L’ultima classifica pubblicata dalla Divisione statistica dell’ONU relativa al rapporto donna/uomo conferma per il 2012 l’India al secondo posto, dopo la Cina, con solo 94 donne ogni 100 uomini, seguita dal Pakistan, con 97 su 100, e dal Bangladesh, con 98 su 100. Tenuto conto di errori e mancate registrazioni anagrafiche, il rapporto potrebbe in realtà essere 89,3 su 100. Anche senza questa correzione, il fatto allarmante è che il rapporto è diminuito tra il 2001 e il 2011 sia nelle aree rurali, dove è passato da 93,4 a 92,3 su 100, che nei centri urbani, dove da 90,6 e sceso a 90,5. Ancora più preoccupanti sono i dati emersi dal censimento del 2011 relativi ai bambini tra 0 e 6 anni. In questa fascia d’età infatti si è registrata una riduzione del rapporto donna/uomo da 92,7 su 100 nel 2001 a 91,9 nel 2011: dovuta senza dubbio a un aumento degli aborti e degli infanticidi selettivi femminili a cui vanno aggiunti gli effetti debilitanti di una denutrizione infantile prevalente tra le bambine e, negli anni successivi, il maggior numero di decessi per cause non naturali sia tra le bambine che tra le donne adulte.
In gran parte il fenomeno e le cause che lo generano si riconducono all’istituzione della dote che, per quanto proibita dal 1961, resta molto diffusa e, anzi, è stata adottata da nuovi ceti sociali, mentre inoltre il suo ammontare è cresciuto fino a rappresentare un onore che certe famiglie non vogliono o non possono sostenere. Molti genitori risolvono il problema ricorrendo all’aborto e all’infanticidio. Uno studio pubblicato dal Centro statistico indiano nel 2012 indica in circa tre milioni le bambine non nate o uccise poco dopo la nascita nel solo 2011. In 20 anni potrebbero essere “scomparse” così 20 milioni di bambine, 50 milioni nell’arco di tre generazioni.
Altre famiglie cercano di maritare le figlie molto giovani o accettano le proposte matrimoniali di uomini che per qualche ragione – età avanzata, cattiva reputazione, malattie… – si accontentano di una dote modesta. Altre ancora concordano con il futuro marito e con la sua famiglia un pagamento dilazionato, ma poi succede che tardino a consegnare le “rate” o che interrompano del tutto i pagamenti. Ne nascono dispute e litigi che non di rado degenerano fino ad arrivare all’uccisione della moglie “mal dotata”.
Tra le donne, una delle più frequenti cause di morte non naturale sono infatti proprio i delitti collegati alla dote, spesso dissimulati da incidenti domestici come il malfunzionamento di una stufa o l’uso distratto di combustibile da cucina: così frequenti che dal 1986 la legge impone di indagare d’ufficio sulla morte di ogni moglie, se avviene in circostanze anomale o in seguito a scottature e ferite, entro i sette anni successivi al matrimonio.
L’Ufficio nazionale di documentazione criminale nel suo ultimo rapporto indica che nel 2012 sono state uccise almeno 8.200 donne in seguito a diverbi familiari riguardanti il pagamento della dote: quasi una ogni ora. Nel 2010 inoltre solo nel 34% dei casi di morte per dote si è arrivati alla condanna del colpevole, rispetto al 37% del 2000, e la percentuale risulta quasi dimezzata, il 19%, quando la vittima è sopravvissuta.
Negli stessi giorni in cui venivano pubblicati i dati relativi al rapporto donna/uomo e alle vittime della dote, la Commissione nazionale per i diritti umani lanciava un altro allarme: a proposito della crescita senza precedenti della prostituzione. Un’indagine ha per di più rivelato che l’età delle donne reclutate si abbassa costantemente ed è ormai assestata intorno ai 12 anni. Le minorenni prostitute sono 1,2 milioni – oltre un decimo del totale – e tra di loro il tasso di sieropositività supera il 60%.
Il sistema delle caste che discrimina e impedisce ai dalit, i fuori casta, l’accesso a molte occupazioni, vecchie e nuove povertà, la connivenza delle famiglie bisognose, il moltiplicarsi della domanda, dovuto ai migliori livelli di reddito dei ceti medi, e l’inerzia delle istituzioni: tutto concorre all’ingresso di minori sempre più giovani nell’industria del sesso.
Nelle sue conclusioni il simposio nazionale organizzato dalla Conferenza episcopale indiana di rito latino svoltosi a Mumbai dal 25 al 27 ottobre e dedicato all’applicazione in India della dottrina sociale della Chiesa in vista della chiusura dell’Anno della Fede, ha definito l’India un paese segnato da una povertà disumanizzante che lo sta distruggendo.
Malgrado i grandi progressi economici e tecnologici compiuti, ancora un indiano su tre in effetti vive sotto la soglia di povertà, sono indiani il 43% dei bambini del mondo malnutriti di età inferiore a cinque anni e 210 milioni di affamati sul totale mondiale di 842.
Una società disumanizzata dalla povertà infierisce sui più deboli – donne, minori e fuori casta, nel caso dell’India – e, nel farlo, si condanna a moltiplicare poveri ed emarginati.
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