KABUL – Le strade che si snodano nel quartiere di Shar e-Now sono lisce come una pista da bowling. Se Shar e-Now fosse un quartiere di Dubai nessuno si sarebbe sorpreso. Invece è un sobborgo elegante e frequentato dagli occidentali di Kabul, la polverosa capitale dell’Afghanistan. I mezzi asfaltatori della municipalità sono al lavoro giorno e notte. Neppure in questi caldi giorni si sono fermati. Certo, complice il ramadan la produttività dei lavoratori, che non mangiano e bevono per oltre 15 ore non è stata delle migliori nell’ultimo mese. I fondi della comunità internazionale danno qualche risultato visibile a tutti. Uomini con divise arancioni entrano ed escono dai cantieri. Nelle ore di punta, quando la città è intasata in lunghe code di Toyota corolla e fuoristrada, la polvere è insopportabile quasi quanto gli autisti che suonano il clacson come in un carosello per la vittoria di un campionato di calcio.
Hanno iniziato da più di un anno, nei quartieri più ricchi, lasciando a se stessi, almeno per adesso, quelli più poveri. Ma questo avviene un po’ ovunque. Non è solo un male dell’Afghanistan. Basta imboccare la Salang road che porta fuori dalla città per capire che il lavoro da fare è ancora lungo. Nella piazza dove partono gli autobus e dove centinaia di persone aspettano un lavoro giornaliero di qualche dollaro, le buche costringono ad uno zig zag da mal d’auto. Le auto, che non sono certamente l’esempio del rispetto del codice della strada, si gettano velocemente da un lato all’altro della carreggiata. “Qui ci passano poche volte con le loro auto i nostri politici”, dice Guldam, che di lavoro fa il guardiano per una Organizzazione non Governativa e per arrotondare l’autista.
Negli ultimi 10 anni l’Afghanistan ha ricevuto dalla comunità internazionale oltre 57 miliardi di euro che sarebbero dovuti andare in progetti di ricostruzione. Soldi che avrebbero potuto fare di Kabul una città moderna, se chi li ha spesi avesse controllato in quali tasche finivano. Invece, per sfortuna e con tanta pace degli afghani, hanno contribuito a gonfiare i conti correnti che i ricchi del Paese hanno aperto negli Emirati, Dubai in testa. La colata di asfalto che sarebbe dovuta essere li da almeno 10 anni arriva in un momento che ai più pare “politico”. E chi continua a buttare soldi in Afghanistan non ha ancora imparato a controllare la destinazione. Molte delle abitazioni della capitale non solo non hanno acqua potabile, ma non hanno addirittura acqua. Le tubature sono qualcosa di sconosciuto e nelle tante case arroccate sulle montagne che circondano la città ancora non arrivano. I bambini fanno più viaggi al giorno al pozzo “municipale”. Uno di loro, seduto sul dorso spelacchiato di un asino che sembra anche lui alla fine del mese di digiuno racconta che è arrivato anche “a tre viaggi” dalla cima della montagna delle antenne fino al pozzo che da sulla strada. L’acqua che ristagna puzza di marcio. Poco importa che la strada sia nuova. Le canaline sono piene di pomodori marci del vicino mercato e il fetore è quasi insopportabile. Chissà che un giorno anche lui, nella sua casa di fango, non avrà un gabinetto rosso o azzurro o più semplicemente bianco, ma dal design affascinante, come quelli che vendono nei negozi del centro città. Perché anche gli afghani, come tutte le persone del mondo vanno in bagno. Dopo 12 anni se ne sono accorti anche all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Così hanno deciso di indire anche in Afghanistan per il 19 Novembre la giornata mondiale del gabinetto.
Anche se un po’ in ritardo, lo scopo è quello nobile di stimolare cambiamenti nel comportamento e nella politica dei servizi igienico-sanitari. Secondo l’UNICEF malattie che si potrebbero facilmente prevenire o curare con semplici farmaci in Afghanistan uccidono 600 bambini al giorno. Ottantacinque mila all’anno. Ogni anno il 25 per cento dei bambini contraggono malattie derivanti dalla cattiva igiene. “In una giornata tipica, la metà dei posti letto negli ospedali in Afghanistan sono occupati da pazienti che hanno malattie fecale-correlate”, ha detto Andrew Scanlon rappresentante Paese di UNEP, il programma Ambiente delle Nazioni Unite.
A Kabul 3 milioni di abitanti producono ogni giorno 1500 metri cubi di rifiuti solidi. Ma a causa della mancanza di risorse il comune ne raccoglie solo la metà. Gli altri finiscono nelle canaline di scolo che costeggiano le nuovissime strade asfaltate. Quando le piogge sono più forti o la neve si scioglie, l’acqua rischia di contaminare i pochi acquedotti funzionanti. E nel “Kabul river”, che di fiume ha poco mentre di stagno molto, i soliti poveri delle montagne attorno a Kabul si lavano e puliscono le loro cose. Anche se è uno dei fiumi più inquinati che un occidentale probabilmente abbia visto.
In fondo, se i mali si vedono dalla radice, basta andare sul sito del ministero dello Sviluppo urbano afghano, che si dovrebbe occupare di questi problemi. Alla pagina “Kabul Urban reconstruction project” (KURP) c’è scritto: “Under Construction”. E l’anno prossimo gli afghani dovrebbero fare tutto da soli.
Da unimondo.org
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook