In pensione?!… Non c’ è tempo per rilassarsi con le cose del mondo

40-Foto_10Nel turbinio del tran tran quotidiano ci giunge l’invito a fermarci, a riposarci un poco per considerare nuove priorità nella nostra vita.  Di Salvatore Rapisarda

Qualche anno fa un amico mi chiese: «Che cosa fai adesso che sei andato in pensione?». Cominciai a elencare alcune cose che avevo per le mani e altre che mi ripromettevo di fare. Al che giunse la seconda domanda: «Riposarti, no?». Rimasi perplesso, ma mi resi conto che l’amico si dimostrava più interessato a me, al mio benessere, più di quanto me ne interessassi io stesso. Mi resi conto che spesso siamo lanciati come dei criceti impegnati a fare girare una ruota che non porta da nessuna parte; calcoliamo il nostro benessere in base alle cose che facciamo, alla nostra «produttività», trascurando persino noi stessi e il nostro equilibrio mentale. Sembra che abbiamo sempre bisogno di verifiche, di passare un esame, di dover dare conto. Forse questo non è un modo condiviso da tutti, ma è il modo in cui la nostra società ci spinge a vivere: sempre più produzione, sempre più consumi, corsa all’aumento del Pil e, quindi, sempre più distruzione di risorse, sempre più inquinamento, sempre più nevrosi, per non dire di competizioni, conflitti e guerre. Questo modo forsennato e irrazionale di comprendere la vita è un abito mentale difficile da smantellare, ci fa sentire sempre più orientati a quel che si consuma e a quel che si possiede, e meno a quel che si è.

Se escludiamo quelle persone che sembrano dire «scusate se esisto», che si muovono in modo timido e si mettono in seconda fila, in cerca di riparo, il protagonismo spavaldo e il consumo forsennato appaiono la norma. Si constata un crescente consumo di alcool tra i giovani, alla guida si ama la velocità più sfrenata, la musica in discoteca è sempre più forte e gli sport estremi non accennano a diminuire.

Fermati un po’, voleva dirmi il mio amico con la seconda domanda. Riposati un po’. Esci dalla spirale in cui sei vissuto per tanti anni. Forse, anzi lo credo fermamente, non voleva dare un giudizio su quel che avevo fatto. Nelle sue parole c’era un interesse sincero, senza secondi fini e senza «non detto». Certamente bisogna dare ascolto a un amico che ti invita a rallentare, a riposare, a considerare nuove priorità nella tua vita, a uscire dal turbine infernale in cui forze anonime ti trascinano e ti stordiscono, senza lasciarti la libertà di scegliere. Qui possiamo cogliere un eco della parola di Gesù: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco» (Mc 6, 31). Non attribuiamo a queste parole di Gesù un intento di fuga dalla realtà né di disimpegno. No, si tratta di un invito che mira a tutelare il benessere dei discepoli come persone, dunque nella loro interezza fisica e mentale. Una tutela che non induce sonno profondo, ma ristoro per acquistare nuove forze.

Ho preferito usare la parola «mentale» e non «spirituale», cosa che a prima vista apparirebbe più in linea con questa pagina, perché alla parola spirituale si attribuisce prevalentemente un significato religioso, mentre così non è con la parola «mentale». È il benessere fisico e mentale che va additato come traguardo alle persone che stanno dentro e fuori delle chiese, siano esse giovani o meno giovani. Il benessere fisico e mentale, a cui penso, non è edonismo. È tutto l’opposto del consumismo. È la capacità di non farsi stritolare dalle sirene di una società dei consumi. Soltanto in una condizione di benessere, di salute fisica e mentale, si può dire «no grazie» alla droga, all’alcool, alla violenza, al facile guadagno, alla falsa cultura, all’asservimento ai cattivi maestri.

Ogni giorno camminiamo accanto a coetanei, facciamo un tratto di strada assieme ai nostri figli e figlie, ai nostri nipoti. Verso tutti e tutte abbiamo un debito di cura del benessere, di attenzione all’integrità della persona. Pagare questo debito mostrandosi come esempio di integrità è tutt’altro che impresa ardua, visto che nel contempo siamo i primi a beneficiarne. È come insegnare a nuotare a chi non sa ancora nuotare. Si sta assieme in acqua e si gode del beneficio di lasciarsi sollevare dall’acqua, di lasciarsi cullare dalle onde. Si può essere di esempio senza necessariamente soffrire nel ruolo che giochiamo.

Regola fondamentale per chi vuole nuotare è quella di abbandonarsi, fidando nella funzione dell’acqua che sostiene i nostri corpi. È una regola che ci ricorda il messaggio evangelico, là dove ci dice che siamo salvati per grazia. È la grazia che ci solleva, che ci fa vivere. Noi apprezziamo tanto più la grazia rigeneratrice di Dio, quanto più ci abbandoniamo nelle sue braccia, in cerca di quel riposo che fa di noi persone sane, integre, rigenerate, liberandoci dall’ansia e dalle schiavitù per fare di noi persone nuove.

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