Mi chiamo Adriana Oppido, ho quarantotto anni e vivo a Gela. Posso dire che la mia vita è totalmente cambiata da quando, all’età di vent’anni, ho permesso a Gesù di diventarne il Signore. In realtà avevo sempre saputo che Gesù era la Via e che seguirLo era giusto, perché mia madre, e soprattutto mia nonna, me ne parlavano spesso. Ma io ero molto giovane e, non immaginando ancora quanto Dio mi amasse, pensavo che esistesse solo per dirmi che quello che facevo era sbagliato. Per questo motivo mi ero convinta che Dio era roba da vecchie e che i giovani che frequentavano la chiesa lo facevano solo perché, in quanto figli di credenti, ci erano nati. Perciò rimandavo la mia decisione di seguirLo a quando sarei stata più matura. Ma già a sedici anni Dio mi chiamava. A quel tempo io e la mia famiglia abitavamo in Svizzera. Tornavo a Gela solo per le vacanze estive e natalizie, ed era in queste occasioni che mi capitava di partecipare a qualche riunione in chiesa. E ogni volta che sentivo che Dio mi chiamava, toccava il mio cuore, piangevo senza capire perché non riuscivo a smettere. Sentivo una gioia inspiegabile dentro al mio cuore, ma allo stesso tempo provavo imbarazzo a piangere davanti agli altri. Cosi decisi di non partecipare più. A quel tempo i miei progetti erano avere un fidanzato, degli amici, un lavoro che mi rendesse economicamente indipendente, crearmi una famiglia. Avevo costruito la mia vita su due valori fondamentali; l’amore e l’amicizia. Finchè un giorno, un nefasto giorno, a vent’anni, quando già progettavo si sposarmi, trovai il mio fidanzato a letto con la mia migliore amica. Fu un’esperienza sconvolgente e devastante. Avevo abbandonato tutti i miei amici per poter trascorrere più tempo con il mio fidanzato e alla fine ero rimasta con un pugno di mosche in mano. Le basi su cui avevo fondato tutta la mia vita erano franate a terra in un istante. Mi chiedevo che razza di donna fossi, se non ero stata capace neanche di tenermi il mio uomo. Mi sentivo in colpa per avere messo in pratica i valori che la mia famiglia mi aveva insegnato e per non essermi donata a lui anche fisicamente. Amavo quell’uomo al di sopra di tutto e, se fosse venuto a cercarmi, me lo sarei ripresa subito. Ma lui non mi cercò più.
Giorno dopo giorno l’angoscia cresceva dentro di me, una ferita profonda straziava il mio cuore e mi gettava tra le fiamme della depressione. Nel giro di una settimana arrivai alla decisione di togliermi la vita. Era una decisione talmente drastica che desideravo non si potesse trovare neanche il mio corpo. L’unica soluzione era buttarmi nel fiume Reno, che bagnava il paesino della Svizzera dove vivevo. Pensai che, se mi fossi buttata dal ponte, qualcuno avrebbe potuto vedermi e impedirmi di saltare giù. Cosi scesi verso il letto del fiume, decisa ad immergermi. Era il mese di marzo, e il fiume era in piena a causa dello scioglimento delle nevi e la corrente era molto forte. Entrai nel fiume e già al primo passo avrei dovuto affondare ed essere trascinata via, invece cominciai a camminare. Quando arrivai a metà del fiume e mi resi conto che non ero ancora sprofondata, mi voltai e mi accorsi che ero molto lontana dalla riva. Mia madre non era li presente, ma Dio me la fece vedere che piangeva disperata e gridava il mio nome. In quel momento sentii una voce che mi disse : “Che colpa ne ha questa donna che ha sempre cercato di portarti sulla retta via?”. Cosi tornai indietro e me ne andai a casa. Nel mese di dicembre fui riportata a Gela da un problema di salute di mia sorella. Nel mese successivo doveva subire un intervento alla schiena che l’avrebbe costretta a letto per ben due anni. Il suo bambino era appena nato e perciò entrambi avevano bisogno di assistenza. Mia madre le disse che io mi sarei occupata di tutto. A quel tempo ero una persona molto egoista e mi arrabbiai con mia madre perché aveva deciso per la mia vita senza nemmeno consultarmi. Infatti non era mia intenzione lasciare il mio lavoro, tantomeno la Svizzera, per un paese sperduto della Sicilia. Cosi lei mi disse che intanto saremmo partite per le vacanze natalizie e che, una volta a Gela, avrei potuto decidere se fermarmi o meno.
L’amore che provai subito verso il mio nipotino mi conquistò e mi convinse a rimanere due anni. Una sera, poco tempo dopo il mio arrivo a Gela mia sorella mi invitò a partecipare ad una riunione in chiesa. Ci andai e, come al solito, trascorsi tutto il tempo a piangendo e ripetendo a me stessa, come quando avevo sedici anni, che quella era l’ultima volta che mettevo piede in quella chiesa. Eppure stavolta notai che quelle persone avevano una pace ed una gioia che a me mancavano. Facevo usi di psicofarmaci per combattere la depressione che aveva invaso la mia vita, prendevo farmaci per dormire e persino per mangiare (ero sottopeso di 25 chili), ma ciononostante non avevo la serenità che era cosi evidente nei volti di quelle persone. Per tutta la settimana non feci altro che pensare a loro. Ero combattuta. La domenica successiva mia sorella preso il bambino e se ne andò senza invitarmi alla riunione. Ci rimasi davvero male. Cosi, sentendomi sola a casa, decisi di prendere l’autobus e andare comunque in chiesa. Non conoscevo le strade di Gela perché mancavo da quando ero bambina, ma Dio fece si che l’autista era un membro di quella chiesa. La domenica precedente lui era stato presente alla riunione, perciò mi riconobbe e mi indicò la strada per raggiungere la chiesa. Quando arrivai scoprii con grande sorpresa che mia sorella mi aveva conservato un posto vicino a lei. Quel giorno stesso decisi di dare la mia vita a Gesù Cristo e gli chiesi di entrare nel mio cuore, di darmi la serenità e la tanto bramata pace. Da quella sera in poi smisi si assumere gli antidepressivi e posso dire che nemmeno per un attimo sono entrata in crisi d’astinenza. Dio entrò nel mio cuore e rivoluzionò la mia vita, mi liberò dall’egoismo, compresi finalmente quanto fosse grande il Suo amore per me. Oggi sono una donna felicemente sposata di due gemelli, un maschio e una femmina. Insieme a loro continuo a servire il Signore.
Fonte: http://www.terrapromessagela.it/l
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