Kaboo l’uomo di Dio

markSi chiamava Kaboo e suo padre era il capo di una tribù dell’etnia Kru, che popolava la foreste occidentali della costa d’Avorio. Kaboo era il figlio maggiore e l’erede al trono, ma questa prospettiva non rese più facile la sua vita. Infatti, in quelle zone vigeva l’usanza che il capo tribù sconfitto in guerra dava il proprio primogenito in pegno ai vincitori, o meglio in ostaggio. Quando Kaboo era ancora ragazzo, suo padre fu sconfitto ben due volte nelle guerre con le tribù vicine, così in tutte e due le occasioni Kaboo finì ostaggio del capo vittorioso. Il padre era sempre riuscito a pagare il suo riscatto. Anni dopo la sua tribù fece guerra ad un’altra tribù vicino, e anche questa volta Kaboo fu preso in ostaggio. Per ben due volte il padre si recò al villaggio del capo tribù per barattare il prezzo del figlio, ma quello che offriva risultava essere sempre troppo poco. Per il povero Kaboo diventò una vera e propria tortura. Lo frustavano davanti ad uno della sua tribù che poi dopo doveva riferire tutto al padre di Kaboo.

Le ferite di Kaboo non avevano il tempo di rimarginare e la sua schiena era a brandelli. Ben presto, esaurito per la perdita di sangue e per l’infezione causata dalla frusta avvelenata, divenne incapace di stare in piedi e seduto. Gli aguzzini, allora, per continuare a frustarlo costruirono una sorte di croce. Kaboo sperava ormai soltanto nella morte, com’era accaduto ad alcuni membri della sua tribù fatti schiavi dal crudele capo. Molti li aveva visti fatti letteralmente a pezzi da uomini in preda ai fiumi dell’alcool. Ma a lui era stata riservata una morte peggiore. Nel caso in cui il padre di Kaboo non si fosse presentato, avevano già scavato una fossa per seppellirvi il ragazzo fino al collo. La bocca sarebbe stata tenuta aperta e cosparsa di una sostanza dolce per attirare le formiche di un vicino formicaio. Il tormento che sarebbe derivato era soltanto il preludio al momento in cui le formiche ben più terribili avrebbero divorato la sua carne, morso dopo morso. Quando sulle sue ossa non vi sarebbe stato più il pur minimo pezzettino di carne, lo scheletro sarebbe stato appeso davanti al luogo dell’esecuzione, come avvertimento per i debitori futuri. Kaboo, messo su una croce per ricevere le frustate finali, abbandonato ad ogni speranza e da qualsiasi forza fisica, aspettava soltanto il dono della morte. Ma improvvisamente accadde qualcosa di molto strano. Una gran luce, come un lampo, lo folgorò e una voce che sembrava provenire dall’alto gli ordinò di alzarsi e fuggire. Tutti udirono la voce e videro la luce, ma non notarono nessun altro uomo. In quell’istante Kaboo fu miracolosamente guarito e in attimo ritrovò le sue forze. Ubbidendo alla voce misteriosa, con un balzo scappò via e lasciò gli indigeni attoniti. Ma qual era la sorgente di quella misteriosa luce che gli aveva dato nuova forza e libertà? Kaboo non lo sapeva, non ne aveva la più pallida idea. Sapeva soltanto che qualche strana ed invisibile potenza era venuta a salvarlo. Mentre poco prima era molto malato per stare in piedi o seduto, ora correva a gran velocità. Per sfuggire agli inseguitori, Kaboo si era nascosto in un tronco cavo e aspettava l’imbrunire. Quando scese la notte, però, si rese conto di essere sfuggito alla morte soltanto per cadere in altri pericoli mortali. Era solo e nella giungla nessuno sopravvive a lungo senza aiuto, amici o armi che fossero. E quel che era peggio non aveva neppure una meta da raggiungere! Non osava far ritorno alla sua tribù e alla propria famiglia perché un simile gesto avrebbe significato attirare sul suo popolo l’amara vendetta del loro conquistatore. Mentre era in preda della disperazione, avvenne un’altra meraviglia. In una fitta foresta in cui di notte era impossibile addentrarsi – era buia anche durante il giorno – la stessa luce straordinaria apparsagli prima della sua esecuzione, risplendette nuovamente attorno a lui. A questo punto il cammino di Kaboo fu illuminato. Cobra velenosi e vari tipi di vipere stavano in agguato lungo il cammino di Kaboo. Ma più dei morsi dei serpenti e degli abbaglianti occhi di leopardi, aveva da temere i suoi simili. Nelle foreste di quella vasta regione vivevano alcune tribù più selvagge del mondo che praticavano diffusamente il cannibalismo. Ma quella luce lo guidò attraverso tutti questi pericoli. Kabbo si spostava di notte, mentre rimaneva nascosto di giorno in tronchi di cavo. Dopo settimane passate nella giungla, finalmente arrivò in un centro dove vide solo uomini bianchi.

