Voci direttamente dai campi profughi nel nord dell’Iraq ci presentano una situazione di immani difficoltà. Sempre più vedono la fuga come unica via d’uscita per un futuro.
L’inverno è vicino e migliaia di cristiani iracheni saranno costretti a viverlo in tende e rifugi improvvisati, come profughi interni nel loro stesso paese, lontani dalle loro case, abbandonate in fretta e furia per salvarsi dai miliziani dell’IS. Serpeggia nei campi profughi del nord dell’Iraq un sentimento sempre più diffuso: non c’è più futuro nella nostra terra. “I primi giorni e settimane, la gente qui pensava ancora alla propria casa. Ma ora, dopo mesi di vita in queste condizioni, molti hanno perduto questo sentimento. Sanno che le loro case sono state saccheggiate, ma non solo dai miliziani dell’IS”, afferma un operatore di un campo profughi allestito in una chiesa. “Sanno che molte delle loro proprietà sono state rubate da persone comuni che vivono nei villaggi vicini. Questo distrugge ogni speranza di ritorno. Le comunità sono state distrutte dall’interno”, conclude sconsolato.
“Esiste una soluzione veloce”, ci racconta Rajih, responsabile di un campo profughi con 350 famiglie (80% cristiane), allestito sui piani alti di un grande centro commerciale vicino al centro storico di Erbil (nord Iraq). “La soluzione più veloce èscappare tutti da qui!”. Nelle sue parole non vi è solo una provocazione, ma il disperato affanno di aver a che fare ogni giorno con tutta questa ingiustizia e miseria. Una giovane donna fuggita da Qaraqosh a inizio agosto, di nome Jala, ci dice: “Prima abbiamo vissuto in tende, poi in un edificio in costruzione. Ora ci siamo spostati in un appartamento fuori Erbil, ma è troppo costoso per noi, e siamo tutti senza lavoro”. Questi profughi, infatti, sono di lingua araba, vengono dalla pianura di Ninive e ora si trovano nel nord Iraq, il Kurdistan, dove si parla curdo, una lingua completamente diversa. “Se vogliamo lavorare, dobbiamo parlare curdo, ma noi parliamo arabo. E gli affitti sono troppo costosi per noi”, ripetono in molti disperati e impotenti.
Nasir, un giovane cristiano iracheno padre di due bimbi, non è d’accordo con chi dice di lasciare l’Iraq: “Dio ci vuole qui e noi staremo qui. Ma molte famiglie che conosciamo non vedono futuro per loro e i loro bambini”. Nasir si muove con la sua auto, nel cui specchietto retrovisore interno capeggia una piccola croce: è fiero della propria fede, in essa ritrova il senso di tutta questa afflizione e la forza per affrontarla. Youssef, invece, un altro rifugiato interno scappato da Qaraqosh, ci spiega che non vede come potrebbe tornare a casa sua in queste condizioni: “Prima l’intera Mosul deve essere liberata dall’IS”.
La situazione in Iraq è allarmante; questo paese si sta dissolvendo. Molti cristiani iracheni stanno perdendo la speranza di poter ritornare alle loro case; il loro fondi personali si esauriscono e opportunità di lavoro non ce ne sono nelle zone dove sono fuggiti. Grazie al vostro aiuto vogliamo continuare a soccorrerli e a permettere loro di affrontare questo inverno con maggiori speranze.
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