La patologia del culto dell’apparire

Nella moderna società dei media, dei social, dell’uomo tecnologico e internettiano siamo sollecitati da una “tensione” mascherata verso il culto dell’apparire (Riccardi P., ogni vita è una vocazione ed. Cittadella Asssisi 2014). Preoccupazione generale dell’individuo è essere visibile, apparire su un social, avere centinaia di like di “mi piace” su facebook, avere centinaia e migliaia di visualizzazioni su istagram o you tube a tutti i costi; magari si posta una foto di se non attinente alla realtà, magari si citano frasi poetiche e filosofiche solo per fare mostra di se e senza comprenderne il senso. Siamo sotto l’idolo dell’apparire. L’oro dei tempi moderni è l’immagine, l’apparire «Non vi farete idoli, non vi eleverete immagini scolpite …» (Levitico 26:1). «Perciò, cari miei, fuggite l’idolatria» (1° Corinzi 10:14). Sia nell’antico che nel nuovo testamento l’idolatria è condannata. Il senso della condanna è l’avvertimento a non perdersi, a non auto ingannarsi in un piacere effimero. Non è da criminalizzare l’utilizzo dei social o dei media, ma l’affidarsi di se ad essi che deve essere condannato. Da psicologo e psicoterapeuta devo avvertire che la cultura dell’immagine e dell’apparire provoca una “falsa identità” e “falsa realtà”. Si finisce di credere di essere ciò che si appare. Chiamiamo questa confusione stato psicotico. Lo psicotico confonde la realtà con le sue idee. Facciamo un esempio, affermare “mi sento come un leone oggi”rientra in una constatazione dell’energia interna; affermare “oggi sono un leone” è tenere conto solo del leone e non di se stessi. Questo è paragonabile allo stato psicotico. Va da se che constatazioni del genere sanno di onnipotenza non priva di conseguenze psicologiche sulla salute psicologica. Il vero disagio psicologico dell’uomo moderno è il “desiderio di apparire” non inquadrabile in precise categorie diagnostiche classiche ma che evidenzia il senso di vuoto e di nullità. In un contesto del genere il malessere esistenziale pervade ed è combattuto, il più delle volte, con il ricorso a psicofarmaci, a psicologi, psicoanalisti, psicoterapeuti con estenuanti e inutili teorizzazioni. Penso, semplicemente, che il discorso debba cadere sulla riflessione del cosa si nasconde dietro il culto dell’apparire. Il “vuoto”, inteso come il percepire la vita senza uno scopo (Frankl V., Teoria e terapia delle nevrosi ed Morcelliana, 2001). L’autore del libro biblico dell’Ecclesiaste o Quelet, aveva ricchezze e sapienza, centinaia di palazzi e giardini che facevano invidia a ogni genere di uomo eppure, a un certo punto, il suo cuore appariva vuoto e senza scopo, perché il suo essere lo aveva affidato all’esterno (apparire di oggi) ed ecco come tappa per trovare il proprio scopo del vivere è il considerare come «tutto è vanità» (Ecclesiaste 1:2) e iniziare a fare rinuncia da quegli atteggiamenti e comportamenti che non mirano alla ricchezza spirituale, ma all’onnipotenza dell’apparire. Perché «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19).

Pasquale Riccardi


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