Una decisione storica – e, per molti versi, provvidenziale, quella assunta all’unanimità dalla Camera Grande della Corte Europea dei diritti dell’uomo (nella foto, la sede) lo scorso 23 marzo. La quale ha stabilito che non si neghi diritto d’asilo, né si ordini il rimpatrio dei rifugiati convertitisi dall’islam al Cristianesimo. E ciò, tenendo conto dei rischi, che comporterebbe il loro eventuale rientro. In realtà, potrebbe sembrare ovvio: eppure, incredibilmente, non lo è per tutti, anzi non lo è per molti.
La sentenza fa riferimento al caso concreto del signor F.G., cui il 29 aprile del 2010 venne respinta la domanda d’asilo dall’Ufficio per l’Immigrazione svedese, ponendolo di fronte alla tragica prospettiva di dover rientrare nel suo Paese, l’Iran. Un primo pronunciamento della quinta Sezione della Corte, passato per 4 voti a 3 il 16 gennaio 2014, confermò incredibilmente tale interpretazione sui flussi migratori: secondo questi giudici, non sarebbe stato cioè in alcun modo violato il diritto alla tutela della vita ed all’integrità contro i trattamenti disumani. Anzi, i giudici svedese Helena Jäderblom e islandese Robert Spano, ponendosi in netto contrasto con le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo, han ritenuto possibile rimandare un convertito nel proprio Paese d’origine, in quanto questi, in Patria, potrebbe pur sempre – a loro giudizio – vivere, nascondendo e tacendo la propria nuova fede.
«Molti giudici, appoggiandosi espressamente alle nostre pubblicazioni – ha dichiarato in un proprio comunicato Grégor Puppinck, direttore generale dell’European Centre for Law and Justice – hanno invece contestato tale giudizio, ritenendolo una violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Hanno, infatti, evidenziato i rischi seri e reali, che corre nei Paesi musulmani chi sia ritenuto colpevole del crimine d’«apostasia». La legge islamica prevede in questi casi la morte. Per questo desideriamo esprimere piena soddisfazione per la decisione della Corte Europea».
Secondo la Camera Grande, la stessa Svezia avrebbe dovuto valutare ogni conseguenza, prima di decidere in merito, tenendo oltre tutto conto del particolare contesto, in cui oggi ci troviamo a seguito dell’ondata migratoria proveniente dai Paesi musulmani ed alla luce delle «conversioni» al Cristianesimo, che pare siano divenute particolarmente numerose tra i profughi giunti in Europa.
Il fatto che sia stato riconosciuto ai profughi convertiti il diritto alla protezione è un fatto estremamente positivo, che può incoraggiare ora molti altri a fare come loro, senza aver più timori (fonte: Corrispondenza Romana).
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