L’attuale contesto definito come “liquido”, schiacciato in un eterno presente, abitato da monadi dalle “passioni tristi” (B.Spinoza) è assediato da tante emergenze.
Emergenze verso le quali si propongono soluzioni a corto respiro (e non può essere diversamente, considerate le premesse), prive di una strategia, di una profondità prospettica. Questo avviene quando le emergenze si impongono con la forza degli avvenimenti, dei fatti. Altre, invece, rimangono silenti, imponendosi solo a posteriori, quando coinvolgono le persone care.
In altri casi, l’emergenza non è percepita, in quanto si è convinti che semplicemente non esiste. Nello specifico mi riferisco all’emergenza educativa, caratterizzata da una frattura tra gli adulti (genitori e insegnanti) e i ragazzi. Da qui l’incomunicabilità, cioè la difficoltà di capirsi, parlarsi e condividere esperienze. Due esempi: l’uso compulsivo degli smartphone da parte di ragazzini.
Questa pratica sta cambiando il loro profilo relazionale, affettivo ed emotivo. E tutto questo avviene all’insaputa dei genitori, che spesso curvi sui loro problemi di lavoro e di “quadratura dei conti” familiari, “consegnano” il processo di formazione dei loro figli ai social network, alle comunità, amici virtuali… In molti casi le poche procedure informatiche praticate dai ragazzi sono acquisite attraverso contatti o brevi scambi di battute con amici. Ovviamente senza una guida adulta (in molti casi questa non potrebbe imporsi autorevolmente per un mix di ignoranza tecnico-informatica e di scarso spessore educativo), i ragazzi sono in balia degli eventi e anche dello “tsunami interiore” che caratterizza la loro giovane età.
La scarsa consapevolezza dei rischi insiti nell’uso solitario della tecnologia, li porta, in alcuni casi, senza volerlo a trovarsi nel circuito della pedopornografia o vittime di cyberbulli. E quando questo avviene, soprattutto nei casi di cyberbullismo, l’85% delle giovani vittime preferisce non parlarne con i genitori. Anche la scuola però ha le sue responsabilità. Il modello pedagogico didattico attualmente prevalente è quello scuolacentrico.
Questo modello presenta l’istituzione scolastica come la sola (o quasi), agenzia dispensatrice del sapere e delle conoscenze. Molti miei colleghi (ho la possibilità di girare diverse scuole, grazie alla mia attività di formazione) sono inconsapevolmente convinti che questo contesto sia ancora quello attuale, illudendosi anche che i loro studenti siano quelli di quaranta-cinquanta anni fa e attribuendo a certi comportamenti come la distrazione, giustificazioni che forse potevano andare bene qualche lustro fa. Da qui la perfetta incomunicabilità tra la scuola e gli studenti. C’è una via d’uscita a questa solitudine, separazione tra gli insegnanti da una parte e gli studenti dall’altra? Certamente!!!
Ma è necessario che la scuola guardi “occhi negli occhi” (il titolo di un’aria di R. Cocciante) gli alunni e gli studenti, cogliendo i cambiamenti 2.0 e attuando progetti coerenti con questo nuovo profilo. E questo significa riorganizzazione di spazi, uso e valorizzazione delle nuove tecnologie (hardware e software), finalizzate alla produzione di lavori multimediali, ipertestuali e di promozione di atteggiamenti collaborativi anche a distanza… per ricercare, selezionare le informazioni reperite attraverso i motori di ricerca e ricomporle in conoscenze. Il tutto partendo da schemi e mappe dinamiche , coerenti con la teoria costruttivista. Diversamente il futuro della scuola lo vedo molto incerto.
di Gianfranco Scialpi | Tecnicadellascuola.it
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