Agisci, uomo di Dio, con saggezza e determinazione: la parabola dell’amministratore astuto. (Luca 16:1-8)
Tra le innumerevoli parabole che Gesù raccontò, quella dell’amministratore astuto è quella che suscita stupore e imbarazzo agli uditori-lettori dell’Evangelo. In essa Gesù ha parole di elogio per un furfante che, dopo essere stato licenziato dal suo datore di lavoro, si assicura il suo futuro falsificando i documenti contrattuali dei debitori dell’imprenditore agricolo. Perché Gesù plaude l’intraprendenza dell’imbroglione? Affinché possiamo comprendere lo “strano” comportamento di Gesù, è necessario leggere accuratamente la parabola redatta solo nell’evangelo lucano.
Il cap. 16 sembra staccarsi dall’insegnamento parabolico di Gesù del cap. 15, avente come tema la ricerca amorevole di Dio del peccatore perduto e la gioia che ne deriva dall’essere accolto nella società di Dio. Sono parabole raccontate agli Scribi e ai Farisei, i quali erano sprezzanti nei confronti dei peccatori. Ma le due parabole dell’amministratore astuto e del Ricco e Lazzaro, le quali fungono da cornice a una serie di detti che trattano dell’uso del denaro e del divorzio, sono raccontate ai discepoli.
Nel raccontare la nostra parabola, Gesù probabilmente prende a prestito un fatto di cronaca del suo tempo con delle sue personali aggiunte. Egli narra la storia di un amministratore(gr. oiconòmos) di un facoltoso latifondista, il quale mostra di non essere all’altezza del suo compito, dilapidando un ingente capitale. (1) Le voci, come si sa, sono più veloci del vento: il mormorio sulla cattiva gestione dei conti giunge alle orecchie dell’imprenditore. Egli decide di licenziarlo, dopo che il fattore avrà dato un dettagliato resoconto della sua attività gestionale dei beni. L’economo, vistosi scoperto, e prospettandosi davanti a lui un futuro miserando, escogita una piano d’azione da attuare in tempi brevissimi prima che la gestione passi nelle mani di un altro economo. Egli pensa di falsificare i contratti creditizi con l’aiuto dei debitori. In tempi in cui non esisteva una scrupolosa verifica della contabilità, era facile dichiarare il falso in atto pubblico. Infatti, l’astuto fattore fa sparire i vecchi contratti e redige nuovi documenti con la variazione del debito contratto dai grossisti, che si sono forniti di olio e di grano. Il primo debitore deve all’imprenditore 100 bath di olio (1 bath equivale a 40 litri) del valore complessivo di 1000 denari (un denaro equivale al salario giornaliero di un bracciante agricolo). All’acquirente della grossa partita di olio gli condona la metà del debito, ossia 500 denari ovviamente a danno del proprietario. Ad un altro grossista, che deve cento kori di grano (1 kor equivale all’incirca 350 kilogrammi, gli condona un quinto del debito, anch’esso pari a 500 denari. Ovviamente, il briccone procede su questa falsariga, falsificando documenti creditizi di altri debitori, danneggiando il suo ex datore di lavoro e accattivandosi la simpatia e la complicità dei grossisti debitori. A questo punto del racconto l’uditorio si aspetterebbe la disapprovazione e l’indignazione del padrone. Ma come accade spesso, Gesù stupisce il suo uditorio con l’inserimento di una nota di lode del fattore da parte del suo padrone alla fine del racconto, che senz’altro avrebbe urtato la sensibilità degli astanti. Perché viene lodato l’economo fraudolento? Non certo per la sua disonestà, ma perché è stato scaltro e determinato nell’essersi assicurato un futuro più sereno: sebbene il latifondista fosse stato alleggerito ancora di migliaia di denari, esprime un sorprendente apprezzamento nei confronti del suo ex economo per la sua ingegnosità nell’aver saputo superare brillantemente la crisi economica imminente causata dal suo giusto licenziamento. Alle parole dell’imprenditore seguono quelle personali di Gesù, con le quali constata che i Figli del Secolo nelle relazioni interpersonali sono più scaltri dei Figli della Luce.
