L’immagine che campeggia a supporto di quest’articolo è fin troppo eloquente. L’Europa è imbrigliata in una fitta ragnatela, un reticolo di linee che si srotolano sulla terra ferma, quasi a soffocare in una morsa opprimente ogni più esigua superficie vuota. Ebbene questo astruso groviglio di venuzze rappresenta l’infrastruttura ferroviaria europea, le linee, per dirla in breve, dove circolano i treni viaggiatori e merci. In questi ultimi tempi, soprattutto nell’ambito meridionalista, si è parlato molto delle difficoltà “tecniche” che avrebbe un ipotetico passeggero per raggiungere un qualsiasi paese del Sud Italia che non sia Napoli o Salerno. Le tempistiche rilevate sono talvolta sconcertanti, al punto da far nascere il dubbio nel viaggiatore se sia meglio utilizzare il convoglio ferroviario o il classico calesse con cavallo.
Una problematica questa che bene evidenzia lo stato “coloniale” in cui versa il meridione, ma che tende a nasconderne un’altra, a mio avviso, ben più importante. L’immagine mostra chiaramente come sia esigua e poco radicata la ferrovia al sud, limitata ad appena due monconi paralleli (nel senso che non si incontrano proprio mai, o quasi), tratti striminziti colorati talvolta di glicine, talaltra di arancione e così via. Ebbene, è proprio questa differenza di tinte a determinare il mancato sviluppo del Sud. I colori rappresentano infatti le differenti “capacità” delle linee ferroviarie di trasportare merci, in sostanza, sono l’indicatore di quanto un territorio possa industrializzarsi. E’ superfluo sottolineare come tali capacità siano ridotte all’osso nel meridione, così come appare logico che un industriale non si sognerebbe mai di investire in un territorio nel quale le merci non possono circolare.
E’ chiaro dunque che con le attuali caratteristiche infrastrutturali, il Sud Italia non ha alcuna possibilità di competere né con l’Italia né tantomeno con il resto d’Europa, relegato a un ruolo marginale nell’economia nazionale per la sua ponderata impotenza di fare industria.
Come abbiamo recepito dalle recenti decisioni del governo, in particolare nell’abnorme sproporzione degli investimenti ferroviari, 98,8% al Centro-Nord contro l’1,2% del Sud (recentemente tra Sblocca Italia e Legge di Stabilità la somma complessiva è salita a 8.971 miliardi di euro di cui solo 474 milioni al Sud, 19 volte meno), il Meridione è stato produttivamente tagliato fuori dall’Europa che conta, un mercato che prevede nel prossimo futuro di spostare sempre più traffico merci dalla ruota alla rotaia. L’Unione Europea ha infatti previsto di spostare entro il 2030, dalla strada alla ferrovia o al mare almeno il 30% del traffico merci, e almeno il 50% nel 2050. Cifre altissime considerando i dati odierni che vedono il trasporto su strada dominatore incontrastato (attualmente in Italia il traffico su rotaia si attesterebbe sotto al 5%).
E’ facile intuire come il Sud sia ormai un paziente in fin di vita e in attesa dell’agognata redenzione. I dati sono infatti sconvolgenti, prendiamo ad esempio alcune caratteristiche fondamentali per fare treni merci: la sagoma e la lunghezza.
Per sagoma si intende le dimensioni massime del complesso carro-container rispetto alle caratteristiche morfologiche del tratto di linea, mentre la lunghezza di un treno dipende dalle particolarità dell’infrastruttura. Le carenze infrastrutturali che già oggi impediscono lo sviluppo e lo scambio commerciale del Sud con il resto dell’Europa rimarranno tali anche nel prossimo futuro. In sostanza, non è possibile trasportare merci su ferrovia al Sud perché queste non passerebbero per le gallerie, per non parlare della Sicilia che è strutturalmente indietro di 50 anni.
Considerando che lo stretto di Messina è il tratto di mare più attraversato da camion in Europa, e che il porto di Gioia Tauro, il più grande porto container italiano, si apre al Mediterraneo intero come un approdo naturale per le navi provenienti dal raddoppiato canale di Suez (per non parlare dello scalo di Marcianise), il potenziale per uno sviluppo commerciale ci sarebbe tutto. E’ come trapiantare un grosso albero secolare in una pianura fertile e abbondante e poi recidergli le radici.
Senza nessuna pretesa ulteriore, una riflessione sorge spontanea: se al posto dell’irrisorio 1,2%, avessero destinato al Sud il 30% (quanto territorialmente meriterebbe, o quasi) di quei quattro miliardi e ottocentocinquantanove milioni di euro finanziati dallo Sblocca Italia (quindi anche dalle regioni del Sud) forse la situazione sarebbe almeno migliorata, consentendo al meridione di arrancare almeno per qualche tempo.
Ma evidentemente il Sud è destinato a restare fuori dall’Europa.
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