La faida fra Hezbollah e Israele incendia la terra, devasta coltivazioni

Ieri oltre 200 lanci di razzi dal territorio libanese oltre la frontiera, in risposta all’uccisione di un ufficiale del movimento. Circa 95mila persone in Libano e 60mila in Israele sfollate da nove mesi. Bruciati 8.700 ettari nel nord di Israele, circa 4mila nel Paese dei cedri. Il timore di un conflitto di vasta scala dagli effetti “catastrofici”.

Beirut (AsiaNews) – Il sud del Libano brucia, così come ampie zone oltre-confine in Israele. Una emergenza che si consuma da tempo alla frontiera fra i due Paesi, dove è in atto uno scontro durissimo fra le milizie sciite filo-iraniane di Hezbollah e l’esercito con la stella di David. Un riflesso della perdurante guerra a Gaza lanciata dallo Stato ebraico contro Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre, giunta ormai al nono mese e senza reali prospettive di tregua, e meno ancora di pace, in una Terra Santa, insanguinata e sempre più in fiamme. Al contrario, solo nella giornata di ieri il movimento libanese ha lanciato oltre 200 razzi e droni oltre-confine, in risposta all’uccisione di uno dei suoi comandanti, provocando la morte di un ufficiale israeliano. Gli attacchi hanno inoltre innescato una nuova serie di incendi, a conferma di una situazione di forte criticità.

Gli scontri fra i combattenti del “Partito di Dio” libanese e i militari israeliani è all’origine dei numerosi roghi che si stanno estendendo lungo e i confini e che inghiottono intere aree di foresta o di appezzamenti coltivabili, privando la popolazione locale di una delle poche risorse con cui ha potuto sinora sopravvivere. Sebbene la contrapposizione fra le parti non sia ancora sfociata in guerra aperta, i roghi – esacerbati dalla carenza di approvvigionamento e da timori per la sicurezza – hanno consumato migliaia di ettari di terra nel Libano meridionale e nel nord di Israele. E in poco tempo sono diventati uno dei segni più visibili dell’escalation del conflitto.

La convinzione diffusa è che un conflitto di larga scala potrebbe avere conseguenze “catastrofiche” lungo i due lati del confine, provocando danni “irreversibili”. In Israele le immagini degli incendi causati dai razzi delle milizie libanesi hanno provocato l’indignazione dell’opinione pubblica, col ministro per la Sicurezza nazionale, il rappresentate dell’ultra-destra Itamar Ben-Gvir, che è arrivato a dichiarare che “è tempo che tutto il Libano bruci”.

I roghi nel Paese dei cedri sono iniziati alla fine di aprile, ben prima della solita stagione degli incendi, e hanno devastato le aree in gran parte rurali lungo il confine. Fra le zone più colpite la cittadina sunnita di Chebaa, dove la presenza di Hezbollah è pressoché nulla. Altra area interessata è quella alle pendici del Monte Meron, la seconda montagna più alta di Israele e sede di una base aerea, dove un tempo si poteva ammirare una foresta di querce autoctone, una fitta boscaglia che offriva rifugio ad animali selvatici, gazzelle e rare specie di fiori e fauna.

Oggi i pendii verdeggianti sono interrotti da fiamme e bruciature – la più grande di alcune centinaia di metri quadrati – residuo di un drone esplosivo di Hezbollah abbattuto qualche settimana fa. I guardaparco temono che la devastazione sia appena iniziata. “I danni di quest’anno sono una dozzina di volte peggiori” ha detto Shai Koren, del distretto settentrionale dell’Autorità israeliana per la natura e i parchi. Guardando le pendici di Meron, prosegue l’esperto, è assai probabile che la foresta non sopravviverà all’estate.

Dall’inizio della guerra, l’esercito con la stella di David ha tracciato oltre 5.450 lanci verso il nord di Israele. Secondo il think-tank israeliano Alma Research and Education Center, la maggior parte dei primi lanci erano missili anticarro a corto raggio, ma l’uso di droni da parte di Hezbollah è progressivamente aumentato col tempo. In Libano, funzionari e gruppi per i diritti umani accusano Israele di sparare proiettili incendiari al fosforo bianco contro le aree residenziali, oltre ai regolari bombardamenti di artiglieria e agli attacchi aerei.

Gli scambi di colpi si sono intensificati da inizio maggio, quando il governo del premier Benjamin Netanyahu ha lanciato la sua offensiva a Rafah, nel sud della Striscia, un periodo che è coinciso con l’inizio della stagione calda e secca, che favorisce i roghi anche di vasta portata. In oltre due mesi gli attacchi di Hezbollah hanno bruciato 8.700 ettari nel nord di Israele, secondo riferisce l’Autorità israeliana per la natura e i parchi. Nel sud del Libano, invece, circa 4mila ettari sono bruciati a causa degli attacchi israeliani, come ha dichiarato George Mitri, del programma Land and Natural Resources dell’Università di Balamand.

Nei due anni precedenti l’area totale del Libano bruciata annualmente era di 500-600 ettari, mentre i problemi di sicurezza ostacolano la risposta nelle prime ore cruciali di un incendio. Inoltre, gli aerei antincendio sono in gran parte bloccati a terra per il timore di essere abbattuti dai razzi lanciati dal nemico. A terra i vigili del fuoco spesso non possono muoversi senza la scorta dell’esercito, mentre circa 95mila persone in Libano e 60mila in Israele sono sfollate da nove mesi. Il premier Netanyahu ha dichiarato che, con l’attenuarsi dei combattimenti a Gaza, Israele invierà più truppe al confine settentrionale; uno scenario drammatico, e preoccupante, perché rischia di aprire un nuovo e devastante fronte e di aumentare il rischio di incendi ancor più distruttivi.


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