Transparency International ha pubblicato la 21esima edizione dell’indice di percezione della corruzione (CPI) che ne fotografa i livelli nel settore pubblico e politico in 168 Paesi nel Mondo. L’Italia si classifica al 61° posto, con un voto di 44 su 100. Il nostro Paese guadagna un punto e 8 posizioni nel ranking mondiale ma è penultimo in Europa. «Ci siamo chiesti se guardare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto – dice Davide Del Monte, direttore di Transparency Italia – pur migliorando la propria valutazione, il nostro Paese non è in una posizione di eccellenza. Il voto di 44 non ci porta alla promozione a fine anno: diciamo pure che il bicchiere è mezzo vuoto, anche questa volta».
Rispetto agli ultimi anni, le posizioni dell’Italia sono state abbastanza altalenanti: «diciamo che non c’è un trend vero e proprio, sebbene abbiamo assistito a un crollo dal 2009 in poi, da posizioni appena insufficienti siamo scivolati in queste – continua Del Monte – non riusciamo a scrollarci di dosso le gravi insufficienze, anche se ci sono diverse novità nell’attività anticorruzione, per le quali, però, i risultati si vedranno nel tempo: una risorsa che non abbiamo, in questa lotta».
Si dice spesso che in Italia è un problema culturale. Che ne pensa?
«Sono d’accordo e non è una giustificazione, ma un problema ancora più profondo. Fosse una questione di leggi o legata all’economia si potrebbe risolvere in modo più semplice senza la necessità di quel tempo di cui parlavo prima. Corruzione vuol dire togliere risorse ai servizi, alle scuole, alla sanità, alle strade, alla gestione della cosa pubblica: essere in un periodo storico in cui ci sono meno soldi risulta ancora più problematico. Siamo staccati dai paesi del nord Europa perché questo indice misura il livello di corruzione percepita nei settori di pubblica amministrazione e politica, escludendo il comportamento privato o delle aziende. L’Italia è uno di quei pochi paesi europei in cui non è diffusa un’etica pubblica ovvero il concetto di pubblica amministrazione come servizio al cittadino. Se partiamo da questo presupposto ci risulta difficile trovare nei paesi del nord casi di un amministratore pubblico che delude la fiducia accordata dal cittadino: ed è questo il punto. Anche perché se delude questa fiducia ne paga le conseguenze penalmente e come funzione nella società, cosa che in Italia non succede».
L’aspetto culturale però è un circolo vizioso tra il “fare comune” e l’esempio delle istituzioni: è d’accordo?
«Si, la spinta deve venire dagli enti pubblici e istituzionali, anche con l’esempio. Su questo credo che lascerà un segno positivo il lavoro che si sta facendo con l’autorità anticorruzione di Cantone che si sta spendendo molto, anche a livello di immagine, su questo tema. Far passare l’idea ai cittadini che c’è chi si occupa quotidianamente della questione è molto utile: altrimenti si parla di questi temi importanti soltanto intorno al grande caso e poi si tende a dimenticarlo. L’indice si basa su una serie di indicatori esterni che arrivano da World Bank, Fondo Monetario Internazionale e altri enti di questo tipo oltre a interviste condotte con uomini d’affari e investitori internazionali. L’indice di corruzione dunque ci dice qual è la reputazione di un Paese nel mondo da parte delle altre istituzioni e chi ci deve investire. Un’indice reputazionale della corruzione, potremmo dire, che tiene conto di cosa si fa a livello normativo ma soprattutto dell’impatto che hanno queste norme in un Paese».
Ci ha parlato di nuove norme anticorruzione: qual è la sua valutazione?
«Ci sono leggi che vanno bene, ma altre che vanno riviste. Sicuramente prima di tutto vanno applicate, cosa che spesso manca in Italia. Queste riguardano la trasparenza, ovvero quello che il ministero della Pubblica Amministrazione chiama Freedom of Information Act, ma che per ciò che abbiamo avuto modo di vedere è insufficiente. Il secondo tema è la tutela dei segnalanti, i cosiddetti Whistleblower, e in questo caso la settimana scorsa il disegno di legge Businarolo è stato approvato ed è andato al Senato: anche qui la legge non è perfetta ma sarebbe una piccola rivoluzione perché finalmente chi segnala un caso di corruzione verrà tutelato e non più punito. Il terzo elemento è la regolamentazione delle attività di lobbying: in Italia non esiste nessuna regola a riguardo, nemmeno la definizione di lobbying o lobbista. Chiunque può farlo, in qualunque modo, senza che ve ne sia traccia. In questo senso bisogna muoversi soprattutto perché si sta passando da un finanziamento pubblico della politica a uno privato e quindi a relazioni sempre più strette tra politica e imprese».
Foto Di c.hug – Cropped from Flickr [1], CC BY-SA 2.0, $3
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