Era una mattina grigia e triste, e io mi trovavo davanti alla porta di un ufficio di polizia che serviva anche da carcere provvisorio. C’erano anche altre persone con me, alcune accorse là per curiosità, altre perché avevano dei parenti. Mentre aspettavamo che qualcuno uscisse dalla porta, ho sentito un rumore di passi avvicinarsi, poi delle voci sempre dure; tra queste una voce sembrava farsi sempre più penetrante: era la voce di una giovane donna. La porta si aprì e vidi uno spettacolo che non sarà mai cancellato dalla mia mente: una ragazza veniva spinta crudelmente da due agenti di polizia e seguita da altri due; due robusti poliziotti la tenevano per le braccia. I capelli della ragazza erano spettinati, gli abiti in disordine e macchiati di sangue; la tempia destra era livida a causa dei colpi ricevuti; l’altra era ferita e perdeva sangue. Lei si dimenava per poter liberare le braccia dalla stretta degli agenti. Le maledizioni e le bestemmie della gente rendevano la ragazza ancor più agitata e nervosa: scuoteva selvaggiamente la testa e si ribellava in tutti i modi, tanto che gli agenti riuscivano a trattenerla a fatica.
In tutto questo trambusto non sapevo che fare, pregare? Non c’era tempo! Cantare? Assurdo! Darle dei soldi? Non li avrebbe potuti prendere! Citare un versetto… ? Ma ad un tratto, anche se non riuscivo a capire quale azione avrei dovuto compiere, non mi sono neanche soffermata a pensarci, un impulso irrefrenabile e immediato mi fece avanzare rapidamente e… la baciai sulla guancia.
Gli agenti stupiti del mio comportamento allentarono la loro presa sulla ragazza, e l’ho vista liberarsi le mani con tutta la sua forza e unirle, alzando gli occhi verso il cielo, mentre il vento muoveva i suoi capelli in disordine sul viso e gridare: «Dio mio!». Poi si guardò attorno con aria smarrita e gridò ancora verso il cielo: «Dio mio, chi mi ha dato il bacio? Nessuno mi ha mai dato un bacio da quando mia madre è morta». Nascondendosi il viso fra le mani e senza opporre alcuna reazione, si lasciò trascinare fino al cellulare che la portava via; ripeteva: «Chi mi ha dato un bacio?».
Qualche giorno dopo andai in carcere per cercare di vederla. La sorvegliante davanti alla porta mi disse: «Oh! Sí, noi l’abbiamo avuta già molte altre volte, quella poveretta, ma non c’è proprio niente da fare per lei: non fa altro che andare avanti e indietro nella sua cella, e ogni volta che mi vede mi chiede se so chi le ha dato un bacio». Io la pregai di lasciarmi entrare, insistendo: «Sa, sono la sua unica amica, mi lasci entrare, debbo parlarle!». Quando entrai, mi accorsi che si era pulita il viso, e dal suo volto pulito risaltava la grandezza e la profondità dei suoi begli occhi. Lei subito mi chiese: «Lei sa chi mi ha dato un bacio quando gli agenti mi hanno portato qui, l’altra mattina; qualcuno è sbucato dalla folla e mi ha baciata sulla guancia; lei sa chi è stato?».
Poi mi raccontò la sua storia. «Mia madre, era una donna vedova, di cui ero l’unica figlia, morì quando io avevo sette anni. Era molto povera, benché dì buona famiglia, e morì in uno scantinato, un posto scuro e tetro. Pochi istanti prima di morire mi chiamò a sè, mi strinse il viso tra le sue mani e lo baciò e disse: «Dio, abbi pietà di questa mia povera figlia, e quando io non ci sarò più riguardarla e abbi cura di lei; da quel giorno nessuno, dico nessuno, ha mai dato un bacio al mio viso!». Poi lei riprese: «Chi mi ha dato quel bacio?». Allora le parlai di Colui il cui nome è infinitamente più grande e più tenero della persona che le aveva dato il bacio: Colui che aveva portato i nostri peccati sulla croce al fine di poter stampare sulla nostra fronte il baciodel perdono. Io rivedo, ancora adesso, quel piccolo lago formato dalle lacrime di tutte e due. Anche lei ha trovato la luce, la gioia, il conforto, la guarigione, la salute… l’amore.
In seguito, prima di lasciare la prigione, i sorveglianti resero testimonianza del magnifico cambiamento che era stato operato in lei. A motivo della grazia di Dio, divenne il mezzo di salute spirituale per molti altri che erano stati legati con catene molto più pesanti delle sue.
Eva Booth
Trad. Elisabetta Parisi
Eva Booth, vissuta intorno agli inizi del secolo, era figlia di William Booth, il fondatore dell’Esercito della Salvezza.
Ella ereditò dalla madre, donna di forte potenza e profondo intendimento spirituale, l’interesse verso tutte quelle persone che, prese dalle spire del peccato, si sono macchiate dalle colpe più aberranti. La sua azione si è svolta nello stesso campo di quello della madre: i bassifondi e le prigioni di Londra. Per questo impegno alla madre è stato dato l’appellativo di «Angelo dei bassifondi e delle prigioni». Eva Booth ne è stata la degna seguace.
Red.
Tratto da Risveglio Pentecostale Dicembre 1985
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