La morte è stata ingoiata nella Vittoria

vittoria_8597Ora Paolo, giunto alle soglie di una realtà che gli occhi della carne non possono indagare, tenta di oltrepassare la trama dei concetti umani gettando uno sguardo dentro il Mistero. E’ qui che, pur senza presunzione, va al di là di quello che aveva ricevuto dagli apostoli per attingere anche alle immagini dell’Apocalisse.

Leggiamo approfondendo
(vv.51)” Ecco, vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo straformati”.
Il mistero consiste in questo: anche quelli non falciati dalla morte (che cioè saranno ancora in vita quando avverrà il ritorno di Cristo) verranno trasformati. Dovrà avvenire questa trasformazione per poter entrare con Lui nella gloria.
Come in (1Ts. 1,17), s’intravvede che Paolo sperava essere lui pure vivo al ritorno del Signore che, secondo l’attesa della Chiesa primitiva, sarebbe dovuto essere imminente.

(v.52-53)”In un istante, in un batter d’occhio, all’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti, e noi saremo trasformati”. Questo corpo corruttibile deve rivestire l’incorruttibilità e questo corpo mortale rivestire l’immortalità.
Il linguaggio qui è tipicamente quello dell’Apocalisse (quella accettata dalla Bibbia e anche altra stesura apocrifa). Incorruttibilità e immortalità, ecco le due caratteristiche della trasformazione: quella che noi stesi felicemente, un giorno e per sempre, vivremo.

(v.54-55) “E quando questo corpo corruttibile sarà rivestito d’incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità, si realizzerà la parola che sta scritta: La morte è stata ingoiata nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”.
Non si tratta di “futurologia”, del tutto fuori dagli intenti di Paolo. E’ piuttosto il consolante appoggiarsi di Paolo sia alla verità fulcro della storia: la Resurrezione di Cristo e la nostra, sia a una parola del profeta Isaia 25, 8, citata qui in forma lievemente diversa: la morte è stata ingoiata
dalle fauci della vittoria. Si tratta della disfatta totale dell’ultimo nemico: appunto, la morte, a opera del Cristo Risorto.

(v.56-57) “Il pungiglione della morte è il peccato, e la potenza del peccato è la Legge. Ma siano rese grazie a Dio che ci concede la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!”.
La morte, potenza malefica, per esercitare la sua distruttività a danno dell’uomo, si avvale del peccato che ne è – bellissima, forte immagine – il velenoso pungiglione.
La legge è la norma, il precetto. Ed ha il suo compito circa l’ordine morale del singolo e del popolo di Dio. Da se stessa, però, la legge non ha la forza perché questa vittoria si adempia. Ciò che la supera, appunto, portando al credente in Cristo tutto il vigore necessario, è Gesù Cristo Signore: la grazia sua di cui essere riconoscenti a Dio Padre.

v. 58 Perciò, o fratelli miei carissimi, rimanete saldi, irremovibili, prodigandovi senza sosta nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.
E’ una calda esortazione a una fedeltà che trova, nella perseveranza, il suo modo d’essere irremovibile. Conseguenza diretta della fede nel Cristo Risorto, ben lungi dal costringere i fedeli a posizioni di timore del futuro o della morte, li vivifica anzi e li rende protagonisti di un agire in funzione di quell’”opera del Signore” che è sempre relativa al suo precetto: l’amore reciproco che difende e fa evolvere l’uomo dentro ciò che è vero, buono, bello. E’ una fatica e Paolo la riconosce, ma nel Signore (con la sua grazia) è tutt’altro che vana.

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