Quando inizia il mese di dicembre, e a volte anche nel mese precedente, riprende come ogni anno il rituale natalizio fatto di gesti e di un’estetica che obbliga la stragrande maggioranza delle persone a una replica puntuale di: alberi addobbati, presepi, luci, regali, auguri…
Un’atmosfera che ci accompagna per oltre un mese, in passato, almeno per me, all’adolescenza era costituita da un proprio valore e una significativa bellezza. Prima del VERO incontro con Gesù, il Natale rappresentava un periodo magico, l’attesa dei regali, degli incontri tra parenti che avevano solcato l’oceano per raggiungersi e insieme seguire la messa di mezzanotte. Tutto ciò mi emozionava e nel complesso costituiva ciò che molti chiamano l’atmosfera del Natale.
Col passare degli anni il mio approccio è mutato sino a diventare quasi estraneo e con stupore ho scoperto che la stessa riflessione è stata condivisa anche da amici e conoscenti. Il periodo di Natale, infatti, è vissuto con un senso di angoscia, quasi una scocciatura, tanto da avvertire un univoco sentire: «prima finiscono le feste meglio è…»
Ma per quale ragione il Natale dovrebbe suscitare un sentimento opposto rispetto a quello che un po’ tutti sentivamo da bambini? Che cosa è mutato realmente nel rapporto con la festa natalizia ricordata da molti la festa più importante dell’anno? Attualmente il Natale e le feste seguenti assumono una reale importanza in poche, anzi pochissime persone; il Dies Natalis è senza dubbio vissuto con aridità e distacco anche da coloro che da sempre partecipano alle celebrazioni della mezzanotte, spesso vivono l’intensità del momento con poca enfasi, distratti dalle declinazioni della vita: dai problemi familiari, da quelli lavorativi, dalla moglie o dalla fidanzata, e da mille altre “distrazioni terrene”. Sicché quel distacco dalla vita materiale che dovrebbe indurre la ricerca della presenza divina, di cui un buon cristiano non dovrebbe farne a meno è una chimera, soprattutto in una società secolarizzata come la nostra.
Svuotati dal significato religioso gli individui, si rifugiano negli affetti famigliari e nelle persone cui si vuole bene: l’importanza del Natale s’identifica nel ritrovare coloro che contano nella nostra vita. Ma certamente questa possibilità non è appannaggio di tutte le famiglie perché oltre al disagio di separazioni e divorzi (i numeri all’interno delle famiglie sono esponenziali) i legami s’imbattono in rapporti non sempre idilliaci con parenti che per undici mesi ti dimenticano o ti evitano. Il rito cortese degli auguri e delle rimpatriate di famiglia, quasi sempre è spezzato da una cordialità forzata nei confronti di chi non si vorrebbe scambiare parola. Ma si sa, a Natale bisogna essere tutti più buoni…così dicono!
A Natale quindi si finisce con l’essere coinvolti nello scambio di doni: anche se questo scambio proprio non va e no perché non ci piace donare ma perché risulta essere un gesto falso e ipocrita. Molte volte il doversi occupare dei regali diventa un quesito angoscioso tanto quanto il peso economico per sostenerlo. Ma certamente non è questo il problema del Natale, semmai è la natura stessa della festa, dispersa nel valore commerciale dei doni, a mutare sempre più in un annuale conto economico.
Personalmente il Natale mi rattrista, intanto perché ho conosciuto la verità che mi ha reso libera e poi perché il mondo intorno a noi accentua, anno dopo anno, questi momenti d’ipocrisia; consumati senza ritegno alcuno da quella falsa atmosfera surreale: distratti dal rosso delle vesti, dalla neve finta, dalle gozzoviglie di panettoni e spumanti a quel buonismo d’immagini, film e preghierine così lontane dalla vita reale tanto da apparire patetici e indigesti. Così, intorno a questa sorta di cesura tra lo svuotamento di senso religioso e l’apparenza infarcita di miele, ciò che resta a quelli che non hanno ancora accettato Gesù, è un amaro senso di solitudine tra se stessi e quel mondo agognato.
Lella Francese
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