Ma fra loro c’era anche uno della sua tribù che lavorava con loro. Non erano mercanti di schiavi, bensì “liberatori di schiavi”. La luce misteriosa l’aveva condotto in un accampamento vicino Monrovia, la capitale della Liberia. Inizio a cercarsi un lavoro e lo trovò nella piantagione di caffè nella quale lavorava l’altro ragazzo  Kru. Come paga avrebbe avuto vitto, una cuccetta nelle baracche e qualche indumento dimesso. Kaboo si accorse presto che il suo amico era solito pregare, Alzava le mani al cielo e con gli occhi chiusi pregava. “Che fai” gli disse Kaboo. “Sto parlando a Dio” rispose l’amico. “E’ chi è Dio? “, domandò Kaboo. “E’ mio Padre”, rispose il ragazzo. “Allora stai parlando con tuo padre”, disse Kaboo. In seguito a quell’incontro egli avrebbe definito la preghiera con l’espressione: “parlare con mio Padre”. Per la sua fede infantile, la preghiera sarebbe stata sempre molto semplice e pratica, come dialogare con il proprio genitore terreno. La domenica successiva, il ragazzo Kru invitò Kaboo ad andare in una missione con lui. Giuntovi vide una folla radunata attorno ad una donna che parlava con l’ausilio di un interprete. Stava raccontando della conversione di Saulo, del modo in cui all’improvviso una luce dal cielo risplendette attorno a lui e una voce misteriosa gli parlò. All’udire quel racconto Kaboo esclamò: “Questo è proprio quello che ho visto! Io ho visto quella luce! E’ la stessa luce che mi ha salvato e mi ha portato qui!” Kaboo, era rimasto meravigliato dalla maniera miracolosa in cui era stato salvato dalla morte e guidato nella foresta, cominciava a capire qualcosa di quello che gli era accaduto. Ma era ancora “cieco” sul significato della salvezza e, al pari di Saulo, che ebbe bisogno di Anania per essere istruito, Kabbo avrebbe ricevuto l’aiuto necessario dalla missionaria da cui aveva udito il racconto della conversione di Saulo da Tarso. Così kaboo incominciò a studiare sia l’inglese che le Sacre Scritture, con l’aiuto della missionaria Miss Knoll. Il corpo di Kaboo portava vistose cicatrici, e la sua mente era stata abituata all’odio e alla vendetta. Adesso tutte le sere nella baracca si inginocchiava e cercava il Signore. Tanto che non faceva dormire gli altri, così si trasferì a pregare fuori vicino alla boscaglia.

