“L’ELOGIO DELLA FOLLIA” DI ERASMO DA ROTTERDAM: SCHEDA E ATTUALITÀ
L’elogio della Follia o Morias Encomium è un breve scritto satirico del grande umanista rinascimentale Erasmo da Rotterdam (1466/69-1536).
Redatto in forma giocosa e divertente nell’agosto del 1509 a Bucklersbury, Londra sulla base
di appunti annotati durante il suo viaggio dall’Italia in Inghilterra. E’ diviso in sessantotto sezioni o brevi capitoli, divisione apportata in una edizione del XVIII sec. Lo storico Delio Cantimori definisce il Morias Encomium uno scritto satirico, che è a un tempo una critica del mondo universitario ed ecclesiastico ed un appello alla vera follia che è quella della fede cristiana.
Si suole dividere “l’Elogio della Follia” in due blocchi:
1° il più vasto, destruens, (1-60), in cui prevale una grande capacità sapientemente descrittiva in chiave satirica;
2° Una parte finale, molto esigua, “costruens”, in cui Erasmo fa l’elogio della vera follia, ossia la follia della croce.
Che cosa Erasmo hai inteso perseguire con il suo “Morias Encomium”?
Si può ragionevolmente affermare che Erasmo ha voluto denunciare la falsa apparenza e i falsi valori, ricercando il volto autentico dietro la maschera: “L’intera vita umana non è altro che uno spettacolo in cui, chi con una maschera, chi con un’altra, ognuno recita la propria parte, finché, a un cenno del capocomico, abbandona la scena. Costui, tuttavia, spesso lo fa recitare in parti diverse, in modo che chi prima si presentava come un re ammantato di porpora, compare poi nei cenci di un povero schiavo. Certo, sono tutte cose immaginarie; ma la commedia umana non consente altro svolgimento” (cap.XXIX).
Sono evidenziate due immagini simmetriche e opposte: sapiens/insipiens: la scoperta al di là dell’apparenza e della maschera, dell’altra faccia. Erasmo espone in tono scherzoso ciò che ha detto in modo più serio nel “Manuale del Soldato Cristiano”: l’antitesi Stulticia/Sapientia diventa il rapporto dialettico fra la follia della croce e la sapienza umana.
Il protagonista dell’opuscolo satirico è una signora che, secondo il linguaggio mitico-allegorico è identificata con la dea Follia, che, compiacendosi di se stessa, arringa una folla di iniziati divertiti dalla sua capacità oratoria. In realtà, la Follia ha le sembianze rinascimentali del buffone di corte che porta il classico berretto a sonagli, un birbone arguto e astuto che sa ironicamente ridere di se stesso e della umane facezie impunemente (cap. II).
Tutta l’esposizione oratoria della Follia è un crescendo di ironiche battute sull’impudenza del genere umano, toccando le parti più raffinate e aristocratiche della scala sociale per poi arrivare a declamare la vera pazzia dell’uomo che abbraccia la fede cristiana.
In un crescendo di battute ironiche e mordaci su ciò che è follia, l’istrione parla di alcune fasce d’età, soprattutto la vecchiaia, per poi ironizzare sulla dura fatica dello studioso alla ricerca della vera sapienza. Viene citata l’amicizia come un sentimento appartenente ai folli, così come anche il matrimonio.
Senza la Follia, nessuna società, nessun legame potrebbe durare felicemente:”Il popolo, si stancherebbe del principe, il servo del suo padrone, la serva della padrona, il maestro dello scolaro, l’amico dell’amico, la moglie del marito, il locatore, del locatario, il compagno del compagno, l’ospite dell’ospite, se volta a volta non si ingannassero a vicenda, ora adulandosi, ora facendo saggiamente finta di non vedere, ora lusingandosi con il miele della Follia”(Cap.XXI).