E’ indubbio che una siffatta parabola crei imbarazzo in chi l’ascolta o la legge. Ed è legittimo chiedersi perché Gesù abbia raccontato questa parabola che urta per l’apparente elogio dell’immoralità nel campo degli affari di un economo briccone. In realtà cosa sta dicendo Gesù? Cosa vuole insegnare?
Per comprendere correttamente l’intento parenetico gesuano, che soggiace nello sconcertante racconto parabolico, si deve attentamente analizzare la parte finale del v. 8: “… Poiché i Figli di questo mondo nelle relazioni con quelli della loro generazione sono più avveduti dei Figli della luce”.
In primo luogo Gesù, relazionando l’agire dei “Figli del Secolo” con quello dei “Figli della Luce”, pone a modello in primi nei confronti dei secondi. Lungi dall’idea di imitare la disonestà e la frode, Gesù enfatizza l’ingegnosità e l’avvedutezza. Il termine greco è “fhronìmos”, che è usato in modo avverbiale in 8a e in modo comparativo in 8b, ha il significato di assennato, saggio, accorto, prudente, intelligente, giudizioso. Dunque, Gesù considera più accorti, più scaltri e più abili i Figli del Secolo, che mostrano determinatezza ne loro agire quotidiano. Gesù constata che essi nella gestione dei loro affari fanno esaltare doti di ingegnosità e di abilità. Il protagonista della parabola è un eloquente esempio. Gesù cerca di capire cosa impedisce ai Figli della Luce di dar prova di determinatezza, creatività e ingegnosità nel campo della fede: la serietà della fede sembra essere il pilastro portante della riflessione parabolica. Se il fattore della parabola è determinato per salvarsi la pelle, a maggior ragione i Figli della Luce dovranno sentirsi stimolati ad agire con determinazione e risolutezza nell’ordine della fede, motivati a vivere il dinamismo dell’Evangelo. In genere, si registra nella condotta del discepolo una inquietante incongruenza tra una confessione verbale di adesione radicale alla sequela di Gesù e un vissuto quotidiano in qualche modo sganciato da essa: l’essere catturati dagli affari secolari porta ad essere affrontati in maniera autonoma dalla fede. L’insegnamento parabolico di Gesù sembra essere più nitido: i Figli della Luce sono esortati a vivere l’oggi con abilità e con determinazione, richiesto dall’imperativo dell’ora, dell’imminente irruzione del Regno di Dio.
Nell’ambito della cultura post-moderna la fede cristiana annaspa e stenta a esprimersi e ad essere vissuta con incisività. Non c’è messaggio più appropriato di questa parabola attraverso la quale Gesù vuole scrollare l’apatia del discepolo che vive una fede stanca, illanguidita e senza bussola. In aggiunta, la parabola assume anche toni provocatori, perché il discepolo si riappropri della consapevolezza del valore rivoluzionario dell’Evangelo che trasforma l’uomo interiore in vista della crisi finale, il giudizio di Dio sull’uomo e sulle sue azioni in una società tecnologicamente molto raffinata e ideologicamente sostenuta da un poderoso pensiero neoumanista o neoilluminista, che è comunque alla ricerca di senso e di valori, inducendo i nostri compagni di umanità a percorrere altre strade, a rincorrere altre soluzioni. Purtroppo il Cristianesimo oggi si sta squalificando. A causa dei continui scandali nelle chiese e dei modelli culturali secolari, l’orientamento concettuale della fede è fortemente condizionato a tal punto da definirsi un Cristianesimo senza Cristo. Ecco che la voce tonante di Gesù irrompe minacciosamente nelle coscienze dei discepoli per scrollarli dal loro torpore spirituale e indurli a riappropriarsi di quella fede dinamica, controculturale, che produce azioni coraggiose, determinate e risolute orientate a un vissuto quotidiano dell’evangelo radicale portatori di valori duraturi e imperituri.
“Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino, ravvedetevi e credete al Vangelo” (Mc 1:15).
(1) cfr. Michel Gourges- Le parabole di Luca- Elledici Leumann (to), 1996, pagg. 150-151. Ioakim Jeremias, invece, afferma la disonestà del fattore fin dal primo versetto. Cfr. Ioakim Jeremias- Le parabole di Gesù- Bs,1973, pag.223)
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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