L’inno all’amore è una delle pagine più suggestive della letteratura mondiale, ma senza dubbio è una delle pagine bibliche che va diritto al cuore del credente e di tutti coloro che cercano un valido motivo di riscatto per la propria vita.
Ed è propria questa esperienza che caratterizza la vita di Rodrigo Mendoza nel film “Mission”, realizzato nel 1986 dal regista Roland Joffè, magistralmente impersonato da Robert de Niro. Il film, la cui sceneggiatura è tratta dal libro omonimo scritto da Robert Bolt, è basato su eventi accaduti in seguito al trattato di Madrid del 1750, che obbligava la Spagna a cedere alcuni territori in Paraguay, in cui i Gesuiti avevano costruito basi missionarie, al Portogallo. Il film narra la storia di un cacciatore di schiavi, Rodrigo Mendoza, il quale uccide il fratello Felipe per gelosia. Morso dal rimorso vuole lasciarsi morire di fame per autopunirsi. Il gesuita padre Gabriel (Jeremy Irons) lo convince ad espiare il suo peccato partecipando in una rischiosa spedizione tra gli Indios Guaranì sopra le cascate di Iguazu al confine tra il Brasile, Argentina e Paraguay per fondare una missione. Ciò che colpisce la coscienza di Mendoza è l’atteggiamento amichevole dei Guaranì, nonostante essi avessero buoni motivi per ucciderlo, e, soprattutto la lettura di alcuni versetti di 1^ Cor. 13: “Sebbene io avessi tutta la fede così che io possa smuovere le montagne, ma se io non ho Amore, io non sono niente. E sebbene io dessi tutti i miei beni ai poveri e sebbene io offrissi il mio corpo ad essere bruciato, ma non ho Amore ciò non giova a nulla. L’amore soffre e l’amore è gentile. L’amore non si vanta . L’amore non si gonfia. Quando io ero bambino, io parlavo da bambino, io comprendevo come un bambino, io pensavo come un bambino. Ma quando io sono divenuto un uomo, io ho smesso di pensare come un bambino. Ma ora mi attengo a questi tre, fede, speranza e amore. Ma la più grande di queste è l’Amore. (Though I have all faith so that I could remove mountains and have not love, I am nothing. And though I bestow all my goods to feel the poor and though I give my body to be burned and have not love, it profiteth me nothing. Love suffereth and love is kind. Love envieth not. Love vaunteth not itself, is not puffed up. When I was a child , I spoke as a child, I understood as a child, I thought a child. But when I become a man, I put away childish things. But now abideth faith, hope, love… these three. But the greatest of these is love”)
L’inno all’Amore è un brevissimo capitolo della 1^ lettera ai Corinzi ben incastonato da Paolo dentro la sua esposizione del tema dei doni spirituali nei capitoli 12-14, tesa a ordinare le idee confuse dei Corinzi compiacenti. La Chiesa di Corinto è stata una spina nel fianco di Paolo. Era una chiesa caotica, partigiana, libertina, mistica, amante della filosofia e dell’eloquenza. Paolo scrisse ben quattro lettere( due lettere canoniche e due lettere andate perdute[cfr. 1^Cor.5:9 e 2^Cor.2:4;7:8]) e visitato la chiesa tre volte. Anche dopo la morte dell’Apostolo la Chiesa di Corinto ha persistito nel suo caotico stile di vita, impegnando, trent’anni dopo, lo scrittore cristiano e Vescovo di Roma Clemente Romano a scrivere ben altre due lettere. (in realtà la paternità della seconda lettera è messa in dubbio dai critici)
La 1^ lettera ai Corinzi è la lettera in cui Paolo afferma la centralità della croce( “noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani… [1^Cor.1:23] e l’unità dei credenti, la severità dell’impegno etico (Capp. 5-6), la libertà in Cristo come esercizio del servire i deboli(cap.8), l’esercizio ordinato del culto(cap.11), la resurrezione dei corpi sulla base storica della Resurrezione di Cristo(cap. 15). Per quanto riguarda la questione dei carismi i Corinzi erano carismatici che abusavano dei doni spirituali. esaltati per il loro potere spirituale, usavano i doni per il loro autocompiacimento che per l’edificazione della chiesa. L’inno all’amore è composto da Paolo non per una pura vena poetica, ma per una concreta esigenza pratica. L’inno si divide in tre parti, che si sviluppano in un movimento ascendente: la prima parte parla dei carismi come doni di grazia privi di valore senza l’amore; la seconda parte è caratterizzata dalla enumerazione delle caratteristiche dell’amore; la terza parte afferma la trascendenza imperitura dell’amore.
