Che il più grande tra gli oceani del Pianeta fosse destinato ad essere “pacificamente radioattivo” era chiaro già poche settimane dopo che il devastante tsunami dell’11 marzo 2011 travolgesse parte della centrale nucleare giapponese di Fukushima Daiichi. Non stupisce quindi sapere che gli scienziati della Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi) hanno rilevato, per la prima volta in un campione di acqua di mare dalla costa del Nord America, la presenza di radioattività proveniente dal disastro nucleare giapponese. A confermarlo, in verità non occorrevano delle minime particelle di cesio, visto che in Oregon nel giugno del 2012 era arrivata, dopo un viaggio di circa 8.060 chilometri, una banchina di 20 metri e circa 165 tonnellate strappata a un porto giapponese dallo tsunami. Certo la banchina non è risultata radioattiva, ma volete che non arrivino delle particelle di cesio?
Il campione, che è stato raccolto il 19 febbraio ad Ucluelet, nella British Columbia, in Canada, grazie alla collaborazione dell’Ucluelet Aquarium, contiene tracce di cesio (Cs) che sono state dichiarate “al di sotto del livello dannoso per la salute umana e della vita marina stabilito a livello internazionale”. Negli ultimi 15 mesi, gli scienziati Whoi con l’aiuto di molti volontari, hanno raccolto campioni d’acqua in più di 60 siti lungo la West Coast di Stati Uniti, Canada e Hawaii per cercare tracce di isotopi radioattivi provenienti da Fukushima. Nel novembre 2014, il team aveva trovato il primo campione contenente radioattività riconducibile a Fukushima a 100 miglia dalla costa della California settentrionale, ma fino ad ora non era stata ancora trovata radioattività lungo le spiagge del Nord America, dove dal 2013 vengono fatti regolari e mirati campionamenti.
Ken Buesseler, un chimico marino della Whoi che dal 2011 sta misurando i livelli di radioattività nell’acqua di mare nei campioni provenienti da tutto il Pacifico, sottolinea che “La radioattività può essere pericolosa e ci deve essere un attento monitoraggio degli oceani, dopo quello che è stato certamente il più grande rilascio accidentale di contaminanti radioattivi negli oceani nella storia. Tuttavia, i livelli che abbiamo rilevato ad Ucluelet sono estremamente bassi”. I ricercatori dicono che “Questi livelli di cesio sono paragonabili a quelli misurati a 100 miglia al largo della costa della California del Nord la scorsa estate. Se qualcuno nuotasse per 6 ore al giorno tutti i giorni dell’anno in acqua contenente livelli di cesio doppi di quello del campione di Ucluelet, la dose di radiazioni che riceverebbe sarebbero ancora più di mille volte inferiori a quella di una singola lastra di raggi x dentale”.
Un approccio serio e scientifico, che senza allarmismi non sottovaluta il problema, a differenza di episodi tragici come la morte nel 2013 per cancro all’esofago di Masao Yoshida, l’ex capo della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, che rimase al suo posto e decise di contravvenire agli ordini usando acqua di mare per raffreddare i reattori danneggiati dallo tsunami. Allora la Tepco, società che gestisce il nucleare nipponico, si era affrettata a smentire: “non esiste collegamento tra il cancro di Yoshida e l’incidente di Fukushima”. Come no…
Intanto in queste settimane gli scienziati al Whoi stanno analizzando i campioni contenenti due tipi di cesio radioattivo che possono provenire solo da fonti antropiche: il Cesio 137, la cosiddetta cesio “legacy”, che rimane dopo i test di armi nucleari nell’atmosfera, si trova in tutti gli oceani del mondo e impiega circa 30 anni per dimezzarsi in un campione di decadimento e il cesio 134. Dato che il cesio 134 ha una vita più breve rispetto al 137, quello arrivato sulle coste canadesi può venire solo da una recente emissione e l’unica fonte recente di cesio 134 è stato il disastro di Fukushima Daiichi. I reattori di Fukushima hanno immesso in mare una quantità senza precedenti di cesio 137 e di cesio 134 e il campione di Ucluelet contiene 1,4 Becquerel per metro cubo (Bq/m3) di cesio 134, un segno della provenienza da Fukushima, e 5,8 Bq/m3 di cesio 137.
Buesseler per la sua ricerca ha fatto affidamento sul crowd-funding e sull’iniziativa “Our Radioactive Ocean” per poter raccogliere il maggior numero di campioni di oceano, perché nessuna agenzia federale Usa è oggi responsabile del controllo delle radiazioni nelle acque costiere. Un lavoro importante visto che per Buesseler e il suo team di scienziati e volontari è possibile “che più siti mostreranno livelli rilevabili di cesio 134 nei prossimi mesi, ma le correnti oceaniche e lo scambio tra le acque al largo e costiere è piuttosto complesso. Prevedere la diffusione delle radiazioni diventa più complessa quanto più ci si avvicina alla costa e ci serve l’aiuto del pubblico per continuare con questa rete di campionamento”.
Il monitoraggio costante della radioattività, anche grazie alla società civile, è un’opera essenziale, che continua a rivelare tragici ed inaspettati segreti, come quando nel marzo del 2013 sono state trovate tracce di cesio 137, oltre la soglia prevista dal regolamenti in caso di incidente nucleare, nella lingua e nel diaframma di 27 cinghiali del comprensorio alpino della Valsesia in Italia. Erano in campioni di capi abbattuti nel 2012/2013 e anche se non è stato possibile risalire all’origine certa della radioattività, come sappiamo, “Il cesio 137 – ci aveva ricordatoo la responsabile dell’Istituto di Radioprotezione dell’Enea, Elena Fantuzzi – è un radionuclide artificiale prodotto dalla fissione nucleare. Viene rilasciato quindi da siti nucleari”. Le ipotesi più accreditate sono state quelle secondo cui il cesio potrebbe essere stato rilasciato in seguito all’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl del 1986, ma non bisogna sottovalutare la presenza di siti nucleari nella zona, fra i quali lacentrale di Trino Vercellese disattivata nel 1987 ma ancora da smantellare e il sito sperimentale dell’Enea a Saluggia.
Insomma la globalizzazione non vale solo per l’economia, ma anche per la radioattività ela nostra vittoria referendaria nel giugno del 2014 ha un valore puramente simbolico fino a quando a pochi o anche a molti chilometri dai nostri confini troveremo ancora centrali nucleari attive. E mi raccomando nessuno lo dica a quelli dell’ISIS ed affini, potrebbero distruggere facilmente l’Europa solo grazie alla nostra ostinata propensione per il nucleare, prendendo di mira non una redazione, un supermarket o un museo, ma questa volta una centrale.
Alessandro Graziadei
Fonte: http://www.unimondo.org/
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