Da qualche anno, stiamo assistendo alla grande diffusione del fenomeno dei talent-show, cioè quelle trasmissioni televisive che hanno lo scopo di scoprire nuovi talenti da lanciare nel mondo dello spettacolo.Sebbene le carriere di queste giovani promesse percorrano il più delle volte una parabola discendente, in quanto sono spesso caratterizzate da un successo effimero e passeggero, i ragazzi, adescati dalle possibilità di fama e facile guadagno, sono sempre più attratti da tale genere di spettacoli e dal desiderio di salire alla ribalta.
Un tempo, chi voleva entrare a lavorare in televisione doveva affidarsi ai cosiddetti “talent scout” cioè quelle persone dotate di un particolare fiuto in grado di scoprire talenti nascosti, oppure doveva affrontare dei provini e partecipare a dei concorsi e solo dopo una dura selezione poteva sperare di iniziare la propria gavetta.
Ai giorni nostri, nell’epoca in cui si tende a spettacolarizzare persino i dettagli più intimi della vita delle persone, questi metodi per raggiungere la notorietà risultano ormai antiquati e sono stati soppiantati dai nuovi talent show.
Il successo di questi programmi è dovuto al fatto che gli spettatori sono naturalmente indotti a immedesimarsi nei concorrenti, tanto da illudersi che tutti possano essere potenzialmente delle star, infatti a chiunque è offerta un’occasione per diventare famosi e la possibilità di dimostrare davanti a tutti quello che si sa fare.
Anche se ci appaiono molto “democratici”, purtroppo questi spettacoli offrono un contenuto poco edificante, in quanto tendono a esaltare la vanità e la brama di celebrità, oltre che l’esacerbazione della competizione.
I giovani di oggi, che sono costantemente esposti a questi programmi televisivi, assimilano tali comportamenti e crescono con dei valori distorti, credendo che l’unico scopo della vita sia quello di scoprire e mettere in mostra il proprio talento e che se non si possiede un certo “quid” che li distingua dagli altri, si sia inesorabilmente destinati a rimanere degli individui insignificanti.
Noi cristiani non dobbiamo sottovalutare ciò che accade intorno a noi e dobbiamo sempre vegliare, affinché la mondanità non si introduca nel nostro mezzo.
Negli ultimi anni infatti, stiamo osservando che la cultura dei talent show sta cercando di entrare prepotentemente anche nelle chiese, tanto che sempre più persone che si definiscono cristiane, vanno di chiesa in chiesa cercando di mettere in mostra i loro presunti “doni”, tentando di vendere i propri dischi di musica cristiana o cercando qualche ingaggio per un concerto.
La cosa peggiore è che molti di questi individui millantano ministeri inesistenti, come il “ministero della guarigione” o il “ministero della lode”, e affermano di essere mandati da Dio mentre lo mettono totalmente da parte per innalzare loro stessi e per sfruttare la chiesa come un luogo nel quale fare carriera.
Molti cristiani pensano di poter servire il Signore solo perché si sentono dotati di qualche capacità particolare, ma commettono un grave errore, perché confondono il loro talento personale con la vocazione di Dio.
Ad esempio, alcuni predicatori profondono molte risorse nello studio della retorica, con lo scopo di rendere i loro sermoni piacevoli e persuasivi e certi gruppi musicali passano ore e ore in sala prove per raggiungere livelli professionali, dimenticando che la cosa più importante è l’unzione dello Spirito Santo, perché: “Quand’anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho amore, divento un bronzo risonante o uno squillante cembalo” (1 Corinzi 13:1).
Quando riceviamo un incarico nella chiesa, sicuramente siamo contenti e ci sentiamo onorati, ma dobbiamo badare che questi sentimenti non siano dettati dalla nostra carnalità, perché all’inizio è facile accettare un impegno sull’onda dell’emotività, ma poi è dura portarlo avanti quando sorgono i problemi… senza dimenticare che il diavolo è sempre pronto a farci cadere per poi svergognarci.
Quando Dio ci affida qualcosa si aspetta che noi ci adoperiamo per curarlo, per farlo crescere e prosperare, perché un giorno ci chiederà conto del nostro operato.
Nella Bibbia è riportata la celebre parabola dei talenti, che paragona il regno dei cieli a un uomo che, dovendo partire per un viaggio, affidò delle somme di denaro ai suoi tre servi in proporzioni diverse a ciascuno, affinché le potessero trafficare durante la sua assenza.
Il racconto dice che mentre i primi due fecero come era stato loro comandato, l’ultimo ebbe paura e invece di trafficare il suo talento, andò a nasconderlo sotto terra, al che, il suo signore lo rimproverò e disse: “Malvagio e indolente servo, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; tu avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, al mio ritorno, l’avrei riscosso con l’interesse” (Matteo 25:26-27).
Il Signore non è un talent scout e non ha bisogno di andare alla disperata ricerca di nuovi talenti da mettere a lavorare nel suo campo: se noi possediamo qualche capacità e qualche attitudine è perché ci sono state donate da Lui e fin dalla fondazione del mondo ci ha scelti e ha preparato per noi delle opere affinché le compiamo.
I veri servi di Dio dei quali ci parla la Bibbia sono sempre stati umili e all’inizio del loro mandato si sono persino dimostrati restii ad accettare il compito che Egli aveva loro affidato, mentre oggi vediamo che molti credenti desiderano ardentemente salire su un pulpito e aspirano al ministero per farne uno spettacolo e una fonte di guadagno, come fece Simon mago (Atti 8:18-19).
Molti artisti sembrano risplendere come stelle nel firmamento dello spettacolo, hanno folle immense di ammiratori e dedicano tutta la loro vita al proprio talento, ma anche se sono destinati ad avere successo per un po’ di tempo su questa terra, quale sarà un giorno la loro fine?
Forse noi non possediamo nessuna capacità particolare e agli occhi degli uomini siamo considerati delle nullità eppure il Padre ci ha scelti, ha avuto pietà di noi e ha mandato suo figlio Gesù a morire sulla croce, affinché noi potessimo essere purificati immeritatamente dai nostri peccati, perciò non permettiamo all’orgoglio di prendere il sopravvento nella nostra vita, non mettiamo in luce noi stessi, ma serviamo il Padre con umiltà come fece Cristo, affinché un giorno anche noi possiamo sentirci dire: “Bene, buono e fedele servo; tu sei stato fedele in poca cosa; io ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo signore” (Matteo 25:21).
fr. Andrea
Tratto da: http://www.betaniachiesaevangelica.it/
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