Il primo versetto è intimamente legato al testo che lo precede. Sembra che i Corinzi dessero massima importanza alla glossolalia, ossia alla facoltà di lodare Dio e di parlare a Dio con lingue misteriose. Paolo volutamente inizia con il citare il dono delle lingue, le quali se non sono ispirate e mosse dall’amore che proviene da Dio (la parola greca per amore è “agapè”), chi le parla emette fastidiosi suoni indistinti come possono essere gli strumenti a percussione come i piatti e i cembali. Proseguendo, Paolo, come un crescendo musicale, elenca una serie di attività carismatiche come il dono della profezia e la conoscenza dei misteri, ossia la rivelazione di Dio e l’ottima padronanza della conoscenza della Scrittura( e forse anche della filosofia), il dono della fede, ossia un carisma particolare che può operare miracoli, i quali, se non sono motivati dall’amore-agape, essi sono privi di incisività spirituale e a lungo andare inconsistenti. Dalla conoscenza e dalle opere potenti, l’Apostolo sottolinea le opere di generosità e di dedizione, che vanno oltre la cerchia dei carismi e toccano il punto più alto di ciò che l’uomo religioso cristiano può fare, ossia l’assoluta generosità a favore dei bisognosi e l’estremo sacrificio della vita stessa, le quali risultano essere misera cosa se esse non sono dettate dall’amore-agape. Una domanda sorge spontanea: di quale amore Paolo sta parlando che dà senso e valore ad ogni attività cristiana? Paolo, proseguendo nella sua prolusione, dopo aver affermato che i doni carismatici senza l’amore non hanno alcun valore, inizia a definire l’amore-agape con l’aggettivo paziente (in greco è espresso con il verbo “makrothymei”, che significa “essere pazienti”), ossia l’amore-agape possiede una profonda capacità di sopportazione, reagisce pazientemente alle provocazioni, e non va spedita ad affermare i suoi diritti. L’altro aggettivo con cui definisce l’amore-agape è “benevolo” (gr. “ chresteuetai e agape”, ossia incline ad eseguire lodevoli uffici: la radice del verbo greco “chreuomai”, “Chrestos” significa utile e il suo senso originario è “disposto ad essere utile”): l’amore-agape non imbocca la strada che velocemente porta al male, ma è vuole rendersi utile a fare il bene. Con la terza espressione inizia una serie di proposizioni negative che escludono comportamenti negativi dal cammino operativo dell’amore-agape.
Il verbo gr. “zeloo” esprime emulazione e forte desiderio dei beni degli altri: l’amore-agape non è incline all’invidia e a sentimenti di rivalità, come dice il sostantivo corrispondente “ zelos” usato da Paolo in 1^ Cor. 3:3 in stretta connessione con “eris” (“contesa”) per denunciare la situazione della chiesa di Corinto divisa in fazioni contrapposte. L’amore-agape non si gonfia (gr. “perpereuetai”) o si inorgoglisce. questo verbo è usato da Paolo per criticare l’atteggiamento orgoglioso dei Corinzi , o, per meglio dire, un’ala della comunità di Corinto.( la stessa divisione in partiti contrapposti è occasione di autoesaltazione per essere da parte di un leader contro un altro [1^Cor. 4:6]) Ancora, un’altra qualità dell’amore-agape è quella di non mancare di rispetto: l’amore-agape evita tutti gli aspetti di ciò che sconveniente, tutte quelle azioni che sono vergognose. (gr. “ouk aschemonei”) Forse Paolo ha in mente i comportamenti riguardante la sfera sessuale che suscitano ripulsa.( è da ricordare che il sostantivo corrispondente “aschemosyne” ricorre in Rom 1: 27 per apostrofare l’omosessualità degli idolatri) Inoltre, l’amore-agape non cerca il proprio interesse (gr. “ou zetai ta eautes”), ossia è altruista, è l’antitesi dell’egoismo. l’amore-agape non si inasprisce (gr. “ ou paroxynetai”), non si lascia trascinare dall’ira, né tiene conto del male ricevuto (gr. “ou logizetai to kakon”: Paolo usa questo verbo per indicare che il credente è riconosciuto giusto o che la giustizia gli è attribuita) L’amore-agape non attribuisce a nessuno il male: l’amore-agape non tiene conto del male, l’amore-agape non serba rancore.
