Alcuni si sono abituati a reprimere i propri problemi. Non li ammettono, tentano di negare l’esistenza e di dimenticarli.
Ma non ci riescono. Qualche volta, i problemi si ripresentano sotto forma di sintomi psicosomatici: un organo non funziona più come dovrebbe, compaiano dolori senza una causa apparente. Qualche volta si arriva alla depressione e a comportamenti maniacali. Una giovane signora di mia conoscenza aveva cominciato a manifestare una mania morboso per la pulizia. Lucidava e puliva ininterrottamente, anche là dove non c’era più niente da pulire. Tutto ciò che non sembrava nuovo di zecca, oggetti con ammaccature o con gli angoli un po’ smussati, veniva gettato nella spazzatura. Questa smania per la perfezione indicava chiaramente la presenza di peccati inconfessati nella vita di quella donna, che conseguentemente le causavano dei sensi di colpa. Lo sporco che c’era nel suo cuore, i pensieri peccaminosi, venivano proiettati sugli oggetti, i quali venivano “condannati”, cioè eliminati dall’ambiente in cui la donna viveva.
Alcuni proiettano la propria colpa su di un altro e la condanna in quella persona. Nel linguaggio corrente si usa spesso l’espressione: “cercasi un capro espiatorio”. Questo tentativo di liberarsi delle colpe, scaricandole su qualcun altro, è vecchio quanto il mondo. Adamo diede ad Eva la responsabilità del proprio errore, ed Eva a sua volta la scaricò sul serpente. Queste manovre di allontanamento sono ancora oggi molto praticate. Ci si rifiuta di assumersi le responsabilità delle proprie colpe.
Altri tentano di allontanare la colpa costruendosi un’immagine di Sè moralmente elevata. Giorgio si indignava profondamente se notava qualche comportamento sbagliato in campo sessuale. Persino l’immagine innocua di una coppia che si guardava teneramente, veniva da lui giudicata come vergognosa. Il suo problema era la sua fantasia immorale, che gli faceva immaginare quella coppia già nuda in atteggiamento inequivocabile. Con la sua indignazione non faceva altro che tentare di mitigare il rimorso della coscienza.
Molte persone depresse manifestano la tendenza esasperata a rimproverare e ad incolpare sé stesse per tutto, prendendosi ogni responsabilità. Si autodefiniscono malvagie e si sentono pertanto rifiutate da Dio. Naturalmente, l’ammissione ed il riconoscimento della colpa è la premessa necessaria per il perdono, ma qualche volta esse non sono sincere. Una signora non riusciva a smettere di confessare i propri peccati; accumulava misfatto su misfatto, nel suo colloquio con il pastore, perché voleva impressionarlo con una confessione degna ditale nome, mostrandogli un cuore contrito. Ma il pastore si accorse delle sue intenzioni, e volendolo interrompere il fiume di parole, disse per smascherare le sue vere intenzioni: “Sì, si, tutto questo l’ho già sentito.” Al che la donna ribatté su tutte le furie: “Che cosa ha già sentito lei? Vorrei sapere chi mi potrebbe rimproverare qualcosa!” Quella donna stava cercando in tutti i modi di placare la propria coscienza. Spesso, il consulente spirituale può farsi trarre in inganno da simili tentativi. Cerca di offrire consolazione, tenta di risollevare la persona che gli chiede aiuto, la quale spesso non si rende neanche conto delle manovre che sta utilizzando per cercare di liberarsi dal peso opprimente della colpa. In tali casi, chi vuole aiutare queste persone ha bisogno di molta saggezza, per reagire nel modo più adatto, e indicare la via della vera liberazione dalla colpa.
B.S.
Francesco La Manna – notiziecristiane.com
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