Prendiamo per esempio i dati dell’ISTAT: meno del 40% degli italiani ha letto un libro nell’ultimo anno. Tuttavia, se si dovesse chiedere quanti abbiano provato a scriverne uno, probabilmente ci troveremmo di fronte a un’altra statistica sorprendente. Siamo un popolo che ama parlare, e oggi, grazie ai social, anche scrivere. Blog, post su Facebook, storie Instagram, poesie improvvisate su TikTok… gli italiani amano lasciare il segno. Ma leggere? Beh, quello è un altro discorso.Scrivere sì, leggere no: il paradosso italiano
Italo Calvino ci aveva già visto lungo, ironizzando su questa tendenza: “Scrivere è sempre un lavoro da dilettanti, leggere è una professione”. In Italia, però, sembra che la professione del lettore non interessi a molti. Al massimo, qualche poesia di circostanza al matrimonio dell’amico, un aforisma su un biglietto d’auguri, oppure la lista della spesa.
Montanelli, dal suo pulpito di polemiche sagaci, era chiaro: “In Italia, chi legge è una minoranza e chi scrive è una moltitudine. Il guaio è che i secondi non leggono neanche i primi.” Ma perché leggere, quando si può benissimo passare il tempo a scrivere l’ennesima autobiografia di una vita che nessuno ha chiesto di conoscere? E così ci ritroviamo con centinaia di nuovi titoli nelle librerie, che nessuno sfoglia, ma che tutti vogliono pubblicare.
La “tragedia” della lettura
Se pavese diceva che “un paese che non legge è un paese senza futuro”, potremmo aggiungere che un paese che scrive senza leggere è un paese schizofrenico. Antonio Gramsci, con il suo spirito critico, ci avrebbe probabilmente bacchettati: “Formare una coscienza critica richiede lettura e riflessione, non solo parole.” Eppure, il mondo editoriale italiano è invaso da aspiranti scrittori che si credono il nuovo Proust. Il problema? Non hanno mai letto nemmeno Alla ricerca del tempo perduto. E come potrebbero? Il tempo perduto è tutto impiegato a postare selfie letterari su Instagram.
Norberto Bobbio, filosofo di grande levatura, avrebbe detto che questa carenza di lettori mina la stessa democrazia. Perché la lettura è confronto, apertura mentale. Scrivere senza leggere, invece, è solo un monologo infinito, una gara a chi urla più forte.
Librerie deserte, bacheche piene
Nel frattempo, le librerie italiane continuano a chiudere. Più di 700 hanno serrato le porte nell’ultimo anno, e chi resta aperto deve fare i conti con clienti che entrano solo per chiedere dove si trova l’angolo caffè. Umberto Eco, che dei libri aveva fatto una missione di vita, avrebbe probabilmente alzato le mani al cielo: “La televisione è diventata un elettrodomestico, i libri no”. Se avesse vissuto l’epoca degli e-book, probabilmente sarebbe stato più pessimista.
E mentre gli italiani continuano a ignorare i libri, il numero di autopubblicazioni cresce. Si aprono gruppi Facebook di aspiranti scrittori, si avviano start-up editoriali per chiunque voglia vedere il proprio nome in copertina. Ma la verità, citando Woody Allen, è che “chi non legge, non ha niente da dire”. Eppure, in Italia, tutti sembrano avere qualcosa da scrivere.
Una razza in via d’estinzione?
Così, ci ritroviamo a essere il Paese di scrittori che non legge. Un paradosso degno di Luigi Pirandello, che sarebbe perfetto per un suo dramma moderno: personaggi in cerca di un autore, ma senza mai averne letto uno. Forse è questo il destino della nostra cultura: estinguere i lettori e moltiplicare gli scrittori, in una spirale infinita di parole senza peso.