Homayoun Zhaveh, di 64 anni, affetto dal morbo di Parkinson in stadio avanzato, e sua moglie Sara Ahmadi, di 45 anni, sono stati assolti in appello il 9 maggio scorso. Stavano scontando una condanna complessiva a 8 anni di prigione a motivo delle loro attività cristiane.
Entrambi sono usciti dalla prigione di Evin, a Teheran, dopo che i giudici della 34° Sezione della Corte d’Appello hanno stabilito che “l’accusa non sussiste. Non vi è nulla di criminale nei loro incontri cristiani e nella presenza di letteratura cristiana nella loro casa” riporta Article18.
“Secondo i rapporti degli ufficiali del Ministero dell’Intelligence, l’organizzazione di gruppi cristiani domestici e la partecipazione agli stessi, non sono da considerarsi come atti contro la sicurezza del paese. La legge non li riconosce come attività criminali”. Ecco quanto stabilito dai giudici. Quella di accusare le minoranze religiose di agire contro la sicurezza nazionale è infatti un’azione che il regime iraniano utilizza spesso per colpirle.
La sentenza proviene dalla stessa Sezione che aveva pronunciato, nel febbraio dello scorso anno, la sentenza di assoluzione per altri nove cristiani ex-musulmani. Anche per loro il motivo del rilascio era stato la mancanza di prove a sostegno delle azioni contro la sicurezza nazionale di cui erano accusati.
“Sono grato per la sentenza dei giudici. Quest’ultimo verdetto dimostra ancora una volta la natura arbitraria della sentenza che ha mandato in prigione un numero considerevole di cristiani, molti dei quali, a distanza di anni, soffrono ancora le conseguenze dei traumi subiti. Nessuno dovrebbe subire le torture a cui questi cristiani sono stati sottoposti” – Mansour B., direttore di Article18.
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