Nel Cap. XXXI vi è forse la punta più alta della descrizione del folle, descrivendo situazioni grottesche e paradossali. La Follia si presenta come elargitrice di spensieratezza, tanto da far dimenticare i malanni, esaltando i piaceri a tal punto che nessuno vuole lasciare la vita, neppure quando resta poco da vivere e la vita stessa viene meno. Nel Cap. XL la Follia approda nei lidi delle pratiche religiose, esaltando la classe sacerdotale, che sa trarre guadagno dalla divulgazione di riti fantastici che rende folli al pari di loro chi ascolta: “… E’ senza dubbio della mia pasta la schiera di quegli uomini che si divertono ad ascoltare o narrare storie di miracoli o di prodigi fantastici e non si stancano mai di ascoltare favole in cui si parla di eventi portentosi, di spettri, di fantasmi, di larve, degli inferi, e delle innumerevoli cose del genere. Quanto più la favola si scosta dal vero tanto più volentieri ci credono, tanto più voluttuosamente le loro orecchie ne sono sollecitate. Di qui, non solo un apprezzabile passatempo contro la noia, ma anche una fonte di guadagno specialmente per i sacerdoti e i predicatori” (Cap.XL).
Negli ultimi sei capitoli Madonna Follia compie la metamorfosi finale. Essa diviene la Follia della Croce. Ciò conferisce al libro una mordace satira contro la stoltezza umana dalla più grossolana alla più sofisticata. Prima di enunciare la Follia della Croce, Erasmo lancia dardi infocati contro i teologi che dibattono sulla Eucaristia, cercando di capire come gli accidenti sussistono senza sostanza, sciorinando sofisticate inezie circa la quiddità e le entità. Sarcastica è la battuta pungente di Erasmo:
“… C’è tanta erudizione, tanta astrusità, che, secondo me, persino gli Apostoli, se si trovassero a dover discutere con questi teologi di nuovo genere, avrebbe bisogno di un secondo Spirito Santo.” (cap. LIII).
Non sono esenti da parole mordaci di disapprovazione neppure i sommi pontefici, i cardinali e i vescovi, i quali vivono da veri e propri principi gaudenti. Dice Follia: “…Già da un pezzo i Sommi Pontefici, i Cardinali, e i Vescovi, hanno preso con impegno a modello di genere di vita dei principi, e con successo forse maggiore. Certo, se uno riflettesse sul significato della veste di lino, splendida di nuovo candore, simbolo di una vita, senza macchia, e pensasse a quelle della mitra a due punte riunite in un solo nodo a indicare una perfetta conoscenza del Vecchio e Nuovo Testamento o delle mani coperte da guanti, segno della purezza, immune da ogni umano cedimento, con cui vengono amministrati i sacramenti, se si chiedesse che vuol dire il pastorale, simbolo della cura estrema con cui si veglia sul proprio gregge, se, dico, si riflettesse su queste cose e su molte altre del genere, che vita sarebbe la sua piena di malinconia e di affanni! Bene fanno quelli che pensano soltanto a ingozzarsi e le cure del gregge o la rimettono a Cristo stesso, o la scaricano su coloro che chiamano fratelli vicari…” Cap.LVII).
Contro le istituzioni ecclesiastiche che abusano dell’Evangelo, riducendolo a una mercanzia e a oggetto di dissertazione filosofica, Erasmo pone il lettore di fronte al paradosso evangelico della Prima epistola ai Corinzi: la follia della croce è saggezza e la saggezza umana è follia. E’ follia per Erasmo, biasimandole, le indulgenze o la sciocca credenza dei miracoli, l’adorazione dei Santi. La teologia scolastica è disapprovata, perché tende a spiegare con sofisticherie teologiche cose che non possono mai essere umanamente comprese. Riportando alcune espressioni paoline della prima lettera ai Corinzi, Erasmo vuole inneggiare alla vera Follia: “La pazzia di Dio è più savia di quella del mondo” o “Il messaggio della Croce è follia per quelli che periscono, ma per coloro che sono sulla via della salvezza è potenza di Dio” (1^ Cor. 1:18,25).
La follia cristiana è uscire fuori di se stessi, che porta alla liberazione dalla terra. Tuttavia, uscire fuori dalla terra, ossia esserne liberato, non vuol dire oziare, impigrirsi. Il Cristiano si butta a capofitto in ogni opera umana, ma con distacco.
