Ormai da mesi non si hanno notizie certe in merito alla situazione sanitaria della prigioniera politica curda Zeyneb Jalaliyan, detenuta in Iran. Malata da tempo, in carcere da 15 anni e già ripetutamente torturata per la sua presunta appartenenza al PJAK (Partito per una vita libera in Kurdistan).
Le vaghe informazioni filtrate dal carcere sembrano confermare il progressivo deterioramento della sua salute e i ripetuti, punitivi, trasferimenti da un carcere all’altro (un modo per inasprire ulteriormente la detenzione).
Ultimamente sarebbe stata trasferita dal carcere di Yazd a quello di Kirmaşan per poi tornare a Yazd.
Di Zeynab Jalalian mi ero già occupato all’epoca del suo sciopero della fame (estate 2020) per essere riportata nella prigione di Khoy.
E poi nell’ottobre 2020 quando, malata di Covid19, era stata trasferita dalla sezione femminile della prigione di Kermashan alla prigione di Yazd. In soli sei mesi questo era il quarto suo trasferimento.
Arrestata nel 2008, Zeynab era stata condannata a morte nel gennaio 2009 (due anni dopo la pena venne mutata in ergastolo) appunto per presunta appartenenza al Partiya Jiyana Azad a Kurdistane.
La notizia dell’ennesimo trasferimento (10 ottobre 2020) aveva potuto darla ai familiari nel corso di una brevissima telefonata – due minuti – durante la quale aveva anche informato il padre di essere stata nuovamente minacciata di torture.
Prima di Kermanshah, per circa tre mesi era stata rinchiusa in un carcere a oltre mille chilometri di distanza da dove vivono i suoi familiari. Con tutte le immaginabili difficoltà per poterla visitare. Prima ancora, fino all’aprile 2020, si trovava nella prigione di Qarchak a Varamin, non lontano da Teheran e a Khoy.
Nel corso di tali trasferimenti era stata contagiata dal virus e – a causa delle catene – aveva riportato ferite ai polsi e alle caviglie. Ferite che – non essendo mai state curate – le causavano acute sofferenze.
Già allora le condizioni di salute di Zeynab Jalalian erano tali da suscitare preoccupazione. Soffriva di gravi infezioni, di problemi renali e stava perdendo la vista. Da allora la sua situazione potrebbe essere ulteriormente peggiorata
in quanto le autorità carcerarie iraniane le rifiutavano qualsiasi visita specialistica così come di venir curata fuori dal carcere.
In compenso, come ad altri prigionieri politici, le era stata offerta la possibilità di un pubblico pentimento (alla televisione). In cambio, forse, di cure più adeguate. Un metodo che inevitabilmente ricorda quelli della “Santa” Inquisizione. Le numerose campagne a sostegno di Zeynab, purtroppo, finora non sembrano aver portato a nessun miglioramento della sua situazione. Quello che al momento chiedono i suoi familiari e alcune organizzazioni umanitarie è soltanto la concessione di una visita (non solo di una breve telefonata) per potersi rendere conto di persona della situazione in cui versa.
Gianni Sartori
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