Una sera mentre fece ritorno per andare a dormire, si senti il cuore appesantito, e incominciò a pregare sottovoce. “Ero in silenzio, ma il mio cuore continuava a lodare Dio, quando ecco che all’improvviso la stanza si illuminò. Sulle prime pensai fosse il sole, ma gli altri attorno a me erano completamente immersi nel sonno. La stanza divenne sempre più luminosa, fin quando fu piena di gloria. Il peso del mio cuore all’improvviso scomparve e fui riempito da un gran gioia interiore. Mi sentivo leggero come una piuma. Fui riempito di una potenza tale da sentire che avrei potuto quasi volare. Non riuscendo a contenere la gioia, cominciai a gridare, fin quando tutti gli abitanti della baracca si svegliarono. Non si dormì più, anche i miei amici incominciavano a pregare. Kaboo fu semplicemente riempito di Spirito Santo, perché disposto ad arrendersi nelle mani di Dio. Fu battezzato in acqua con il nome di Samuel Morris. Svolse tanto lavoro per i missionari. Imparò molti inni a memoria e condusse a Cristo un’altro giovane che per una strana coincidenza era fuggito dallo stesso capo tribù che aveva avuto in ostaggio Kaboo. Questi era presente il giorno che Kaboo vide  la misteriosa luce e udito la voce che lo aveva spinto a fuggire. Confermando che quello che Kabbo aveva detto era la verità. Ben presto la sua reputazione crebbe e fu considerato il credente più zelante della Liberia. Il pastore C.E. Smirl, missionario della Liberia, disse a Samuel che era necessario che studiasse per diventare un ministro efficace per il suo popolo e che avrebbe potuto acquisire una buona preparazione in America. Così in modo molto difficile Samuel si imbarcò su una nave da carico. Sulla nave c’era un capitano e una ciurma di uomini fra i più grezzi e spietati uomini della faccia della terra. C’era un’uomo che era paralitico e giaceva in fondo alla stiva, Samuel pregò per lui, e l’uomo subito si alzò e si mise a camminare. Nonostante ciò, cercavano di ucciderlo perché era un negro. Ma il Signore stette con lui e alla fine del viaggio, quando arrivarono in America tutto l’equipaggio era convertito al Signore. Per il coraggio, la determinazione, le preghiere e la grande fede che Samuel mise nel Suo Padre Celeste. Quando finalmente la nave giunse a New York, Samuel aveva trascorso a bordo ben cinque mesi. Vi era salito vestito con una camicia, una tuta da lavoro e senza scarpe. Aveva lavorato per pagare la traversata e non aveva i soldi per comprarsi degli abiti. Fu l’equipaggio che gli diede gli indumenti, un paia di scarpe e un berretto. Tutti volevano bene a Sammy come usavano chiamarlo, specialmente l’uomo che era stato il più selvaggio di tutti il malese, se lo abbracciò piangendo. Samuel era andato a New York per incontrare il pastore Stephen Merritt perché doveva parlargli dello Spirito Santo, glielo aveva consigliato il missionario in Liberia. Appena sbarcato, domandò ad un passante dove poteva trovare il pastore Stephen Merritt. E con l’aiuto di Dio la sera riuscii a trovarlo. “Salve io sono Samuel Morris, sono appena arrivato dall’Africa per parlare con te di Dio mio Padre e dello Spirito Santo”. Merritt, che era allo stesso tempo divertito e stupito da questo strano saluto, che chiese a Samuel se avesse delle lettere di presentazione. “No” replicò il ragazzo, “non avevo