Erasmo guarda l’uomo del suo tempo come un folle che guarda se stesso in uno specchio con aria problematica. Ogni uomo è folle, conclude Erasmo, compreso se stesso. Questa intuizione porta a sorridere di se stesso, che non è scherno, ma piuttosto pietà e speranza, la quale speranza rende l’uomo veramente folle l’uomo con la speranza cristiana, ribaltando i valori umani e rendendo il cristiano vivo e operante nel mondo, ma anche distaccato da esso, vivendo il suo pellegrinaggio terreno sulle tracce di colui che percorse la via dolorosa.
Erasmo finisce il suo Elogio, così come lo ha iniziato, scherzando e ridendo, accommiatandosi dai suoi spettatori come un giullare di corte, inchinandosi davanti a essi, avendo divertito la platea:
“… Vedo che aspettate una conclusione, ma siete proprio scemi, se crede che dopo essermi abbandonata a un simile profluvio di chiacchiere io mi ricordo di ciò che ho detto. C’è un vecchio proverbio che dice – odio il convitato che ha buona memoria. Oggi ce n’è un altro: “odio l’ascoltatore che ricorda – Perciò addio! Applaudite, vivete, bevete, famosissimi iniziati alla follia” (Cap.LXVIII).
Attualità dell’Elogio della Follia.
L’Elogio della Follia, sebbene, sia un testo satirico della società religiosa e culturale rinascimentale (redatto otto anni prima dell’opuscolo-denuncia delle Novantacinque tesi di Lutero), aspramente critico della prassi religiosa popolare, basata sulle indulgenze, sulla ricerca del miracoloso, sul culto dei santi e, soprattutto, sul culto mariano, di gran lunga superiore del culto cristiano, esso si rivela essere un testo di grande attualità. Sono trascorsi cinque secoli dalla sua stesura e pubblicazione senza che il tempo abbia oscurato l’arguta e pungente ironia nei confronti dell’istituzione ecclesiale, i cui rappresentanti (pontefici, cardinali e vescovi) si ammantavano di abiti regali, simboli del potere temporale e della corruzione che ne consegue, a causa della sua collusione con la finanza e i poteri forti della politica, incoraggiando e promovendo forme di religiosità popolare superstiziosa e idolatra con la complicità di sacerdoti compiacenti.
“…Vi rende conto, suppongo, di quel che mi deve questa specie di uomini, che, esercitando tra i mortali una sorta di tirannia attraverso cerimonie da burla, ridicole sciocchezze e urla incomposte, si credono de nuovi San Paolo e Sant’Antonio” (Cap. LIV).
Di più: “… il negoziante, il soldato e il giudice, rinunciando a una sola monetina dopo tante ruberie, credono di avere lavato il fango di una intera vita e ritiene che tanti spergiuri, tanta libidine, tante ubriacature, tante risse, tante imposture, tante perfidie, tanti tradimenti, siano riscattati come in base a un regolare patto, e riscattati al punto da potere ricominciare da zero una nuova catena di delitti. Roba da matti! Persino, io mi vergogno. Sono cose, tuttavia, che godono l’approvazione non solo del volgo, ma anche di chi propina insegnamenti religiosi. O non è forse lo stesso caso di quando ogni regione reclama il suo particolare santo protettore, ognuno con i suoi poteri, ognuno venerato con determinati riti? Questo fa passare il mal di denti, quello assiste le partorienti. C”è il santo che fa recuperare gli oggetti rubati, quello che rifulge benigno al naufrago, un altro che protegge il gregge” (Cap.LV).
Tuttavia, “l’Elogio della Follia” va letto anche come testo satirico nei confronti dell’odierno evangelismo nelle sue diverse componenti strutturali: l’Evangelismo liberale e l’Evangelismo fondamentalista.
