Io, giurista cinese cristiana, affermo che la libertà religiosa è conforme alla Costituzione

Nello Shanxi il presidente del tribunale mantiene in prigione senza processo tre leader protestanti, con una decisione “illegittima”. Ma vi è chi, partendo proprio dalla legge e dal diritto, spiega come la pratica del culto sia conforme all’ordinamento. Lo studio, in punta di diritto, dell’esperta Feng Xuewei che ha trattato l’ingresso di Pechino nel Wto.

Pechino (AsiaNews) – Li Shanshan, Chen Ying e Wen Huijuan, mogli del pastore Li Jie, del pastore Han Xiaodong e del fratello Wang Qiang della Linfen Covenant House Church hanno visitato il tribunale distrettuale di Yaodu nella provincia dello Shanxi, nel nord della Cina, per la quinta volta a luglio. Dopo i precedenti insuccessi sono riuscite a incontrare il presidente della Corte Xie Binghua per perorare la liberazione dei congiunti, ma la risposta del magistrato è stata netta: non vi sono motivi, queste le parole del magistrato come riferisce ChinaAid, per definire “illegittima” la detenzione del trio. Inoltre, il giudice ha “avvertito” le donne di “non criticare, o commentare, o interferire nel caso” pubblicando commenti o post sul popolare sito di chat Weibo. I congiunti restano dunque in carcere preventivo dove si trovano dalla data del fermo il 19 agosto 2022 con presunte accuse di “frode”, e senza una data certa per il processo, solo per aver praticato la fede e professato il culto cristiano.

Pechino e la libertà religiosa

La vicenda, solo l’ultimo esempio in ordine di tempo, ripropone con forza il tema della libertà religiosa in Cina, nazione in cui anche la fede – e il culto – sono assoggettate all’ideologia del partito (comunista) e praticate sotto stretto controllo dell’autorità. Cristiani ma non solo, come emerge dalla persecuzione diffusa dei musulmani in diverse zone del Paese, con l’obiettivo di “sinicizzare” dogmi, riti e funzioni. Contro questa pratica diffusa, e con toni e modi inusuali nel Paese del dragone, si è esposta una personalità dell’apparato di potere: l’ex funzionario del Consiglio di Stato cinese Feng Xuewei, parte del team di esperti che ha trattato l’ingresso di Pechino nel Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio); l’esperta ha messo per iscritto un documento in cui invoca la libera pratica del culto, spiegandone le ragioni e l’importanza per lo sviluppo e il benessere della nazione e dei suoi cittadini.

Risalente al settembre scorso, il testo scritto è intitolato “Domanda al Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo e al Comitato per la Costituzione e la legge per condurre una revisione costituzionale e legale dei ‘Regolamenti sull’amministrazione degli affari religiosi’ che violano la ‘Costituzione’ e la ‘Legge sulla legislazione’”. Formulato con un linguaggio giuridico, e non poteva essere altrimenti visto il curriculum di colei che lo ha redatto, esso usa le armi della legge e del diritto per sottolineare l’importanza della libera pratica del culto anche la stessa Repubblica popolare cinese. Del resto Feng Xuewei, cristiana, ha lavorato per 12 anni nel Dipartimento degli Affari esteri nella sezione dedicata alla traduzione e revisione dell’Ufficio affari legislativi del Consiglio di Stato, in qualità di vice-direttore. Inoltre ha partecipato a numerosi negoziati internazionali di primo piano, partendo proprio da quello con il Wto e, al momento, risulta appartenere alla Beijing Shepherd Church.

Una battaglia in punta di diritto

Feng Xuewei spiega che il “Regolamento sugli affari religiosi” rivisto il 1° febbraio 2018 presenta diverse contraddizioni importanti con i principi sanciti nella Costituzione e dalla Legge sulla legislazione. Al fine di mantenere la dignità dei due testi base del diritto cinese, l’esperta ha chiesto al Comitato per la Costituzione e la Legge dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp) di rivedere la costituzionalità e la legalità dei “Regolamenti sugli affari religiosi” e di prendere decisioni corrispondenti in conformità con le disposizioni contenute al loro interno. Nessun organo statale, gruppo sociale o individuo – osserva – può “costringere i cittadini a credere o non credere nella religione, né discriminare i cittadini che credono o non credono nella religione”. Lo Stato, inoltre, protegge le normali attività religiose, nessuno può usare la religione per turbare l’ordine sociale, danneggiare la salute dei cittadini o ostacolare il sistema educativo nazionale. I gruppi religiosi e gli affari religiosi “non sono soggetti al controllo di forze straniere”.

Nel suo lungo studio, Feng Xuewei ritiene che dal punto di vista del sistema giuridico del Paese nel suo complesso, ad eccezione del già citato articolo 36 della Costituzione, la Cina non ha attualmente alcuna “legge” di base sugli affari religiosi. Questi ultimi, dunque, rientrano nei principi stabiliti dalla Costituzione e formulati dall’Anp o dal suo Comitato permanente. E poiché l’autorità di gestire gli affari religiosi non è esplicitamente elencata tra i poteri del Consiglio di Stato come stabilito dalla Costituzione, la “regolamentazione della gestione degli affari religiosi” non rientra per sua natura tra i poteri statutari concessi al Consiglio di Stato dalla Costituzione. La terza questione sollevata dalla giurista è che il potere legislativo in materia di affari religiosi nella Legge legislativa appartiene all’Assemblea nazionale del popolo e non al Consiglio di Stato.

Fede e Costituzione

Nella parte finale della sua analisti, l’esperta conclude che la libertà di credo religioso rientra nell’ambito delle “altre materie” previste dall’articolo 11, comma 11, della Legge legislativa. Poiché la libertà di culto, come uno dei diritti fondamentali dei cittadini, ha una posizione importante nella Costituzione, “non è appropriato che il Consiglio di Stato, il più alto organo amministrativo che gestisce solo gli affari amministrativi, formuli regolamenti su questa materia” perché “non ha la responsabilità di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini, compreso il diritto alla libertà di credo religioso, nell’ambito delle sue funzioni”. A conclusione della sua riflessione, Feng Xuewei elabora una conclusione in quattro punti: il Consiglio di Stato non ha il potere di formulare regolamenti amministrativi su questioni relative ai diritti fondamentali dei cittadini; il Congresso nazionale del popolo non ha autorizzato il Consiglio di Stato a formulare regolamenti amministrativi su questioni religiose; il Congresso Nazionale del Popolo non ha ancora formulato una “legge religiosa” di base e non vi è alcuna situazione in cui il Consiglio di Stato abbia formulato regolamenti amministrativi di natura attuativa in conformità con la legge per implementare le leggi religiose. Infine, gli affari religiosi non rientrano nell’ambito dei poteri del Consiglio di Stato previsti dalla Costituzione e il Consiglio di Stato non ha la base legale per formulare regolamenti amministrativi per conto proprio.

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