Chiese stanno al centro della società.

Spesso però anche grandi Chiese assumono posizioni un po’ settarie. È ciò che alcuni rimproverano ad esempio agli evangelicali…
Il loro problema, soprattutto in America, sta nel fatto che prendono alla lettera tutto ciò che sta scritto nella Bibbia. Hanno perduto la poesia. A ciò si aggiungono un piatto materialismo e una morale sessuale repressiva. Forse l’elezione di Donald Trump è la punizione per tutto questo. (da BAZ; intervista a cura di Hansjörg Müller; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Da: Voceevangelica.ch

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