Il primo è rappresentato dai Valdo-Metodisti e Battisti dell’UCEBI e dai Luterani, i cui rappresentanti, indossando l’abito del cattedratico, si compiacciono di sciorinare complessi teoremi filosofico-teologici, umiliando e sabotando la semplicità della tradizione apostolica. Contro di loro Madonna Follia scaglia i suoi micidiali strali:
“… Quanto ai teologi, forse meglio farei a non parlarne, evitando di suscitare un simile vespaio e di toccare quest’erba puzzolente, perché altezzosi e litigiosi come sono, non abbiano ad assalirmi a schiere con centinaia di argomenti, costringendomi a fare ammenda. Ché, se mi rifiutassi, mi accuserebbero senz’altro di eresia, questo essendo il fulmine con cui di solito atterriscono, chi non gode le loro simpatie. Eppure, ancorché siano i meno propensi a riconoscere i miei meriti nei loro confronti, anche loro, e di non poco, mi sono debitori: devono a me quell’alta opinione di sé che li rende felici, come se il terzo cielo fosse la loro dimora e li induce a guardare dall’alto in basso con una sorta di commiserazione tutti gli altri mortali, quasi animali che strisciano a terra, mentre loro trincerati dietro un valido esercito di magistrali definizioni, conclusioni, corollari, proposizioni esplicite ed implicite, a tal segno abbondano di scappatoie da poter sfuggire anche alle reti di Vulcano con distinzioni che recidono ogni nodo con una
facilità che neppure la bipenne di Tenedo possiede, inesauribili nel coniare termini nuovi e parole rare … C’è tanta erudizione, tanta astrusità, che, secondo me, persino gli Apostoli, se si trovassero a dover discutere con questi teologi di nuovo genere, avrebbero bisogno di un secondo Spirito Santo” (Cap.LIII).
Il secondo, l’Evangelismo fondamentalista, una buona parte del quale è rappresentato da religiosi prezzolati, ignoranti, senza arte né parte. Insuperbiti della loro ignoranza, credendo che sia sapienza, uccidono l’anima di molte persone pie. Follia grida indignata contro di loro:
“… Quasi altrettanto felici sono coloro che comunemente si fanno chiamare religiosi e monaci, usando, in entrambi i casi, denominazioni quanto mai false … Pur essendo questa genìa a tal segno detestata da tutti, che persino un incontro causale con qualcuno di loro è ritenuto di malaugurio, si cullano tuttavia nell’illusione di essere chissà che cosa. In primo luogo ritengono il massimo della pietà consista nell’essere tanto ignoranti da non sapere neppure leggere. Poi, quando con la loro voce asinina ragliano i loro salmi, di cui sono in grado di indicare a memoria il numero d’ordine senza peraltro capirli, sono convinti di accarezzare in modo dolcissimo le orecchie degli dèi. Né mancano quelli che vendono a caro prezzo il loro sudiciume e il loro andare mendicanti, dinanzi alle porte chiedono il pane, emettendo muggiti lamentosi. Così, queste carissime persone, dicono di darci una immagine degli Aposotli con la loro sporcizia, con la loro ignoranza, con la loro rozzezza, con la loro impudenza” (Cap.LIV).
Interessante è l’analogia delle vecchie, vuote e inerti predicazioni dei monaci rinascimentali con la vacuità retorica di predicatori evangelici che recitano a soggetto:
“…Eppure, quale commediante, quale ciarlatano andresti a vedere a preferenza di costoro, quanto a predica si esibiscono in tirate retoriche, che, pure nella loro assoluta ridicolaggine, si attengono nel modo più spassoso alle norme sull’arte del dire tramandate dai Maestri? Dio immortale! Come gesticolano! Come si spenzolano verso l’uditorio! Come mutano espressione! Come punteggiano tutto con urla … Ho sentito con le mie orecchie un esimio stupido, scusate, volevo dire dotto, che, in una predica famosissima, dovendo spiegare il mistero della Trinità, volendo far cosa che suonasse gradita all’orecchio dei teologi, e mettere al tempo stesso in mostra la sua non comune dottrina, si dette a battere una strada affatto nuova; partì dalle lettere dell’alfabeto, dalle sillabe, dal discorso, dalla concordanza del nome con il verbo e dell’aggettivo con il sostantivo, tra la meraviglia de più, anche se non mancava qualcuno che borbottava tra sé le parole di Orazio: <<ma cosa approdano queste scemenze?>>” (cap. LIV).
Certo, l’Elogio della Follia suscitò allora la disapprovazione del Papa tiranno, di pessimi monaci e di teologi pedanti, offesi dalla libertà di linguaggio di Erasmo.
Ma questo è il rischio che deve essere messo in conto da coloro che, consapevoli della violenza arrecata all’evangelo dai mercanti di religione, non indietreggiano, ma coraggiosamente urlano indignati con Habacuc: “Violenza!”.
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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