E’ eloquente la frase pronunciata dal Papa Giovanni Paolo II: “l’amore odia la vendetta, ma è amante della giustizia”. L’amore-agape non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità(gr. “ou chairei epi the adikia, synghairei de the aletheia”): l’ingiustizia di cui si parla è di ordine morale e indica in generale il male e la cattiveria. Ricorre in Rom. 1:18, 29, indicando l’iniquità degli uomini idolatri che misconoscono il Signore, conducendo una vita oziosa. In opposizione a questo ingiusto stile di vita Paolo enfatizza la rettitudine morale, l’onestà. Questo amore-agape ha la capacità di sostenere ogni diversità e difficoltà. La stessa cosa Paolo ha affermato di se stesso impegnato nella missione evangelizzatrice. (“tutto sopportiamo” [1^Cor.9:12) Nella seconda proposizione il verbo credere (gr.pisteuo”) non indica la fede teologica del credere in Cristo o credere in Dio, ma indica la totale fiducia nella vita, che si oppone alla forza di gettare nella disperazione. Allo stesso modo il verbo “sperare” (gr. “elpigo”), non ha il senso teologico della speranza della salvezza delle persone e del compimento ultimo del disegno di Dio. L’espressione tutto spera esprime un atteggiamento fiducioso nel momento in cui sperimenta situazioni molto critiche ed è aperto a futuri sviluppi positivi. La quarta espressione “ tutto sostiene”(gr. “panta upomeno”), richiama l’azione del sostenere l’assalto del nemico, come il verbo greco suggerisce. Nel NT è usata ad esprimere l’idea di sostenere l’assalto delle sofferenze o persecuzioni, resistendo ad esse pazientemente.
L’amore-agape non viene meno. (gr. “he agape oudepote piptei”): rispetto ai doni carismatici della profezia, delle lingue e della scienza, che sono per questo eone, l’amore-agape non cadrà mai, ma sussisterà per sempre. Le grandi acque non possono spegnere l’amore( Cant.8:7) E’ l’amore che sussiste nel nuovo eone.
Questo grande capolavoro letterario è anche il leitmotiv della vita e dell’azione del cristiano. Il cristiano non può assolutamente annunciare al mondo la sua fede in Cristo se essa non è alimentata, sostenuta e corroborata dall’amore-agape, che è in ultima analisi il carattere e la natura di Cristo. In altre parole, se un cristiano dice di credere in Cristo, ma non ama, appare essere un fastidioso, solitario, chiassoso battitore di grancassa, da cui la gente frettolosamente si allontana per l’insopportabile frastuono che produce. Se le chiese odierne registrano una grande crisi della fede, probabilmente una delle maggiori cause, o, forse, la causa per eccellenza, va imputata al grande chiacchierare che i cristiani fanno della fede senza che essa sia sostanziata dall’amore-agape, che infonde nel credente un nuovo, rivoluzionario stile di vita, e da cui l’esistenza umana redenta da Cristo acquista un imperituro valore:
“…Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli , se avete amore gli uni per gli altri”.
Paolo Bnancè | Notiziecristiane.com
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