tempo di aspettare”. Stephen Merritt lo sistemò nella casa Bethel, e poi dovette andare ad un impegno. Quando ritornò la sera, trovò Morris circondato da 17 uomini prostrati con la faccia a terra e gioivano per il perdono divino. Il primo giorno, appena arrivato a New York, un africano che a malapena parlava inglese condusse 17 anime a Cristo. Merritt, profondamente toccato da una vista simile, portò il ragazzo a casa con se. Stephen Merritt era un uomo molto facoltoso. Il giorno dopo Merritt doveva andare ad un funerale di una personalità di Harlem e decise di portare il ragazzo con sé. Per strada si fermò a prendere due eminenti teologi che l’avrebbero assistito durante la cerimonia funebre. Quando il primo di loro guardò nella carrozza e vide il ragazzo nero si soffermò un momento aspettando che il giovinetto uscisse. Poiché non accadeva, i due importanti uomini di chiesa entrarono nella carrozza, ma furono contrariati di dover viaggiare con quell’umile africano. Non dissero nulla, ma lanciarono occhiate molto eloquenti in direzione di Samuel, rapidi sguardi che che esprimevano la loro disapprovazione. Fu molto imbarazzante per Stephen Merritt che, come diversivo, cercò di intrattenere Samuel indicandogli i luoghi più interessanti che scorgeva: Central Park, il palazzo dell’opera e ogni altro monumento degno. Samuel improvvisamente mise la sua mano nera sul ginocchio di Stephen e chiese: “Preghi mai in carrozza?” Merritt rispose di aver ricevuto benedizioni leggendo in carrozza, ma di non aver mai fatto delle vere e proprie preghiere. Samuel disse: “Preghiamo! Padre, ho viaggiato dei mesi per venire da Stephen Merritt per parlare con lui dello Spirito Santo e ora che sono qui mi mostra il porto, le chiese, le banche e altri palazzi, senza dirmi una parola sullo Spirito Santo del quale sono tanto ansioso di saperne di più. Riempilo di Te affinché non pensi, o parli, o scriva, o predica se non di Te e dello Spirito Santo”. Quel che avvenne poi, nella carrozza, non fu una manifestazione ordinaria del favore divino. Stephen Merritt aveva partecipato alla consacrazione di molti missionari e di numerosi ministri, ma mai come in quell’occasione aveva sperimentato l’ardente presenza dello Spirito Santo. Samuel Morris, un giovane africano senza un soldo e vestito di stracci, la vita di Merritt subì una svolta decisiva. All’inizio del viaggio i due uomini di chiesa si erano vergognati di essere visti a fianco di uno straccione nero, ma dopo quella preghiera provarono vergogna soltanto per la loro miseria spirituale. Si fermarono per comprare indumenti nuovi per il loro ospite, e Merritt pagò il conto senza badare a spese. Merritt scoprì che l’esperienza di Samuel Morris in campo spirituale sorpassava quanto lui aveva appreso dai libri di un testo. Chiamò l’Università Taylor di F. Wayne, nell’Indiana. Disse che gli stava mandando un “diamante allo stato grezzo” affinché fosse raffinato per farne un prezioso annunciatore dell’Evangelo. Il giorno dopo era domenica e Merritt chiese a Samuel di accompagnarlo. Merrit presentò Samuel come il ragazzo che era venuto dall’Africa per parlare con lui dello Spirito Santo. Gli allievi risero. Samuel fu invitato a salire sul pulpito. Lo fece, e incominciò a pregare. Parlava semplicemente con suo Padre, con calma, ma seriamente.

