Irlanda: vietato pregare fuori da cliniche abortiste. Anche in Italia si arriverà a questo?

In lrlanda non si può neanche più pregare liberamente fuori da cliniche e ospedali per le madri intenzionate ad abortire. O neanche semplicemente pregare per stare accanto a chi – al di là della scelta che compie – vive quello che è e rimarrà sempre un danno: ovvero proprio l’aborto.

Lo ha stabilito una legge appena approvata dal Parlamento irlandese con il voto di 110 parlamentari. Solo 10 parlamentari, perlopiù del gruppo indipendente, si sono dichiarati contrari alla misura che arriva a criminalizzare persino la preghiera dei volontari pro vita. Tale divieto di veglie pacifiche di preghiera fuori le cliniche della morte costituisce in effetti un segno ulteriore di una crescente intolleranza nel Paese verso ogni forma di opposizione alla propaganda abortista.

La legge nordirlandese approvata nel settembre 2023 già proibiva infatti ai volontari pro vita di avvicinare le donne intenzionate ad abortire, altrimenti le stesse sarebbero state – a detta degli abortisti – «ostacolate, influenzate», o avrebbero subito addirittura «molestie, allarme o disagio» nelle “zone ad accesso sicuro”, quali devono di norma essere le aree antistanti le porte di ingresso e uscita dalle cliniche abortiste entro una distanza compresa tra i 100 e i 250 metri. Chiunque trasgredisca tali misure incorre in multe fino a 500 sterline e può essere persino arrestato.

Fortunatamente in Italia non siamo ancora giunti a questo punto, ma il retroterra culturale ideologico è purtroppo il medesimo. Basti ricordare come si giunga con facilità a costruire ad arte fake news (come nel caso recente di Aosta), pur di difendere e promuovere a tutti costi l’ideologia femminista in materia di aborto. Non mancano infatti le polemiche relativamente all’opportunità per i volontari pro vita di operare a pieno titolo nei consultori, in ottemperanza tra l’altro all’art. 2 della stessa legge 194 che prevede la possibilità di supportare una donna con gravidanza indesiderata.

Che dinanzi ai problemi della vita una donna incinta sia aiutata a superare insieme al giusto sostegno tali problemi, spesso principalmente di natura economica, e non a eliminare la vita che porta nel grembo, per giunta ferendo tragicamente anche se stessa, continua a essere percepito come una minaccia al presunto “diritto all’aborto”, invece di essere considerato come un’azione nobile e lodevole, di autentica prossimità alla donna e al suo bambino.

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