La legge UE che ucciderebbe la libertà sul Web

Tra il 2 e il 5 luglio si raccoglierà per un’ennesima seduta la Plenaria della Commissione Affari Legali del Parlamento europeo per votare sulla nuova Legge sul diritto di Copyright. Apparentemente innocente, questa legge uccide tutte le attività indipendenti sul Web e le piattaforme opensource. Un grave limite al diritto di espressione.

Tra il 2 e il 5 luglio si raccoglierà per un’ennesima seduta la Plenaria della Commissione Affari Legali del Parlamento europeo per discutere della tanto conclamata “Legge sul diritto di Copyright” (“conclamata” per modo di dire: la notizia  in realtà si trova defilata in qualche sparuto trafiletto di qualche giornale cartaceo, o al fondo delle pagine dei più visitati aggregatori di News della rete).

La discussione è stata avanzata dalla verde tedesca Julia Reda, che sta a capo di un gruppo non troppo ristretto di persone che, invece, la “Legge sul Copyright”, così com’è scritta, non la vuole. Non la vuole neanche il nostro Vicepresidente Luigi Di Maio, per intenderci, e forse a ragione. Sembra infatti che la proposta avanzata dal tedesco Oettinger ,all’interno di un procedimento costruito con il sodale Voss, possa minare la libertà di parola e il diritto alla critica. La legge sul Copyright viene trattata da ormai 21 mesi abbondanti e ha l’obiettivo di generare una “tassazione sui link”. In che senso? Lo spiega bene nel suo videoblog Byo Blu – cui linkiamo, appunto, alla pagina che raccoglie le firme per la rivisitazione della direttiva – Claudio Messora, che spiega: « Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!». Sta parlando, in questo caso, dei contenuti sponsorizzati su Facebook, o degli snippet presenti sotto gli annunci dei principali motori di ricerca.

Il problema vero e proprio scatta alla lettura dell’articolo 13 della legge, che cita che “le piattaforme online sono responsabili per le violazioni del copyright dei loro utenti” e “devono in ogni caso implementare filtri preventivi sugli upload”. Questo significa che, passasse la legge, prima di caricare una qualunque immagine sui social network, la stessa sarà scanzonata da motori visuali semantici che ne raccoglieranno le principali informazioni per comprendere se la stessa non violi il copyright. Ciò significa due cose: la prima è che il monopolio degli operatori di contenuti digitali si stringe soltanto a coloro che hanno la capacità di implementare attivamente un tale algoritmo (sempre che l’algoritmo sia così efficace da non sbagliare, problema che si era già visto durante il periodo dell’Adpocalypse su YouTube). Più potere per Facebook e Google, in pratica, e a tutte le altre piattaforme non resta che togliere la funzione di caricamento anche dei più semplici link. La seconda problematica è che parodie, meme, fanart e tutto ciò che deve, per forza di cose, essere utilizzato aldilà del copyright per sano diritto di critica potrebbe subire la falcidazione della censura a priori.

A rischiare la censura preventiva vi sono anche tutte quelle piattaforme opensource che danno libero accesso a community di appassionati per lavorare in maniera congiunta, da remoto, a medesimi progetti. Come Github, la piattaforma appena acquistata da Facebook che fa dell’interscambio di strisce di codice la propria mission. L’applicazione alla lettera di quanto scritto nella legge rallenterebbe notevolmente lo sviluppo di prodotti e servizi online, spostando l’Europa in una “posizione digitale” ancora più arretrata di quanto già non sia. Si capisce che la legge, se dovesse andare in porto così come è attualmente definita, limiterebbe anche i comportamenti più frequenti di chi vive o lavora in rete. Sempre Julia Reda avrebbe dichiarato: «Gli utenti avranno difficoltà a svolgere attività quotidiane come il dibattito sulle notizie di attualità o la libera espressione delle proprie opinioni. Limitare le libertà individuali per servire gli interessi specifici delle grandi aziende dei media è inaccettabile».

Sulla succitata legge si è espresso anche l’inventore del World Wide Web in una lettera aperta firmata da una settantina di ricercatori ed esperti del tema. Tim Berners-Lee ha infatti dichiarato che questo articolo è «un passo senza precedenti verso la sorveglianza e il controllo automatizzati». Anche il Garante della Privacy italiano, Antonello Soro, avrebbe detto: «C’è il rischio di una distorsione del sistema informativo che potrebbe cambiare la natura di Internet, perché affiderebbe le informazioni accessibili al gestore della piattaforma». Il problema principale è, infatti, questo: per garantire il rispetto del copyright e della privacy l’Unione Europea vuole affidarsi ad algoritmi implementati dagli stessi media, secondo loro propri pesi e loro propri criteri, consegnandogli di fatto le chiavi per decidere quali contenuti li rispettano e quali no. In pratica, Google e Facebook decideranno di farci vedere solo quello che vogliono loro (più di quanto non facciano già adesso). Il testo della legge è attualmente in fase di riconsiderazione e, dopo il “sì” risicato ottenuto nella scorsa commissione Affari legali del Parlamento Europeo, sarà messo ulteriormente al voto nella plenaria del 2-5 luglio a Strasburgo. Dove attualmente, e senza paura di sembrare capziosi, speriamo in un rigetto.

Orlando Falena | Lanuovabq.it


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