Il suo uditorio non era toccato dall’abilità oratoria, non sembrava contassero le parole o il modo di esprimersi, ma la potenza dello Spirito Santo, una presenza così palpabile da riempire il luogo della gloria di Dio. Quando alzò gli occhi Samuel, vide tutti i ragazzi che piangevano. In ginocchio a pregare e a pentirsi dei loro peccati. Organizzarono subito una “Società Missionaria Samuel Morris” e si diedero da fare per raccogliere denaro per il vitto, l’alloggio, il vestiario e quanto altro occorreva per mantenerlo a scuola. Riempirono tre cassa di libri, indumenti ed altri doni. Samuel era molto umile. A casa di Stephan Merritt, dove fu invitato a pranzare, fece una preghiera di ringraziamento che sciolse per fino un cuore formale come quello della signora Merritt. “Questa è casa tua. Divideremo con te tutto ciò che abbiamo”. La breve permanenza del giovane aveva cancellato ogni traccia di pregiudizio razziale in quella casa. Quando arrivò all’Università, il preside gli chiese quale camera volesse, si sentì rispondere: “Se c’è una stanza che nessuno desidera, datemi quella”. Paolo nelle sue epistole affermò spesso che il proprio mandato di apostolo non proveniva dagli uomini ma direttamente da Dio. Si può sostenere che lo stesso avvenne per Samuel Morris. La domenica successiva al suo arrivo a Ft Wayne, domandò dove fosse una chiesa di colore e partì per raggiungerla. Essendo lontana vi arrivò in ritardo, quando il culto era già iniziato. Il predicatore sul pulpito aveva appena annunciato il testo su cui avrebbe predicato, che Samuel attraversò la chiesa dirigendosi verso di lui. L’audacia di Sammy sconcertò il ministro, il quale era molto esigente. “Mi chiamo Samuel Morris. Sono appena arrivato dall’Africa e ho un messaggio per questo popolo”. Il primo impulso del ministro fu di rifiutargli il pulpito ma, avendo scorto nel viso raggiante del giovane i suoi occhi sinceri, e pensando che fosse un novello pastore, gli chiesi se avesse preparato un sermone. “Non proprio, rispose Samuel, ma ho un messaggio”. Il pastore gli lasciò il pulpito. Si era appena accomodato quando avvertì una forte commozione e, voltatosi indietro, vide l’intera congregazione in ginocchio che piangeva e lodava Dio con grande gioia. Samuel era sul pulpito ma non predicava, pregava, “parlava con il Padre”. Tempo dopo, il ministro dichiarò: “Non stavo ascoltando cosa dicesse. Ero soltanto preso da un impellente desiderio di pregare”. Quella congregazione non aveva mai sperimentato una simile presenza dello Spirito Santo. Aveva solo 18 anni Samuel Morris, e aveva una preparazione di un ragazzo di sette anni riguardo a quello che era l’istruzione scolastica. Ma aveva dentro di se, tutta la potenza di Dio. Aveva voglia di tornare alla sua terra d’origine e predicare alla sua gente. Ma un inverno prese un forte raffreddore, che lo tenne nascosto perché non voleva mancare ai culti. Si aggravò e fu portato all’ospedale. Idropisia, era la malattia che lo condusse fra le braccia del Padre il 12 maggio, del 1893. Nemmeno 21enne, 5 anni dopo essere usciti dalla giungla Kaboo Samuel Morris, lasciò questa terra. Rimase tutti sbigottiti e meravigliati, ma solo Dio sa veramente perché lo chiamò a se così giovane. Una delle ipotesi, e che Samuel Morris fornisce una vera e propria prova scientifica dell’esistenza di Dio. In quest’era di grandi scoperte tecnologiche e di estremo materialismo, il mondo crede soltanto nei fatti che può provare. Ebbene, la fede in Dio non è cieca ma ragionata, essa è supportata da prove altrettanto tangibili, logiche e sperimentali, al pari di quelle che stanno alla base di ogni scienza moderna. Mentre era in vita Samuel Morris, lo scettico più accanito avrebbe sempre potuto sostenere che all’origine dell’influenza esercitata da quel ragazzo nero vi era una sorta di “magnetismo” o “forza emotiva umana” presente nella sua personalità. Ma la morte ha fugato ogni dubbio: la testimonianza di Samuel Morris non ha perduto la propria forza anzi, è stata di grande incoraggiamento per tanti credenti di allora, e di oggi. La chiesa, la scuola e i ragazzi e tutti quelli che lo amavano gli dedicarono questa targa:

Samuel Morris 1872 – 1893
principe Kaboo
nato nell’Africa occidentale
cristiano fedele
apostolo della fede semplice
esempio di vita riempita dello Spirito Santo
Francesco La Manna –  notiziecristiane.com
L. Baldwin

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