L’analisi del ricercatore Roberto Sormani sulla manifestazione di venerdì scorso a New York, pubblicata su ‘Il Fatto Quotidiano’.
“Al pride quest’anno non ci vado, eviterò la parata delle multinazionali”. Si intitola così l’editoriale pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” a firma di Roberto Sormani, ricercatore italiano presso la London School of Economics e attivista lgbt. E se ad attaccare la variopinta parata americana si mette anche chi – finora – l’ha sempre sostenuta, evidentemente c’è qualcosa che non va.
Nell’articolo di Sormani, si spiega come il gay pride abbia mutato pelle nell’arco degli ultimi anni, denaturandosi del tutto: da corteo a difesa dei diritti di omosessuali, bisessuali e transessuali, a parata-marketing, in cui l’arcobaleno diventa strumento di pubblicità, oltre che di propaganda politica.
A sfilare sono “coppiette bianche, ricche, giovani, atletiche e sorridenti, scelte dalle campagne di comunicazione che puntano a suscitare empatia e tenerezza verso i gay”. Nessun accenno alle discriminazioni che separano il paese, né a quelle che avvengono sul posto di lavoro. Nessun riferimento nemmeno ai senza tetto del mondo lgbt, quegli ultimi ormai completamente dimenticati dal mondo.
Così, a cinquantanni da Stonewall l’arcobaleno non ha più quel valore che aveva agli inizi. Ad oggi, il messaggio che -secondo Sormani – vuol far passare chi usa il “raimbow” è un altro: “L’amore è amore. Bene, l’abbiamo detto, ora torna a comprare il nostro prodotto, abbonarti al nostro servizio, votare il nostro partito”.
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